Una piazza molto più piena degli altri “28 maggio” a cui siamo abituati negli ultimi anni. Complice il fatto che è domenica (a Brescia normalmente si lavora nell’anniversario della strage fascista), oppure la novità negativa del governo Meloni. E magari anche il fatto che c’è un bel sole, diversamente da quella maledetta, grigia mattinata di 49 anni fa. La piazza, dicevamo, era già piena quando, verso le 10, entriamo con il corteo “alternativo”: siamo circa 300, non moltissimi, ma, per i tempi che corrono, non è male. I promotori, i sindacati di base COBAS e CUB, sono presenti con le loro bandiere. Presente in forze, come da tempo non si vedeva, anche l’area del Mag47 e Radio Onda d’Urto, con uno striscione che ricorda come le trame fasciste si intreccino con le responsabilità dello stato borghese. E poi lo striscione dell’Assemblea dei Lavoratori Combattivi, che, sulla carta, dovrebbe vedere insieme i quattro sindacati di base presenti a Brescia e l’opposizione CGIL. Sulla carta, appunto. Di COBAS e CUB abbiamo già detto: hanno sfilato con le loro bandiere in uno spezzone davanti allo striscione dell’ALC. Nello spezzone dietro lo striscione le uniche bandiere sindacali erano quelle dell’USB. Assenti sia quelle della sinistra CGIL sia quelle del “convitato di pietra”, il SICOBAS, totalmente assente dalla manifestazione. E poi le bandiere “di partito”, da Sinistra Anticapitalista a Unione Popolare, da Rifondazione Comunista a Potere al Popolo, ai Carc. E poi uno striscione dell’Associazione Via Milano 59, alcuni attivisti che distribuivano La Comune, un buon numero di “cani sciolti”, componente da tempo maggioritaria di ciò che resta dell’estrema sinistra. Quando entriamo in piazza, lanciando i nostri soliti slogan contro fascismo, stato, padroni, NATO e regia democristiana (sembra di parlare quasi dei martiri di Belfiore, tanto suona strana persino a me la rima lontana almeno un trentennio), ci accoglie la voce pretesca di Fabio Corazzina, che ha sostituito, dopo la sua morte, Piero Lanzi (prete precedente), nelle giaculatorie “ufficiali” di accoglienza. Niente di personale contro il povero Corazzina (per altro inviso, a quanto pare, alle gerarchie locali del clero cattolico), ma mi fa un effetto penoso la modalità da messa funebre di recitazione, al di là del lapsus (spero non freudiano) sul “partito comunista” (invece che fascista). Ma tant’è, nella nostra Brescia bigotta e clericale il prete è come il prezzemolo, ce lo devi mettere per forza. I 300, non più giovani e forti, avrebbero l’ambizione di ricordare, oltre agli aspetti più seriamente storico-politici, che, tra gli otto assassinati, c’erano pure “due dei nostri”, Giulietta Banzi e Luigi Pinto, attivisti di Avanguardia Operaia. E che questa piazza, monopolizzata dalle “istituzioni-democratiche-nate-dalla-Resistenza”, un po’ appartiene anche a noi. Anche se gli eredi (ma lo sono davvero?) di quella parte della piazza di allora, sicuramente maggioritaria, ma non unica, che credeva nelle suddette istituzioni (e che ha dato la maggior parte dei morti e dei feriti, indubbiamente) da qualche tempo hanno “sequestrato” la piazza stessa, arrogandosi il diritto di usarla “ai soli fini istituzionali”. Vorremmo far sentire più forte le nostre voci, gridare che non siamo d’accordo con le letture addomesticate di quella strage, di quegli anni, farci sentire da quei due o tre mila che sono venuti per portare i fiori, per rivedere i vecchi amici, e magari per ascoltare le voci ufficiali dal palco. Magari urlare agli ufficiali dei Carabinieri e della Polizia che se ne vadano, che questa non è la loro piazza, che non dimentichiamo né Delfino né i Servizi Segreti né la NATO. Ma ci sono gli amici da salutare, la voce si è fatta un po’ roca e stanca. E poi, finalmente, c’è il sole. Non sarà quello dell’Avvenire, ma permette di bersi un ottimo pirlo all’aperto, come dio (pardon, Dio) comanda.
FG
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