di Franco Turigliatto
Mentre televisioni e giornali sprecano tempo o spazio per colpevolizzare i settori sociali più deboli che usufruiscono del reddito di cittadinanza per mangiare e cercare di sopravvivere (una modesta cifra di 7 miliardi all’anno per 3 milioni di persone in povertà) poca attenzione viene dedicata alle magnifiche sorti dei soggetti capitalisti societari che anche nell’anno della grande crisi, 2022, hanno ottenuto eccezionali performance finanziare e grandi profitti garantendo una pioggia di cedole d’oro agli azionisti.
Investigando sulle pagine economiche di vari giornali ho infine raccolto una serie di dati, un utile promemoria per quando si discute con amici, parenti, al mercato e tanto più sui luoghi di lavoro per contrastare le narrazioni ideologiche tossiche dei sostenitori di questo splendido sistema di ingiustizie che si chiama capitalismo.
Partiamo dalla Borsa
Partiamo dunque dalla Borsa di Milano che presenta apparentemente una contraddizione: nel 2022 i listini sono scesi del 12%, ma contemporaneamente le società quotate hanno realizzato circa 70 miliardi di profitti, che si trasformeranno in circa 36 miliardi (il 2,1% del prodotto interno lordo) di remunerazione degli azionisti. Da dove vengono tutti questi soldi? Sono il prodotto della guerra, dell’aumento del prezzo del gas e degli altri prodotti energetici, ma anche del rialzo dei tassi di interesse. Complessivamente un balzo del 37% dei proventi annui delle industrie dell’energia, delle banche, ma anche delle imprese industriali.
Affari e Finanza di La Repubblica del 13 febbraio riassume così l’aria del tempo e le scelte delle imprese “ad alto dividendo”: “Alla Borsa di Milano c’è la tendenza di lungo periodo a offrire una remunerazione crescente ai soci. E potrebbe essere battuto il record del 2022. Tra i titoli giudicati più “generosi” Eni, Intesa e Stellantis”.
Consideriamo dunque per primo quel simpatico ed italianissimo soggetto raffigurato a 6 zampe: l’Eni dovrebbe aver segnato a fine anno un utile lordo del 22,6 miliardi (il doppio del 2019) e un utile netto del 13,4 miliardi (il 120% in più rispetto ai 6,1 miliardi dell’anno precedente).
Ma anche le imprese industriali non vanno male tanto che dovrebbero segnare un aumento complessivo su base annua del 32%. La Ferrari ha già annunciato i risultati del 2022: le vendite sono cresciute del 18,5%, e 13.221 vetture consegnate ai nuovi proprietari (chissà chi sono quelli che possono acquistare auto da 200, 300 ed anche 500 mila euro), specificando che ha ordini già fino al 2024.
L’utile sfiora il miliardo tanto che il Presidente Elkan (la Ferrari è controllata dalla Exxor della famiglia Agnelli), visto i risultati, ha deciso di “regalare” 13.500 euro lordi ai suoi dipendenti. (com’è buono il padrone!)
Cnh industrial ha chiuso il 2022 con ricavi consolidati di 23,55 miliardi di dollari (+20, 8%) e un utile netto di 2,04 miliardi (nel 2021 erano solo 1,8 miliardi).
Non sono stati ancora definiti i dati di fine anno di Stellantis, ma Milano Finanza a luglio ci informava del risultato record nel primo semestre: “Fra gennaio e giugno il gruppo ha registrato ricavi netti per 88 miliardi di euro, in crescita del 17% rispetto al primo semestre 2021, e un utile di 8 miliardi, in aumento del 34% rispetto all’anno scorso. Merito dell’aumento dei prezzi di listino, della vendita di più veicoli di alta gamma e degli effetti positivi dei cambi di conversione fra dollaro ed euro”. I conti del terzo trimestre hanno confermato il trend positivo con una crescita del 29% rispetto al corrispondente trimestre del 2021 con 42,1 miliardi di dollari di ricavi. Non è un caso dunque che Stellantis, viste anche le ricche cedole staccate l’anno scorso, sia considerata come una delle aziende a più alta remunerazione degli azionisti e “generosità di dividendi”. Ma Stellantis non a remore a battere cassa col nuovo governo; chiede ancora più soldi di quelli che Draghi le ha già dato per la transazione all’elettrico. Per i lavoratori dell’auto invece cassa integrazione e incerte prospettive occupazionali.
