Di Pietro Garbarino

Moltissime considerazioni sono già state scritte e dette sulla ritrosia della nostra Presidente del Consiglio a esprimere una netta dichiarazione di negative contrarietà al fascismo o al suo portato propagandistico e pseudo-culturale ma, dopo la rilettura recente del testo di Giulio Salierno “Autobiografia di un picchiatore fascista (Ed.Einaudi – 1976) credo che, sulla base di quella istruttiva e pregevole opera del nominato e stimato sociologo,possano essere svolte, su tale tema, ulteriori rilevanti considerazioni.

Salierno, che fu dal 1948 al 1955, un impegnato e importante attivista dell’allora Movimento Sociale Italiano(MSI), ci offre un articolato e profondo spaccato di quello che era il dibattito interno di un raggruppamento politico che sin dal 1946 è sorto per sostenere e ripristinare proprio il progetto politico del fascismo.

Non a caso suoi fondatori furono, in grandissima parte ex funzionari del regime mussoliniano, ex esponenti e reduci della Repubblica Sociale italiana (RSI o Repubblica di Salò), militari ed ex militari nostalgici, rimasti fedeli al duce.

Ebbene, nel descrivere l’evoluzione politica del MSI già dai primi anni della sua attività che, si guardi bene, è stata resa possibile dall’avvento della democrazia (in un regime come quello da loro propugnato, non sarebbe neppure stata ammessa la nascita di un nuovo partito), Giulio Salierno che ben presto, dopo la sua iscrizione da giovanissimo (13 anni) nel 1948, divenne dapprima uno dei membri più attivi, e poi un dirigente della famigerata sezione romana di Colle Oppio, ci offre uno spaccato preciso e articolato delle diverse posizioni che sidibattevano in quel consesso politico.

E così il nostro autore di riferimento ci descrive dettagliatamente (stante la sua esperienza personale e diretta)le tre principali ipotesi politiche tra le quali si dividevano gli aderenti al M.S.I.

Vi era una posizione, assai minoritaria, rappresentata sostanzialmente da Giuseppe Umberto (detto Pino) Rauti,definita “spiritualista”, e ispirata dalle teorie filosofiche di Andrea Giulio Cesare (detto Julius) Evola, che mitizzavano la “tradizione”, che teorizzavano la superiorità degli “eroi” sul resto del genere umano, che praticavano credenze religiose esoteriche, ma specialmente covavano progetti di guerra “rivoluzionaria” e non ortodossa, contro il “pericolo” comunista, che loro ritenevano ormai dilagante, non disdegnando contatti e appoggi nelle forze armate nazionali, nelle fore militari alleate (in specie quelle americane) e nei servizi segreti militari.

Una seconda corrente politica, maggioritaria tra iscritti e militanti, ma poco rilevante a livello dei vertici del MSI, era quella nazionale-sociale repubblicana che si ispirava alla repubblichetta di Salò, ma si dichiarava a favore del riscatto sociale dei più poveri, si presentava come antimonarchica e laica, sosteneva la nazionalizzazione totale dell’economia ed era fermamente antiamericana.

Ma la fazione maggioritaria che, secondo il resoconto di Salierno, dominava il partito era quella che veniva denominata “la destra”.

Conservatrice, e perfino reazionaria, sul piano sociale, economico e anche religioso, nazionalista, atlantista ad oltranza e filo occidentale, ricopriva il ruolo di coscienza critica, da destra, della Democrazia Cristiana, che era allora il partito che dominava la scena politica nazionale, facendole sponda su ogni tendenza politica conservatrice, anticomunista e nazionalistica di quel partito, giocando il ruolo di puntello a destra e di sostegno a difesa dei valori tradizionalisti, cattolici e anticomunisti che già largamente covavano nella D.C.

Quell’atteggiamento tattico del MSI venne ampiamente usato dalla parte maggioritaria, moderata e conservatrice della D.C. per tutti gli anni ’50 del 1900, fino ad ipotizzare, col governo Tambroni nel 1960 una direzione politica del paese condivisa tra due partiti.

Dal 1960 all’ascesa politica di Silvio Berlusconi (che nominò tra i ministri del suo primo governo proprio la giovane Giorgia Meloni) il partito che fu di Almirante rimase emarginato, ma non inattivo, sulla scena politica nazionale. Appare dunque evidente che, agli occhi di chi ha vissuto da lungo tempo la storia del MSI, il decennio degli anni ’50 del ‘900 risulta quello in cui quel partito ebbe ruoli importanti, e perfino condizionanti della politica dei Governi che allora si alternavano con frequenza.

