di Gianni Sartori

Secondo i dati forniti dall’Ong Hengaw sarebbero circa 200 (199 quelli finora accertati e identificati) le persone giustiziate quest’anno in Iran. Con una netta prevalenza di curdi (51) e beluci (42). Ossia il 55% del totale.

Tenendo conto che di altri 31 impiccati dal regime nel 2023 finora non è stato possibile accertare l’identità e la provenienza (5 sarebbero stranieri).

L’incremento delle condanne a morte e delle esecuzioni ha coinciso con le proteste dilagate nel paese per l’assassinio il 16 settembre 2022 di Jina Amin (che i media si ostinano a chiamare solo con il nome imposto dall’anagrafe iraniana – Mahsa – cancellandone di fatto l’identità curda).

Complessivamente nel 2022 vi sarebbe stato un incremento delle esecuzioni del 75% rispetto all’anno precedente.

Ovviamente non tutti i giustiziati sono dissidenti, oppositori o prigionieri politici. In vari casi si tratta di detenuti comuni (anche curdi e beluci naturalmente) accusati di reati come omicidio o spaccio di stupefacenti.

Tra le ultime esecuzioni quelle di due presunti “blasfemi” – Sadrollah Fazeli Zarei e Youssef Mehrdad – impiccati l’8 maggio nella prigione di Arak.

Arrestati nel 2020, venivano accusati di aver bruciato copie del Corano e per aver gestito piattaforme in rete in cui avrebbero denigrato la religione (“insulto al profeta”) e propagandato l’ateismo. Oltre ad aver offeso i dirigenti iraniani.Accuse che gli avvocati dei due avevano regolarmente respinto. Ma tant’è…

Per l’organizzazione Iran Human Rights, oltre che di un “atto crudele”,si è trattato di un “evidente insulto alla libertà di espressione”. Va anche ricordato che le condanne a morte per blasfemia sono (erano?) relativamente rare. Per cui la notizia potrebbe anche segnalare un possible ulteriore inasprimento repressivo.

Oltre a quelle, legittime e sacrosante, di Amnesty International, contro le due ultime esecuzioni si sono levate anche le proteste di Washington.

Verrebbe quasi da sorridere (se la cosa non fosse tragica) nel sentire i portavoce statunitensi recriminare sulle esecuzioni capitali in Iran – o altrove – quando negli USA (in vari Stati, con diverse modalità) sono praticate con regolarità. Sollevando il legittimo sospetto che le decisioni delle giurie possano risentire di atteggiamenti discriminatori, razzisti. A scapito soprattutto di minoranze, emarginati, classi subalterne. Mentre in Russia, (la “famigerata” Russia) la moratoria è in vigore ormai da quasi un trentennio. Anche se, vista l’attuale situazione, un possibile ripristino sarebbe in discussione. Ma così va il mondo…a geometria variabile. Si tratti di auto-determinazione dei popoli, diritti umani o ambientalismo.

Gianni Sartori