Nell’ultima settimana sia la confederazione dei sindacati britannici TUC (Trade Union Congress) che quella dei maggiori sindacati tedeschi (DGB) hanno preso posizione sulla questione del riamo europeo. Il TUC ha approvato a maggioranza, ma con la contrarietà di sindacati importanti, una mozione che chiede di ritirare l’appoggio dato dal 2022 alla politica britannica di riarmo (che ha visto una totale continuità tra i governi conservatori e l’attuale governo laburista). In Germania, invece, la Confederazione Tedesca dei Sindacati DGB con la sua Dichiarazione in occasione della Giornata contro la guerra del 1° settembre (nell’anniversario dell’invasione della Polonia da parte di Germania e URSS) ha dato un sostanziale appoggio alla politica di riarmo dei governi tedeschi, pur esprimendo perplessità sull’entità dell’incremento richiesto dalla NATO e l’auspicio che la spesa militare non limiti lo stato sociale e non metta in discussione l’ “economia sociale di mercato” quale garanzia di stabilità sociale e competitività.

Data la loro rilevanza, riportiamo in nota i testi integrali delle due prese di posizione..

È senz’altro un fatto positivo che all’interno dei sindacati britannici, 3 anni dopo una presa di posizione a favore della politica di riarmo, sia prevalsa una posizione contraria, nonostante al governo sia il partito Laburista di Starmer, che ha legami organici con i sindacati del TUC. Il prevalere della posizione contraria al riarmo è sicuramente anche un effetto dell’ampia mobilitazione per la Palestina, che ha coinvolto strati di lavoratori e lavoratrici, e ha costretto il governo Starmer a prendere le distanze, almeno a parole, dalla politica genocidaria di Netanyahu.

Hanno votato la mozione presentata dal sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori delle università UCU: i sindacati dei Trasporti RMT (80 mila iscritti) e TSSA (17 mila), il sindacato dei Servizi Pubblici e Commerciali PCS (190 mila iscritti), quello dei vigili del fuoco FBU, delle telecomunicazioni CWU (170 mila), dei lavoratori della scuola NEU (450 mila). Hanno invece votato contro il sindacato dell’industria e dei trasporti Unite (1,2 milioni di iscritti, secondo sindacato per iscritti), GMB (560 mila in tutti i settori) and Prospect (157 mila iscritti tra tecnici, ingegneri, ricercatori). Non ci risulta che Unison, il maggior sindacato britannico con 1,3 milioni di iscritti, abbia votato.

Ci auguriamo che questa prima, lodevole presa di posizione, anche se evita di denunciare la politica imperialista dei governi britannicinon rimanga sulla carta, ma si traduca in iniziative di lotta dei sindacati a difesa delle condizioni dei lavoratori, contro il riarmo e le politiche di guerra del governo britannico, in prima fila tra i guerrafondai d’Europa. È questo il più importante terreno di lotta politica per i rivoluzionari anche nel Regno Unito.

Mentre il voto in seno al TUC fa soffiare un vento almeno in parte favorevole alla posizione di classe, internazionalista (positiva anche la richiesta al governo di annullare la decisione con cui Palestine Action è definita “gruppo terroristico”) (*), nei sindacati tedeschi la battaglia da dare contro il riarmo e le politiche di guerra è del tutto controcorrente. Come si può verificare dalla lettura della dichiarazione della DGB (circa 6 milioni di iscritti alle diverse federazioni), si tratta di una organica posizione socialimperialista, ossia di appoggio alla politica riarmista dell’imperialismo tedesco, mal nascosto sotto enunciazioni pacifiste e ipocriti auspici di soluzioni diplomatiche sotto egida ONU di conflitti sempre più sanguinosi e in violazione del “diritto internazionale”.

La posizione nazionalista dei vertici DGB appare già nella loro visione del mondo:  “Stiamo tornando sempre più indietro nel tempo, quando l’imposizione dei propri interessi con la forza delle armi e l’aggressione militare erano considerati mezzi politici legittimi. La concorrenza tra le grandi potenze USA, Cina e Russia ha un ruolo determinante in questo sviluppo minaccioso. Nella loro lotta per l’influenza geopolitica e geoeconomica, esse promuovono una politica di confronto e di formazione di blocchi.” La responsabilità per i bagliori di guerra è di “USA, Cina e Russia”, mentre la guerrafondaia Germania e i suoi accoliti europei –  in prima fila per la continuazione della guerra in Ucraina, complici di Israele nel genocidio, istigatori delle guerre in Congo e Sudan, ma in difficoltà a costituire un proprio blocco politico-militare a causa delle divisioni interne –  sono assolti quali vittime delle mire delle “grandi potenze”.