Si faccia memoria alla gestione della questione di Trieste e del “confine orientale”, nonché alla gestione dei profughi istriani e giuliano-dalmati.

L’MSI di allora la gestì come una grande questione, nazionalistica e di contestazione dei sistemi politici socialisti (e comunisti) dell’est europeo, che influenzarono notevolmente anche le scelte politiche del partito di maggioranza, la D.C. che allora dominava l’intero paese.

Ma se già allora quel paese era indirettamente influenzato dalla posizione politica del MSI, ciò starebbe a significare, che si trattava di una linea politica efficace e vincente da parte della formazione politica neofascista.

E tanto più lo sarebbe stata in una situazione, come quella attuale, nella quale l’attuale partito discendente dal MSI, e cioè Fratelli d’Italia (FdI) non sia più un partito minoritario, ma anzi sia il partito di maggioranza relativa.

Si badi bene, però, che si sta parlando di maggioranza relativa rispetto ad un corpo elettorale quasi dimezzato rispetto a quello che si recava alle urne negli anni ’50 del ‘900 e che era di molto superiore all’80% degli elettori aventi diritto.

Dunque, stante quel precedente storico e politico, perché non riprendere, con i dovuti aggiornamenti storici, economici e sociali dovuti al tempo trascorso, quella stessa linea politica che in pochi anni di vita del sistema democratico, e con la complicità della D.C., aveva di fatto reinserito il partito nato dalle ceneri del fascismo nel gioco politico nazionale?

Nazionalismo esasperato, ferrea fedeltà atlantica (e cioè a NATO e USA), conservatorismo economico e atteggiamento favorevole al mondo imprenditoriale capitalistico e liberista, conservatorismo etico e religioso, apertura verso ogni tipo di destra politica ed economica erano le parole d’ordine che hanno dominato la politica dell’allora MSI dall’inizio degli anni ’50 alla fine degli anni ’60 del ‘900; parole d’ordine accettate e condivise dalla classe dirigente missina, reduce in massima parte dalle rovine del ventennio mussoliniano e dalla ancor più famigerata repubblichetta di Salò, ostaggio del nazismo germanico e complice dei barbari invasori del paese.

Ma quella linea politica, quegli obbiettivi, quei contrabbandati principi non ci richiamano qualche cosa dell’oggi? Non abbiamo infatti oggi un governo conservatore in economia, filopadronale (ricordiamo che Meloni, nel suo primo discorso in Parlamento dopo la vittoria elettorale disse agli industriali: “Non vi disturberemo”). Uno dei risultati più evidenti è la crescente carneficina delle morti sul lavoro.

Non abbiamo un governo che osteggia ogni riforma civile e sociale, in nome della morale religiosa tradizionale del cattolicesimo più retrivo e che si oppone fermamente alle modificazioni e aperture sociali nei confronti di omosessuali, trans-gender e famiglie mono-sesso? Addirittura dichiarando reato universale la fecondazione eterologa assistita e strizzando l’occhio ai No-wax.

Non abbiamo un governo che, anziché affrontare il disagio sociale, che è fonte primaria di comportamenti devianti, anche sotto il profilo penale, ritiene che l’unico rimedio sia quello di reprimere penalmente (sono assai numerosi i nuovi reati introdotti in quasi tre anni di governo Meloni) e di mettere la gente nelle ormai inadeguate galere, dove fioccano i suicidi? Anche il fascismo adottava questo metodo per reprimere dissensi e disagi sociali.

Non abbiamo un governo che assiste indifferente alla carneficina di morti sul lavoro, sempre più numerosi perla sempre maggiore libertà lasciata ad imprenditori senza scrupoli, ma nel frattempo nega un salario minimo e dignitoso a chi stenta a mantenere sé stesso e la propria famiglia?

Non abbiamo un governo che, giorno per giorno, emana norme che favoriscono l’economia in nero (vedi transazioni in contanti sino a 5000 euro), favorisce contratti quanto meno ambigui tra imprenditori senza scrupoli e pubblici amministratori abolendo l’abuso d’ufficio, ripristinando così di fatto quei rapporti paternalistici e di corruttela che caratterizzavano i rapporti con la cosa pubblica ai tempi del podestà?

Non abbiamo un governo che non tollera più il dissenso (come non lo tollerò Mussolini specialmente tra il 1922 ed il 1926, ma anche dopo), perché sta cercando di trattarlo come reato penale, per poter meglio reprimere gli oppositori?

