Sono tempi di guerra e sono tempi molto duri per le classi lavoratrici del nostro paese sul piano delle condizioni materiali di vita, occupazionali e salariali. Il processo di insorgenza e convergenza per porre la questione dello sciopero generale [Franco Turigliatto]

Sono tempi di guerra e sono tempi molto duri per le classi lavoratrici del nostro paese sul piano delle condizioni materiali di vita, occupazionali e salariali

La trimurti dell’oppressione

Una specie di trimurti mortale stringe il collo della classe lavoratrice in un contesto di passività e di forte demoralizzazione e incertezza di larghissimi settori di lavoratrici e di lavoratori che si sentono impotenti e non difesi da alcuna organizzazione politica e sindacale.

Si tratta in primo luogo del profondo degrado che hanno subito i salari, gli stipendi e i redditi, che già erano fortemente carenti, ma che l’esplodere del carovita ha travolto, mettendo in ginocchio milioni di famiglie, tanto più quelle a monoreddito e soprattutto a monoreddito femminile.

Il secondo elemento è che il tanto decantato rilancio economico dopo la pandemia (ma essa è ancora ben presente anche se pericolosamente sottovalutata) si è tradotto in una ripresa occupazionale che ha come tratto distintivo la precarietà del lavoro, la dominanza pressoché totale delle forme di contratto a tempo determinato, parziale, di brevissima durata, una vera giungla che permette ogni sorta di sopraffazione del capitale e dello sfruttamento. Con il 20% di lavoro precario, anche il restante 80% degli occupati che ancora conserva alcune tutele è sotto ricatto.

C’è un evidente rapporto di interdipendenza tra il primo e il secondo aspetto che alimenta il terzo, drammatico elemento della trimurti, gli incidenti e le morti sul lavoro, 3 al giorno. Non un accidente, ma una conseguenza diretta della condizione di sfruttamento, precarietà e ricatto a cui è sottoposta la classe lavoratrice, di cui sono pienamente responsabili i governanti politici e i padroni, molti dei quali mostrano apertamente il loro volto ottocentesco.

Il rapporto di Oxfam Italia “DisuguItalia: ridare valore, potere e dignità al lavoro”, presentato qualche giorno fa, testimonia questa realtà di degrado e ingiustizia. Secondo il direttore di Oxfam il caso-Italia  “si basa cronicamente sulla compressione del costo del lavoro, favorita dalle politiche di flessibilizzazione che hanno visto la moltiplicazione delle tipologie contrattuali atipiche e una progressiva riduzione dei vincoli per i datori di lavoro ad assumere lavoratori con contratti a termine o a esternalizzare attività o parti del ciclo produttivo. La proliferazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro ha ridotto la capacità della contrattazione di garantire minimi salariali adeguati”.

Ipocrisie e politiche governative

Le preoccupazioni di alcuni dirigenti del PD sulle condizioni salariali delle lavoratrici/tori, visto il ruolo centrale che questo partito ha nel governo Draghi appaiono del tutto fasulle, volte solo a recuperare qualche margine elettorale; così come sono del tutto ipocrite le dichiarazioni sulla “inaccettabilità” dei morti quotidiani sul lavoro da parte dai media e dei soggetti istituzionali. Tra questi spicca il presidente della Repubblica, figura che, al di là delle sue apparenze bonarie, è intento a coprire la direzione di marcia della classe dominante che utilizza le grandi crisi in cui siamo immersi per colpire più a fondo i diritti delle classi subalterne. Per altro Mattarella non ha trovato imbarazzo alcuno a sostenere la partecipazione italiana alla guerra, dimenticandosi l’art. 11 della Costituzione e poi a firmare una legge vergognosa come quella che istituisce la giornata degli alpini, concepita all’insegna del revisionismo storico e di sostegno a una delle pagine più cupe della storia italiana, la partecipazione insieme alle forze naziste dell’aggressione all’URSS.

La politica del governo italiano è più che mai segnata dalle politiche liberiste e di riarmo all’interno di una congiuntura economica che, con la guerra, ha subito una brusca frenata spingendo il Fondo monetario a tagliare drasticamente le stime di crescita mondiali, comprese quelle italiane e a segnalare le difficoltà delle economie europee.

Per impedire che la grande fiammata dei prezzi, le difficoltà a reperire le materie prime e le strozzature commerciali prodotte dalla guerra, precipitino una crisi sociale dirompente nel paese, il governo Draghi ha tirato fuori nuove misure di ristoro verso le aziende e l’elargizione di una elemosina di 200 euro verso le/i lavoratrici/tori e le/i pensionate/i, che appare quasi ridicola di fronte alla realtà degli incrementi dei prezzi dei generi alimentari e di largo consumo e naturalmente di tutti i prodotti energetici. Queste misure vanno di pari passo con i contenuti del Recovery Plan, le “riforme” liberiste, cioè il forte rilancio delle ristrutturazioni capitaliste, il sostegno alle aziende più performanti e la piena subordinazione della manodopera. La logica del mercato deve essere dominante e la legge sulla concorrenza vuole imporla in tutti i settori, compresi quelli cosiddetti dei beni comuni su cui le istituzioni locali non debbono avere più alcuna possibilità di autonomia gestionale e di scelte discordanti.