Prosegue la Dichiarazione: “Per gli europei si aggiunge l’ulteriore sfida di non poter più contare sull’alleanza difensiva con gli Stati Uniti. Anche l’Unione Europea e i paesi europei membri della NATO corrono quindi il rischio sempre più grave di diventare pedine nelle mani delle potenze rivali.

“La Confederazione tedesca dei sindacati (DGB) e i suoi sindacati affiliati ritengono quindi assolutamente necessario rafforzare la capacità di difesa comune in Germania e in Europa.” In questo modo la Confederazione dei sindacati tedeschi abbraccia la politica di riarmo avviata dal socialdemocratico Scholz e continuata dal cristiano-democratico Merz. Le direzioni sindacali intendono portare tutta la classe operaia tedesca a sostenere la politica di riarmo propugnata dai capitalisti tedeschi, i quali hanno deciso che la Germania deve emanciparsi dalla tutela degli Stati Uniti, che stanno usando la guerra in Ucraina per logorare gli alleati europei. Nell’anniversario dello scatenamento della Seconda Guerra Mondiale da parte dell’imperialismo tedesco, proprio nella “Giornata contro la Guerra” (!!), la DGB chiama i milioni di lavoratori che organizza all’union sacrée con i capitalisti a sostegno nazione tedesca (e dell’Europa tutta) nella preparazione delle prossime guerre!

Per mitigare l’immagine guerrafondaia la DGB si premura di dire che una spesa del 5% del PIL come richiesto dagli USA sarebbe “esorbitante”, ma perché sia chiaro che non intende frenare il riarmo chiarisce che “le spese aggiuntive per gli armamenti sono giustificabili solo nella misura in cui consentono alla Bundeswehr di adempiere al proprio mandato costituzionale di difesa nazionale e ai propri obblighi di alleanza.”: quindi rispetto delle decisioni NATO. DGB vorrebbe, però, “burro E cannoni”. Chiede infatti che “le spese aggiuntive per gli armamenti non vadano a discapito del bilancio sociale, delle spese per l’istruzione e la ricerca e degli investimenti nelle infrastrutture pubbliche e sociali”. Impagabili. Il rafforzamento della “nostra capacità di difesa” deve servire, ovviamente, alla “difesa della nostra democrazia liberale e del nostro modello di economia sociale di mercato. All’esterno, dobbiamo difendere questo modello comune non solo dalla minaccia militare immediata della Russia, ma anche dal capitalismo di Stato autocratico della Cina e dal capitalismo radicale delle grandi aziende tecnologiche di stampo statunitense. All’interno, dobbiamo proteggere la nostra democrazia dal risorgere del nazionalismo e dell’estremismo di destra.”

Riarmare per difendere la “democrazia” e l’ “economia sociale di mercato” contro Russia, Cina e corporations americane, il nazionalismo e l’estremismo di destra: questa la patina progressista che cercano di dare al riarmo, per conservare il consenso dei lavoratori. Lo fanno ammiccando ai padroni tedeschi con il ricordare che l’ “economia sociale di mercato” (nella quale i sindacati godono di poltrone assicurate) non è un costo, ma un atout per il capitale: “è anche il nostro più grande vantaggio competitivo nel sistema internazionale”, assicurando il consenso e la collaborazione dei lavoratori alle strategie delle grandi imprese e del sistema.

Auspici e impegni mesi a dura prova in questi anni proprio dalla guerra in Ucraina, che ha portato alla rottura dei rapporti con la Russia e all’affossamento della Ospolitik che per decenni aveva assicurato energia a basso costo per la Germania e l’Europa, Italia inclusa. Un “vantaggio competitivo” attaccato dagli USA e ribaltato grazie alla guerra, provocando un arretramento dell’economia tedesca e dell’Europa, e riducendo i margini per il bilancio sociale, tuttora più generoso di quello italiano nonostante i pesanti tagli effettuati negli scorsi decenni.

