O ragazza dalle guance di pesca
o ragazza dalle guance d’aurora
io spero che a narrarti riesca
la mia vita all’età che tu hai ora.
Coprifuoco, la truppa tedesca
la città dominava, siam pronti:
chi non vuole chinare la testa
con noi prenda la strada dei monti.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.
Silenziosa sugli aghi di pino
su spinosi ricci di castagna
una squadra nel buio mattino
discendeva l’oscura montagna.
La speranza era nostra compagna
a assaltar caposaldi nemici
conquistandoci l’armi in battaglia
scalzi e laceri eppure felici.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.
Non è detto che fossimo santi
l’eroismo non è sovrumano
corri, abbassati, dai corri avanti!
ogni passo che fai non è vano.
Vedevamo a portata di mano
oltre il tronco il cespuglio il canneto
l’avvenire di un giorno più umano
e più giusto più libero e lieto.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.
Ormai tutti han famiglia hanno figli
che non sanno la storia di ieri
io son solo e passeggio fra i tigli
con te cara che allora non c’eri.
E vorrei che quei nostri pensieri
quelle nostre speranze di allora
rivivessero in quel che tu speri
o ragazza color dell’aurora.
Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.
Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.
[parole di Italo Calvino, musica di Sergio Liberovici]
Ieri sera, alla festa della sezione ANPI “Caduti di Piazza Rovetta”, al Carmine, mentre Marina Corti e Bruno Podestà, accompagnati dai ragazzi dello S.Coro (e da un ragazzo alla fisarmonica, bravissimo, ma di cui non ricordo il nome), cantavano questa bellissima canzone del 1959, mi è venuto un magone che mi ha impedito di cantarla insieme a tutti quanti, musicisti e pubblico. Mi sono sentito come il protagonista, che si rivolge alla ragazza “che allora non c’era”. Che cerca, ma capisce quanto è difficile, di trasmettere le sensazioni, le illusioni, l’idea di “aver tutto il bene nel cuore, di aver tutto il male di fronte”, quella speranza di cambiare il mondo che avevano i nostri padri partigiani, che ereditammo noi, magari indegnamente, 25 o 30 anni dopo. Un’epopea in chiave minore, certo, senza l’eroismo più o meno implicito che caratterizzava chi prendeva le armi contro il fascismo quando ciò voleva dire, per molti, la morte, la tortura, nel migliore dei casi la galera, la deportazione. Ma con le stesse idee di fondo (o comunque molto simili). Quelle idee che alla mia generazione hanno trasmesso anche le canzoni che cantavano (e per fortuna cantano ancora) Marina e Bruno. Da Pietro Gori a Ivan Della Mea, da Pietrangeli a Pino Masi. La colonna sonora che ci ha accompagnato dai nostri 14/15 anni fino all’età adulta (certo, insieme ai Pink Floyd o a Dylan), quando eravamo centinaia (e a volte migliaia) ad ascoltare il Nuovo Canzoniere Bresciano, del quale Marina e Bruno continuano l’eredità (cosa di cui sarò loro sempre grato). Il canto di protesta, sociale, politico, che è sempre stata l’espressione delle classi subalterne, almeno fino agli anni Settanta del secolo scorso. Poi è cominciata un’altra storia. Poco a poco nei cortei (anche in quelli combattivi e numerosi) abbiamo cantato sempre meno, e sempre meno abbiamo creato slogan che dicessero a chi ci guardava sfilare cosa pensavamo del mondo. E la nuova generazione si è abituata a sfilare dietro a camion dotati di altoparlanti, che rilanciavano sì quei concetti, e spesso quelle canzoni (quasi sempre riprese e “modernizzate”), in un lento processo di passivizzazione, almeno dal punto di vista musical-letterario, se non politico. Magari, anzi quasi sicuramente, è giusto così. “Bella ciao” nella versione dei Modena City Ramblers, per esempio, è molto più bella e coinvolgente, lo riconosco, della versione “classica” che cantavamo noi. Cosa che, lo ammetto, non posso dire dei vari pezzi “rap” che dovrebbero esprimere la protesta giovanile degli ultimi 20 o 25 anni. Ma qui, si sa, è una pura questione di gusti. Anche se la vedo dura cantare insieme il “rap” in un corteo. Più probabilmente lo si ascolterà mentre cala dall’alto dei potenti altoparlanti montati sui camion “del movimento”. Beh, per farla breve, quel magone mi è venuto perché quelli che cantavano “Stornelli d’Esilio” o “L’Internazionale” (quelle tre o quattro generazioni che hanno cantato allo stesso modo, con un rispetto quasi esegetico per musiche e testi, dai bisnonni anarchici di fine ottocento, ai nonni nel “biennio rosso”, ai padri nella Resistenza, alla mia generazione) sono diventati quasi muti, e non sono riusciti a far sì che “quelle nostre speranze di allora
rivivessero in quel che tu speri“. Anche se, per fortuna, ieri sera Marina e Bruno han cantato con le ragazze e i ragazzi dello S.Coro.
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