Questa stessa logica impone il taglio delle risorse a sanità e scuola; questa ultima è colpita dal nuovo decreto segnandone lo stravolgimento totale, non più una reale scuola pubblica gestita secondo criteri di formazione ampia, plurale ed aperta, ma una scuola chiusa, aziendale, subordinata alle esigenza del capitale, volta, nel suo funzionamento e nell’ideologia indotta a realizzare una formazione della forza lavoro (robot) pienamente funzionale alle necessità di accumulazione del capitale. La portata del decreto è così dirompente che anche le direzioni sindacali burocratiche sono state costrette a dichiarare uno sciopero per il 30 maggio.

Naturalmente non può stupire che il capo della Confindustria non sia mai contento, critichi le elemosine concesse ai ceti popolari, richieda allo stato altri miliardi per le imprese, protesti per la modesta tassazione dei cosiddetti extraprofitti delle aziende energetiche e respinga ogni richiesta di aumento salariale. Il suo mestiere lo sa fare bene e con successo.

Per altro a trarre vantaggio dalla crisi non sono state solo le imprese energetiche i cui profitti e speculazioni sono saliti alle stelle, ma anche le banche hanno tratto consistenti vantaggi e così molte altre aziende, tra cui Stellantis, per non parlare della Ferrari che ha raggiunto il suo zenit di utili a testimonianza che i ricchi sono diventati ancora più ricchi.

Qualcuno non fa il suo mestiere

Chi da tempo non fa più il suo mestiere, e non svolge il compito per cui è nato, sono le grandi organizzazioni sindacali confederali: di fronte a una situazione tanto critica dovrebbero essere sul piede di guerra, attivate in una denuncia martellante e quotidiana di tutte le ingiustizie, volte a costruire in tutti i luoghi di lavoro, pubblici e privati la presa di coscienza delle/dei dipendenti, in una opera di organizzazione capillare per dare una risposta collettiva e di lotta a questa aggressione della classe dominante, a difendere con le unghie e coi denti l’occupazione e la sua qualità, salari dignitosi che permettano di vivere decentemente bloccando la spirale infernale per cui settori sempre più ampi della popolazione, anche quelli occupati, precipitano nella povertà.

Invece non è così. Siamo a un punto estremo di subalternità alle logiche del capitale e di passività delle maggiori forze sindacali. Questa posizione di subordinazione si manifesta apertamente nel sindacato più filogovernativo da sempre, la Cisl, ma non devono ingannare le dichiarazioni episodiche vagamente “combattive” di Bombardieri della UIL, rivolte solo a mostrare l’esistenza della Confederazione, quando sono ben conosciute le sue pratiche quotidiane collaborative di gestione dell’esistente e così anche le “grandi esternazioni” di Landini, il segretario della CGIL che una volta alla settimana fa un elenco di rivendicazioni che sono pura propaganda del tutto scollegata da qualsiasi volontà di riorganizzare e rilanciare la lotta della classe lavoratrice.

E’ una mistificazione totale se si parla di aumenti salariali, di difesa dei servizi pubblici, di opposizione alle spese militari, di investire nella scuola e nella sanità e poi non si fa nulla per dare gambe a queste proposte nell’unico modo con cui è possibile strappare al governo e ai padroni dei risultati, cioè con la lotta dura, generale e generalizzata. Difficile trovare nella storia del sindacalismo italiano un punto più basso, il venir meno da parte delle direzioni sindacali all’assolvimento dei compiti più elementari, quello di organizzare la difesa delle condizioni di vita quotidiana della classe lavoratrici e di riflesso anche di tutti i ceti popolari. E’ impressionante vedere che il gruppo dirigente della CGIL invece di utilizzare il congresso della Confederazione per attivare tutte/i le/i sue/suoi militanti e iscritte/i per una nuova battaglia per il lavoro e i salari, lo concepisca come uno strumento per il consolidamento burocratico del segretario e della sua componente.

In questo quadro la battaglia che l’opposizione di sinistra della CGIL sta facendo nell’ambito del congresso “per un sindacato di classe, conflittuale, che lotta, rivendica e contratta” non costituisce una vicenda interna, ma è parte essenziale di uno scontro che riguarda tutte/i nel tentativo di ricostruire una  prospettiva sindacale di classe nel nostro paese.

Questo non significa per altro il venire meno della nostra attenzione per l’attività dei sindacati di base e sui loro tentativi di costruire una alternativa  a partire da contenuti radicali e corretti. Il tema dell’unità tra i diversi sindacati, della necessità di costruire un’azione congiunta sui luoghi di lavoro ed anche la capacità di riuscire a parlare meglio alle lavoratrici e ai lavoratori che fanno riferimento ai sindacati confederali o che sono inattivi è più che mai una sfida aperta per tutti.