A 80 anni dalla sua catastrofica sconfitta, l’imperialismo tedesco riprende la strada del riarmo per affermare i propri interessi su scala mondiale, in crescente autonomia rispetto alla superpotenza americana, e in parallelo ma non all’unisono con i partner-rivali commerciali europei, non essendo riuscito a formare una forza europea coesa. L’attuale avversario dichiarato è la Russia nella contesa per l’Europa orientale, ma la direzione in cui si potranno volgere le armi tedesche in futuro dipenderà dalle dinamiche tra le grandi potenze e anche dalle vicende politiche interne, dove il partito favorevole a un’alleanza continentale con Russia e Cina si è spostato dalla SPD europeista alla AfD euroscettica, che si oppone a una politica anti-russa, ma non al riarmo.

I dirigenti dei sindacati tedeschi, invece di opporsi al riarmo e alle nuove guerre che esso prepara, si impegnano a portare i lavoratori tedeschi a sostenerlo con il miraggio della difesa dello stato sociale minacciato proprio dall’aumento della spesa militare. Nel settore dell’auto questo appoggio si traduce già concretamente nel sostegno alla riconversione dalla produzione automobilistica in difficoltà alla produzione bellica. Il vicepresidente del sindacato dei metalmeccanici IG Metall, Juergen Kerner, nella stessa Giornata contro la Guerra partecipava a conferenza degli industriali sul tema “Fattore economico riarmo”.

Anche in Germania, come in tutta Europa e nelle principali metropoli, occorre che i rivoluzionari conducano una decisa battaglia contro la spinta militarista che accomuna i partiti borghesi e trova di nuovo sostegno negli apparati sindacali cooptati dai grandi gruppi capitalistici attraverso il sistema della “codeterminazione”. Una iniziativa sindacale di base ha lanciato l’appello “DIRE NO! Sindacalisti/e contro la guerra, il militarismo e la pace sociale” che è già stato sottoscritto da 28 mila persone. Il sito Rote Fahne news dà notizia di manifestazioni contro la guerra in 200 città tedesche il 1° settembre, con una dura repressione poliziesca a Colonia contro 3.000 manifestanti in quanto la manifestazione era stata vietata. Non in tutte queste manifestazioni erano presenti chiare posizioni internazionaliste, in molte erano presenti confuse istanze pacifiste, basti pensare che la DGB era presente in gran parte di esse. Ma esiste un fermento contro il riarmo che deve trovare un chiaro orientamento in senso non solo antimilitarista, ma anche anticapitalista e internazionalista.

Da questa battaglia internazionalista, dalla formazione di un fronte proletario contro la guerra dipenderà il fatto se ancora una volta i proletari saranno trascinati ad essere vittime silenziose (e carnefici) in nuove guerre per gli interessi dei propri padroni, o saranno la forza indipendente che porrà fine alle guerre insieme al dominio del capitale.

Mozione 37 – Salari, non armi

Mozione approvata, ricevuta da: UCU

Il Congresso riconosce:

i. che i servizi pubblici, i beni pubblici e le infrastrutture fondamentali della Gran Bretagna – compresi l’istruzione, la sanità, gli enti locali, le poste e i trasporti – continuano a soffrire di cronica negligenza e sottoinvestimento

ii. che ciò danneggia i lavoratori, ostacola i sindacati e aggrava il declino nazionale.

Il Congresso riconosce inoltre che:

a. il riarmo non è una base adeguata per il rinnovamento nazionale

b. inoltre, non può esserci una sicurezza nazionale significativa in assenza di massicci investimenti pubblici per ricostruire il tessuto sociale ed economico delle comunità della classe lavoratrice

c. la pressione politica esercitata da Trump continua ad aumentare i livelli previsti di spesa per la difesa, che potrebbero salire fino al 5% del prodotto interno lordo

d. nell’attuale contesto politico, una spesa sempre più elevata per gli armamenti comporterà inevitabilmente una riduzione dei fondi destinati all’istruzione, alla sanità, agli enti locali e alla transizione ecologica.

Il Congresso ritiene che:

1. dovremmo difendere, secondo le nostre migliori tradizioni, la pace e opporci alla militarizzazione

2. una campagna attiva a favore di una spesa sempre più elevata per gli armamenti rischia di segnalare l’approvazione di una più ampia spinta alla guerra, nel pericoloso contesto di una rinnovata rivalità tra grandi potenze

3. la partecipazione britannica al programma F-35 implica il coinvolgimento del Regno Unito nelle gravi violazioni del diritto internazionale commesse da Israele a Gaza.

