Passo da via Guido Puletti, nell’estrema periferia orientale di Brescia. Una via che ti assomiglia, discreta, non rumorosa, pacchiana, monumentale, sopra le righe. Probabilmente oggi saresti un simpatico anziano settantenne, arzillo e bonario, molto simile a quel compagno argentino, esule nel paese di origine di suo padre, che conobbi 46 anni fa. E, credo, identico (forse con i capelli brizzolati e qualche ruga in più) a quello che mi invitò a seguirlo a Zagabria, 31 anni fa, per intervistare i “nuovi” politici croati. Eri convinto che si giocassero molte carte nell’Est Europa, per la rivoluzione socialista mondiale. “Il muro è crollato: lo stalinismo in bancarotta totale. Le masse dell’Europa orientale si rimettono in moto, contro i burocrati cinici e traditori. Si riapre un nuovo scenario per l’ascesa rivoluzionaria”. Non ci giurerei che fossero esattamente queste le tue parole, ma il senso più o meno era quello. Inguaribile ottimista, caro il mio Guido. E coerente con la stalinofobia (che allora mi sembrava esagerata) dei “lambertisti”, l’organizzazione trotskista di cui facevi parte. Eri riuscito a sfuggire agli assassini criminali in uniforme che dettavano legge tra Buenos Aires, le Ande e la Patagonia, uno dei pochissimi “reaparecidos”. Per un pelo non eri finito tra i 30 mila compagni brutalmente assassinati tra la metà degli anni ’70 e il 1982. Quando, la mattina del 30 maggio di 30 anni fa, la voce di Ilario al telefono mi annunciava il tuo assassinio, non ci volevo credere. Chi poteva voler uccidere il mite, tenero compagno Guido? Stavano parlando del Guido che conoscevo io? Quello che voleva remare ((era l’unico che conoscevo con questo “hobby”)? Quello che non riusciva a gridare gli slogan perché la natura non gli aveva fornito una voce tonante da oratore? Quello che scriveva poesie? Quello che sorrideva sempre, perennemente imbarazzato? Quello che coccolava Javier e Damian, piccolissimi bimbi sballottati dalla violenza idiota e cieca dei militari dall’altra parte dell’Atlantico? Eppure era vero. I nazionalisti islamo-bosniaci (quelli che tu, di fronte al mio classico “Il migliore lì ha la rogna” difendevi come vittime dell’estrema destra serba e croata) di Anefja Prijic ti avevano “inspiegabilmente” ammazzato. A Gornji Vakuf, in Bosnia-Erzegovina, con altri due volontari, Sergio Lana e Fabio Moreni, mentre stavate portando viveri e medicinali a Vitez e a Zavidovici (la prima in mano croata, la seconda in mano musulmana). Facile commentare ironicamente che il tuo ottimismo rivoluzionario (ma come si può essere rivoluzionari senza un minimo di ottimismo?) ti aveva portato in quella trappola mortale. Di solito quel tipo di persone, così “realiste”, così “sensate”, sono quelle che fanno fatica a muovere il loro pesante culo di piombo per battersi per qualcosa, per qualcuno. O, se lo fanno, il loro impegno dura lo spazio di un mattino, o di una moda. Altri, i più, a cominciare dai “potenti” (politici, giornalisti, ecc.) hanno cercato di esorcizzarti, definendoti “pacifista”. Non ti conoscevano. Nel migliore dei casi la loro ristrettezza mentale non prevedeva altre categorie “positive”. Nel peggiore mentivano sapendo di mentire. Perché Guido Puletti era tutto, fuorché un “pacifista” alla Gandhi o alla Luther King. Era un marxista rivoluzionario, un comunista internazionalista. Uno che aveva ben chiaro cosa voleva dire il nostro “guerra alla guerra”: nessuna guerra tra i popoli, nessuna pace tra le classi!
Hasta siempre, Guido!
Flavio Guidi

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CI SONO UOMINI CHE LOTTANO UN GIORNO E SONO BRAVI, PERÒ CI SONO QUELLI CHE LOTTANO TUTTA LA VITA: ESSI SONO GLI INDISPENSABILI. Così è stato Guido Puletti.
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