E tutto ciò senza considerare quella che è stata una autentica ossessione del MSI sia dalla sua nascita, e cioè la Costituzione della Repubblica Italiana, emanata ad esito di un lungo dibattito tra le forze politiche che avevano contribuito alla cacciata del regime fascista, e perciò ispirata da principi antitetici al fascismo.

Ma demolire la Costituzione repubblicana era anche uno degli obbiettivi di Berlusconi, all’atto della sua “discesa in campo”. Ed infatti lo sdoganamento del MSI, che allora ebbe luogo con il governo dell’ex Cavaliere, aveva proprio quella finalità.

Oggi però, gli ex seguaci dell’uomo di Arcore stanno perfino scavalcando il loro ispiratore e stanno passando all’azione diretta di demolizione della Costituzione antifascista.

Ebbene, il governo Meloni si è proposto agli italiani proprio con il proposito di demolire alcuni capisaldi del nostro sistema giuridico costituzionale: l’unità dello stato (vedi legge sulla c.d. “Autonomia differenziata”); la sovranità del Parlamento (vedi proposta id legge sul c.d. “premierato” che di fatto svilisce e mortifica l’organo elettivo democratico più importante dello Stato a favore del Capo del Governo (come fece Mussolini), e la divisione, in due distinti ordini, con conseguente indebolimento, del potere giudiziario (c.d. “Separazione delle carriere”) quale organo costituzionale di controllo del rispetto della legalità nel paese.

Cosa che si premurò di fare anche Mussolini, il quale non tollerava certo che il suo potere, nato dalla violenza e dalla sopraffazione, fosse controllato e limitato da un qualsivoglia Giudice.

Ma c’è anche una ciliegina sulla torta, e cioè il contrasto, sistematico e pervicace, all’immigrazione, peraltro in buona parte fallito.

Non dimentichiamoci infatti la natura razzista del fascismo (Almirante fu segretario de “La difesa della razza” durante il ventennio) che si traduce nella negazione sistematica dei diritti dei migranti e di chi opera per salvarli da torture, estorsioni, ricatti e naufragi.

Ebbene, possiamo dire che Giorgia Meloni e il suo governo non hanno inventato nulla rispetto alla politica del MSI negli anni ’50, ma si è limitata ad adeguare quegli insani principi alla situazione storico politica (nazionale e internazionale) attuale, tenuto pur conto dei progressi sociali ed economici che, per fortuna e senza alcun contributo del neo fascismo, il nostro paese ha potuto e saputo fare.

Si stanno invece riprendendo a piene mani le linee generali di quelle posizioni politiche, con appena una superficiale riverniciatura di attualità!

Ma ciò a cui Giorgia Meloni non può rinunciare è l’origine di questa sua apparente “nuova” proposta di

conduzione politica del paese.

Non può infatti rinnegare che quanto va tentando di affermare oggi lo si ritrova nei piani e nei programmi di coloro che sono stati protagonisti nel ventennio fascista, ed in particolare nella sua fase politica più tragica e decadenziale.

Non a caso uno dei più attivi collaboratori, e referenti, per Meloni è quell’Ignazio La Russa (ahinoi, seconda carica dello Stato) che dell’MSI ha attraversato tutta la storia, che affonda nel regime fascista, e che ha visto anche contiguità con il terrorismo eversivo, dato che non pochi esponenti e dirigenti di Ordine Nuovo risultavano iscritti al MSI, proprio negli anni in cui nelle piazze e sui treni esplodevano le bombe neofasciste.

Dunque Meloni non può prendere pienamente le distanze dal fascismo (e tanto meno condannarlo) perché essa stessa è nata e si è formata in quell’ambiente, e non può certo rinnegare i suoi maestri ed ispiratori.

Per questo la stessa sta tentando disperatamente, ed ossessivamente, di riscrivere la storia del nostro paese, per presentare in modo diverso e accattivante quella storia che l’ha portata nella posizione di potere in cui oggi la stessa si trova.

Se vogliamo impedire che ciò accada e che un giorno ci facciano passare Mussolini come un eminente statista, Almirante come un galantuomo fedele alla Costituzione della Repubblica e La Russa come un sincero

democratico, dobbiamo fare quadrato intorno alla nostra carta fondamentale, nata dalla lotta antifascista, e al nucleo di leggi fondamentali che ancora caratterizzano il nostro paese come una democrazia in progresso, prima che il governo di estrema destra le sopprima.

Certamente questo potrà creare le condizioni perché la Sig.ra Meloni ritorni a celebrare i forti dell’impero nella propria abitazione privata.


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