Rientro
Finalmente la rabbia può scorrere.
Intrappolata dalla paura, prima era annichilita, sommersa.
In Palestina esprimere la propria rabbia è rischioso, gridare contro un soldato può farti finire direttamente in carcere, senza data di uscita.
Immagina cosa può succedere se ti spingi oltre…
Insieme alla rabbia scorrono le lacrime, e i ricordi.
Orange bus, vicina di sedile, una semplice domanda scritta su Google trad: vuoi ascoltare un po’ di musica araba con me? E lo scambio della cuffietta.
La preghiera delle 4 di mattina che puntualmente ti sveglia e non riesci ad accettare come possa essere la quotidianità di milioni di persone.
Gli sfoghi e le pene di amore, chi si trova in un matrimonio infelice, deciso a tavolino ma divorziare vorrebbe dire vedere poco i propri figliə, chi vorrebbe del sesso extraconiugale ma è haram, chi preferisce star da sola piuttosto di un’eterna infelicità, ma un partner lo vorrebbe eccome.
La sacralità dell’ospite, la prima regola -qui devi sentirti a casa- , il cibo squisito.
Le risate, le camminate, le mille fotografie.
Il senso di sicurezza, l’onestà e l’assenza di microcriminalità.
Ho iniziato a preoccuparmi di non lasciare incustodito il mio cellulare in aeroporto a Tel Aviv e poi sul treno verso casa in Italia. Nelle ultime tre settimane non era certo quello un mio problema.
Sono atterrata a Malpensa ieri sera tardi, a Tel Aviv mi hanno solo fatto un interrogatorio e completamente aperto lo zaino. Fortunatamente tutti i ricordi palestinesi li avevo lasciati ad un amico palestinese che me li porterà settimana prossima e la solita storia del turismo religioso ha retto.
Ho ancora dei racconti da finire di scrivere, di alcuni sono in attesa delle correzioni dei direttə interessatə, altri sono ancora delle idee.
Intanto, grazie per averli letti ❤️
Chiara
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