Oggi pomeriggio, quando sono arrivato al presidio davanti al LIDL di via Zara, indetto in quattro e quattr’otto per protestare contro l’assassinio di Adil, ho visto negli occhi di Laura, di Abbas, di Alfredo, militanti del SICOBAS di Brescia, tutta la rabbia e la tristezza di chi Adil lo aveva conosciuto. Io, che stavo chiacchierando amabilmente con altri compagni di Sinistra Anticapitalista, mentre sistemavamo le nostre bandiere, e stavo sorridendo alle battute di un compagno, mi sono sentito improvvisamente a disagio; anzi, diciamocela tutta, in colpa. Ero lì per protestare, anzi, ero stato uno degli organizzatori del presidio. Era dalla tarda mattinata che telefonavo a destra e a manca, e rispondevo alle telefonate, ai messaggi. “Hanno ammazzato un compagno del SICOBAS, dobbiamo far qualcosa subito, anche se saremo quattro gatti”. Ma il “compagno del SICOBAS” era per me una specie di entità astratta, un simbolo, più che un essere umano in carne ed ossa. Certo, direte voi, non lo conoscevi personalmente, è normale. No, non è normale. Anche Pinelli, Serantini, Saltarelli, Franceschi, Puig Antich, Varalli, Zibecchi, ecc., fino a Carlo Giuliani, non li conoscevo personalmente. Eppure, scendendo in piazza per protestare contro il loro assassinio, mi sentivo indignato, rabbioso, pronto a tutto (o quasi) per “vendicarli”. Mentre oggi la mia indignazione, la mia rabbia (che pure erano presenti, ovviamente) erano più pacate, più sfumate, canalizzate verso il “dovere” di organizzare la manifestazione, di parlare con i compagni del SICOBAS o di Potere al Popolo, di Rifondazione Comunista o del Mag47, mentre la figura di Adil mi appariva lontana, quasi astratta. Nel frattempo contavo i partecipanti (una settantina) e li situavo nelle varie organizzazioni, politiche o sindacali. Ero “contento” che, sebbene in delegazioni ridotte, ci fosse più o meno tutto l’arcipelago dell’estrema sinistra bresciana. Ci pensavo mentre tornavo a casa: sono diventato un “burocrate” pure io (seppure senza apparato e senza prebende)? O è l’età che mi frega? Forse le decine e decine di manifestazioni per cause analoghe mi hanno reso sempre meno sensibile, in un certo senso più “cinico”? Mi sono un po’ vergognato, lo ammetto. Per questo mi sono sforzato stasera, di immaginarmi il compagno Adil Belakhdim mentre esce di casa, stamattina, per andare al picchetto davanti al Lidl di Biandrate. Tranquillo, sorridente (come appare in tutte le foto pubblicate sui giornali e i social), convinto di affrontare un’altra normale giornata di “lotta di classe”, con un picchetto di decine o centinaia di altri militanti del suo sindacato, per ottenere dei diritti “normalissimi”: un salario migliore, un orario meno massacrante, il rispetto del padrone e dei suoi scagnozzi, ecc. Forse un po’ più preoccupato del solito: avrà notato sicuramente che negli ultimi tempi le tensioni sono aumentate durante le lotte nella logistica. Poliziotti che picchiano gli scioperanti, crumiri e sbirri privati che quasi ammazzano un lavoratore del suo stesso sindacato, e così via. Insomma, i padroni e i loro servi (in divisa o meno) si stanno innervosendo sempre più. Negli ultimi anni troppi suoi colleghi hanno imparato ad alzare la testa, e stanno ottenendo miglioramenti significativi. Certo, non hanno “abolito” lo sfruttamento, ma lo stanno rendendo, a forza di scioperi, di picchetti, di cortei, un po’ meno bestiale. E questo, in questi tempi bui, in cui i “padroni” sono ri-diventati “imprenditori”, coccolati e vezzeggiati dai media, dai governi, dal centrodestrasinistragrillini (cioè praticamente da tutto lo schieramento politico “ufficiale”, dagli impresentabili melona-salvino-berlusca-renzi fino ai piddini-grillini), considerati il “ceto produttivo” (loro, che non producono nulla!), mentre chi lavora e produce la ricchezza è quasi quasi considerato un parassita, è qualcosa che, agli occhi dei ricchi parassiti mantenuti dal lavoro operaio, è inammissibile. Invece di ringraziare il “buon padrone” che ti dà il lavoro, ingrato barbone (ancor peggio se immigrato), pretendi di “impormi” i tuoi punti di vista con la “violenza” dei picchetti, degli scioperi, della ribellione “all’ordine naturale delle cose”. E quel che è peggio, questa ribellione cresce, si rafforza, diventa sempre meno “corporativa” e sempre più “coscienza di classe”. Se toccano uno, toccano tutti, urla Adil coi suoi compagni ad ogni picchetto, ad ogni sciopero. Eh no, qui si esagera. Un conto se vieni da me, caro “dipendente”, e mi chiedi in via “amichevole” un aumento, un miglioramento individuale. Un altro se cominci a far casino, a “far politica”, proponendo l’utopia di una lotta collettiva, di classe appunto. Un brutto esempio, pericoloso, che rischia di estendersi a macchia d’olio (come dimostra la crescita delle mobilitazioni degli ultimi anni). Per questo Adil sarà stato un po’ più preoccupato del solito. Avrà riflettuto sul rischio di doversi confrontare (o forse scontrare) con gente armata e organizzata (i servi ufficiali dei padroni) o con dei poveri servi “non ufficiali” ignoranti e incarogniti (i crumiri). Certamente non avrà pensato che non sarebbe mai tornato a casa, da suo moglie e dai suoi due figli. Come migliaia di lavoratori e sindacalisti, da 150 anni a questa parte. Come, appunto, Pinelli, Serantini, Saltarelli, Franceschi, ecc. ecc. Il criminale camionista 25enne che lo ha ammazzato è colpevole, ovviamente, e deve pagare. Probabilmente, essendo l’ultima ruota del carro, pagherà. E lungi da me ogni tentazione di alleggerire la sua colpa: sono tra quelli che crede che ogni individuo è responsabile di ciò che fa, dall’imperatore fino all’ultimo sbirro. Chi apriva il rubinetto del gas ad Auschwitz non può gettare la colpa solo su Hitler o su Himmler. E giustamente ha pagato. Ubbidire agli ordini, ai miei occhi, è un’aggravante, non un’attenuante. Ma è l’intero sistema che è marcio. La logica del profitto è il veleno di questa società. E le nostre vite, la vita di Adil, valgono mille volte, un milione di volte più di tutti i vostri sporchi profitti. Per farla finita con questa schifosa società è morto Adil, e tutti i mille e mille Adil che lo hanno preceduto. Cambiare il mondo è possibile, e sempre più urgente e necessario. Che la terra, che sia la pianura padana o le montagne dell’Atlante, ti sia lieve, Adil Belakhdim.
Flavio Guidi