Verso la nuova assemblea della convergenza

Dopo la grande manifestazione di Firenze del 26 marzo dell’Insorgenza e della Convergenza” promossa dal Collettivo della GKN, il 15 maggio viene proposta una assemblea di ritorno per individuare tutti insieme  la continuazione del percorso intrapreso. Questo è oggi il punto più alto in cui le avanguardie di classe e i diversi movimenti sociali, possono incontrarsi per cercare di costruire una risposta forte e unitaria all’aggressione della classe dominante; centrali e decisive sono sia il metodo di lavoro inclusivo che si propone sia la volontà di costruire a partire dai luoghi di lavoro e dai territori le resistenze che devono diventare, per contenuti e prospettiva unitaria, delle vere insorgenze.[1]

E’ chiaro che questo percorso può avere successo solo se tutti i potenziali protagonisti, compresi quelli già organizzati in partito o sindacati, avranno volontà di partecipazione e coerenza nell’assunzione di un metodo di lavoro aperto. 

La nostra organizzazione sostiene questo percorso, così come è attiva nella altre strutture associative, tra cui la società della cura, e nei movimenti pacifisti cercando di favorire le necessarie forme di unità e di sostegno reciproco, ma anche la piena e indispensabile maturazione di una visione e prospettiva anticapitalista complessiva.

Un quadro rivendicativo coerente e la costruzione dello sciopero generale e generalizzato

Ed è in questo quadro anche che va posta la questione dello sciopero generale. Non si tratta di invocare o proclamare più  o meno a freddo lo sciopero generale, quando piuttosto di fare un lavoro di spiegazione, di rendere nuovamente credibile l’idea stesso di uno sciopero di queste dimensioni e portata, di utilizzare ogni momento di lotta e di resistenza per mostrarne la necessità, costruendone contemporaneamente le condizioni organizzative perché questo possa veramente prodursi. Non siamo oggi alla sua proclamazione, (quelli che sono indicati oggi come scioperi generali sono in realtà delle proposte di giornate di manifestazione nazionale), siamo invece dentro un lavoro di preparazione assai complesso. La riattivazione delle lavoratrici e dei lavoratori nei diversi luoghi di lavoro è inoltre un elemento fondamentale e indispensabile per contrastare con il massimo di efficacia la piaga degli incidenti sul lavoro grazie al loro controllo e partecipazione. I controlli esterni istituzionali, fortemente e colpevolmente sottodimensionati, vanno fortemente incrementati, ma da soli non bastano se contemporaneamente non si cambiano i rapporti di forza dentro le aziende.    

Relativamente più facile indicare i contenuti di un programma che sappia unire i differenti settori della classe lavoratrice e dei movimenti sociali in sinergia tra loro, ma non meno difficile farli assumere in ambiti di massa e di volontà/possibilità di poterli conseguire.

Ne indichiamo i caposaldi

L’aumento generalizzato dei salari e delle pensioni e il salario minimo legale.

La riduzione generalizzata dell’orario si lavoro a parità di salario.

L’abolizione di tutte le norme che determinano la precarietà, cioè la legge 30 con il Decreto 276 di inizio secolo, poi “perfezionato” dal Jobs Act di Renzi.

L’abolizione delle norme che favoriscono la delocalizzazione delle aziende.

Il blocco degli sfratti.

Misure contro la speculazione sul prezzo di gas e elettricità e prezzi calmierati.

Indispensabile riconquistare la scala mobile dei salari che fino agli inizi degli anni ’90 aveva difeso i salari.

Un forte imposizioni fiscale sulle grandi ricchezze.

Contro un parlamento che vota il riarmo e la moltiplicazione delle spese militari, per una loro drastica riduzione garantendo invece forti investimenti pubblici per la scuola e la sanità fondamentali per il benessere di tutta società e delle classi lavoratrici e popolari.

Il rigetto della legge sulla concorrenza e del decreto sulla scuola.


[1]  Scrive il Collettivo GKN: “Insorgere per convergere, convergere per insorgere: i due momenti non sono separati o separabili. In ogni territorio, luogo di studio, di lavoro, siamo chiamati a dar vita o seguito a scadenze di lotta, vertenze, movimenti capaci di cambiare i rapporti di forza. E perché tali momenti di lotta si producano e si consolidino, è necessario che attorno ad essi si sviluppi la massima convergenza. E’ un patto di mutuo soccorso tra soggetti, movimenti, strutture, collettivi e realtà di base siano essi in fase di avanzamento o ripiegamento” E ancora. “Cambiare i rapporti di forza, qui e ora. Sappiamo di non avere oggi la forza e la capacità di cambiare lo stato di cose presente, ma ogni nostro passo deve misurarsi con questo obiettivo. E’ bandita ogni forma di testimonialità e minoritarismo. Non ci interessa l’attivismo per l’attivismo, la resistenza per la resistenza. Ci interessa che ogni nostro atto di lotta, iniziativa, scadenza, azione, possa convergere e quindi rafforzare un processo di cambiamento.

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