Le banche
Veniamo alle banche partendo dall’Unicredit: annuncia ricavi pari a 18,4 miliardi di euro (+ 13% sul 2021) e utili netti pari a 5,2 miliardi di euro (+ 48% rispetto all’anno precedente) con i profitti che sono cresciuti 3 volte e mezzo: annuncia anche una pioggia di dividendi: 1,91 miliardi in contanti, 3,34 di buy back (la banca riacquista le proprie azioni) che arriveranno dopo il 31 marzo e poi il resto nella seconda parte dell’anno; complessivamente 5,25 miliardi (1,5 miliardi in più dell’anno scorso). L’amministratore delegato Orcel ha dichiarato: “Il nostro piano genera più valore di qualsiasi altra operazione. Già superata buona parte del target del 2024”.
Non è da meno Banca Intesa Sanpaolo il cui l’amministratore delegato Messina ci informa che il 2022 è stato “Il miglior bilancio della storia di Intesa Sanpaolo” e che l’ultimo trimestre è stato in assoluto il miglior trimestre per utili (profitti) della storia. Complessivamente gli utili ammontano a 4,35 miliardi di euro, anzi in realtà sono 5,5 miliardi, perché 1,4 miliardi sono dedicati ad accantonamenti e rettifiche per Russia e Ucraina.
Sentenzia Messina: “Remunerare gli azionisti mantenendo una solida posizione patrimoniale è elemento essenziale del nostro DNA e resta la nostra priorità. Nei prossimi giorni lanceremo la seconda tranche da 1,7 miliardi di riacquisto di azioni proprie, portando l’importo complessivo a 3,4 miliardi. Ciò significa che quest’anno restituiremo 5,3 miliardi (agli azionisti) tenendo conto del dividendo che pagheremo a maggio, della seconda tranche di buy back e dell’acconto di dividendo che pagheremo a novembre”.
Perché le banche guadagnano tanto? Perché La BCE le ha regalato miliardi, perché pagano pochissimo gli interessi ai clienti dei conti correnti e fanno pagare tantissimo mutui e prestiti tanto più se a tasso variabile. La stretta monetaria della BCE sul costo del denaro ha strangolato i normali cittadini, ma ha rimpinzato le banche.
Inoltre gli istituti finanziari hanno aumentato ancora i costi di gestione bancari, peggiorando contemporaneamente i servizi diretti alle persone con il taglio delle agenzie e degli addetti.
La tassa sugli extraprofitti
Di fronte agli enormi guadagni delle aziende energetiche si è discusso di introdurre una tassa sugli extraprofitti. A dire il vero anche i profitti, considerati “normali”, andrebbero tassati adeguatamente. Cosa che non é.
In un primo momento, durante il precedente governo, si era parlato di un introito possibile di 10 miliardi attraverso una imposta sulle imprese dell’energia. Il governo Draghi aveva subito ridotto l’obiettivo individuando 11 mila imprese che avrebbero dovuto produrre un gettito di 4,4 miliardi di euro di gettito. Grandi proteste e ricorsi alla Corte Costituzionale degli interessati, così il nuovo governo scende a 7 mila imprese individuate con una previsione di gettito di soli 2 miliardi. Ma anche questi sembrano difficile da recuperare. Il segretario della UIL Bombardieri intervistato da “Il Fatto quotidiano” pensa che” ci sia una resistenza a sfidare quelli che vengono chiamati “poteri forti” Mah no!?
Dall’altra parte della società
Scendiamo ora nella scala sociale, anzi passiamo dall’altra parte della barricata, cioè esaminiamo le condizioni della classe lavoratrice.
È la Fabi (la Federazione autonoma bancari italiani) che ci informa che nell’ultimo anno, dopo anni di costante aumento (la punta massima dei risparmi è stata nel maggio di questo anno, 1179 miliardi di euro) il saldo totale dei conti correnti delle famiglie è sceso di 20 miliardi nel corso degli ultimi mesi. La ragione è molto chiara: le/i lavoratrici/ori per far fronte all’inflazione utilizzano i risparmi. Le spese cosiddette obbligatorie, quelle per mangiare e pagare le bollette costituiscono il 77% del bilancio delle famiglie meno “ricche”, che poi sono il 40° del totale.
La Confesercenti, per parte sua, prevedendo un aumento dell’inflazione del 5,56% anche nel 2023(in due anni +14,1%), arriva alla conclusione che il potere di acquisto dei lavoratori risulterà inferiore di 2.800 euro rispetto al 2021. Un grande furto e lo spettro della miseria per molti. E infatti è in aumento la richiesta di prestiti alle banche tanto che l’ABI afferma “La sostenibilità finanziaria delle famiglie potrebbe essere messa a rischio dal peso ancor più influente di rincari e di tassi crescenti, con conseguenze sociali che corrono il rischio di diventare preoccupanti per quelle famiglie il cui ricorso al credito è già lo strumento per far fronte a spese di istruzione, spesa, viaggi, famiglia e bollette”.
I giornali ci informano che le code per il ritiro dei pacchi alimentari e per accedere alle mense pubbliche diventano sempre più lunghe.
Mister “mani di forbice”
Anche Carlo Cottarelli, conosciuto anche come “mani di forbice”, può raccontare delle verità se pur in modo “strano” e con finalità incerte.
Cottarelli sull’Espresso ci spiega che con l’inflazione le retribuzioni reali perdono valore anche se i più non se ne accorgono cadendo in preda a una “illusione monetaria”. In realtà per i disattenti basta andare al mercato dopo il 20 del mese o anche prima per prendere contezza della realtà.
Ma Cottarelli racconta anche dati molto concreti: molti contratti di lavoro sono stati firmati nel 2021 con aumenti salariali tra il 2-3%; da allora ad oggi i prezzi sono aumentati del 15% per cui i salari hanno subito un taglio del 12-13%.
Le pensioni sono state indicizzate dal governo il primo gennaio soltanto del 7,3%, quando l’inflazione è ben superiore e solo le 4 fasce minori delle/dei pensionati hanno avuto questo parziale conguaglio, per le altre fasce, con un assegno pensionistico superiore, la perdita di reddito è stata ancora più forte.
Abbiamo già quantificato in altro articolo quanto il governo abbia rubato alle/ai pensionate/i per fare cassa per la legge di bilancio, 3,7 miliardi nel 2023, 10 miliardi nel triennio, 36 miliardi in 10 anni per gli effetti di trascinamento.
Aggiunge Cottarelli che l’aumento di 2 miliardi per la spesa sanitaria costituisce in realtà una forte riduzione della spesa stessa perché servirebbero almeno 15-16 miliardi in più per mantenere invariato il potere di acquisto del servizio sanitario.
Conclude il parlamentare del PD: “Ma perché nessun lavoratore è sceso in piazza? Cosa che sarebbe accaduto di sicuro se il salario monetario fosse stato tagliato del 12-13%”.
Interessante domanda, anche perché le lavoratici e i lavoratori per scendere in piazza collettivamente ed efficacemente hanno bisogno di strumenti organizzativi: È quello che sta avvenendo in Francia in Inghilterra.
Una domanda alla CGIL
Giriamo quindi la domanda alle Confederazioni sindacali italiane, in particolare a quella più grande e storicamente di classe, la CGIL alla vigilia del suo congresso nazionale. Voi, Direzione Nazionale della CGIL cosa proponete di fare per costruire le condizioni perché si scenda massicciamente in tanti in piazza? Perché continuate a fare inutili incontri con governo, seguiti da inutili lagne perché non siete state ascoltati? Perché non provate a fare come in Francia e in Inghilterra? Magari se il movimento operaio e sindacale rialzasse la testa in tre grandi paesi europei, potremmo anche farcela e tornare prima o poi a vincere. Anche perché è fin troppo chiaro che i soldi ci sono. Bisogna solo andare a prenderli da quelli che li hanno rubati alle lavoratrici e ai lavoratori con sfruttamento e inflazione.