Il Congresso decide di:

I. invertire la politica, risalente al 2022, di sostegno all’aumento immediato della spesa per la difesa

II. dare priorità alla campagna per gli investimenti pubblici nel settore pubblico britannico, decimato dall’austerità

III. impegnarsi per un pianeta sicuro e vivibile

IV. riaffermare che la priorità del nostro movimento è il welfare e i salari, non le armi e la guerra.

UCU – Sindacato delle università e dei college

Tradotto con DeepL.com (versione gratuita)

Dichiarazione della Confederazione tedesca dei sindacati in occasione della Giornata contro la guerra del 1° settembre 2025

La Confederazione tedesca dei sindacati (DGB) e i suoi sindacati affiliati si impegnano a favore di un ordine di pace e sicurezza che, nell’ambito delle Nazioni Unite, consenta la risoluzione multilaterale dei conflitti con mezzi diplomatici e un’efficace prevenzione delle crisi. Il fondamento di tale ordine è costituito dal divieto di ricorso alla forza sancito dal diritto internazionale, integrato dai principi di uguaglianza sovrana degli Stati, autodeterminazione dei popoli e libera scelta delle alleanze, instaurazione di un clima di fiducia reciproca, risoluzione pacifica delle controversie e rispetto dei diritti umani.

In combinazione con il diritto all’autodifesa garantito dal diritto internazionale e gli obblighi del diritto internazionale umanitario, sono questi principi e la loro applicazione che otto decenni fa hanno determinato la fondazione delle Nazioni Unite e che 50 anni fa sono stati inseriti nell’Atto finale della CSCE di Helsinki. Dal punto di vista sindacale, questi principi sono inviolabili in quanto pilastri di un ordine internazionale basato su regole.

Eppure, a 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, assistiamo nuovamente al moltiplicarsi dei paesi devastati dalla guerra. Dal 1945 non si sono mai verificati così tanti conflitti armati come nel 2025. Secondo le stime, entro la fine dell’anno i conflitti bellici in tutto il mondo causeranno più di 200.000 vittime. 120 milioni di persone saranno costrette ad abbandonare la loro patria a causa di conflitti, violenze e persecuzioni. I bambini sono particolarmente colpiti. Ormai un bambino su sei proviene da una zona di conflitto.

La maggior parte delle vittime di guerra si registra in Ucraina e in Medio Oriente, soprattutto nella Striscia di Gaza. Ma anche al di fuori dell’Europa e dei paesi limitrofi infuriano innumerevoli conflitti violenti “dimenticati”. Che si tratti della zona del Sahel, del Sudan, del Corno d’Africa o del Myanmar, i nostri media riportano pochissime notizie su questi e molti altri teatri di guerra (civile). Anche lì i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani contro la popolazione civile sono all’ordine del giorno.

Stiamo assistendo alla rinascita di una logica di pensiero e di azione disastrosa nelle relazioni internazionali. Non si punta più sulla forza del diritto internazionale, ma conta solo la legge del più forte. Stiamo tornando sempre più indietro nel tempo, quando l’imposizione dei propri interessi con la forza delle armi e l’aggressione militare erano considerati mezzi politici legittimi. La concorrenza tra le grandi potenze USA, Cina e Russia ha un ruolo determinante in questo sviluppo minaccioso. Nella loro lotta per l’influenza geopolitica e geoeconomica, esse promuovono una politica di confronto e di formazione di blocchi.

Per gli europei si aggiunge l’ulteriore sfida di non poter più contare sull’alleanza difensiva con gli Stati Uniti. Anche l’Unione Europea e i paesi europei membri della NATO corrono quindi il rischio sempre più grave di diventare pedine nelle mani delle potenze rivali.

La Confederazione tedesca dei sindacati (DGB) e i suoi sindacati affiliati ritengono quindi assolutamente necessario rafforzare la capacità di difesa comune in Germania e in Europa. Tuttavia, consideriamo arbitrario e valutiamo in modo estremamente critico l’esorbitante aumento delle spese per gli armamenti al 5% del PIL deciso a tal fine al vertice NATO dell’Aia.

Questo obiettivo, fissato soprattutto su pressione degli Stati Uniti, comporta spese aggiuntive per gli armamenti di entità quasi inimmaginabile. Esse corrisponderebbero a quasi la metà del bilancio federale complessivo.

In occasione della prossima Giornata contro la guerra, il 1° settembre, la Confederazione tedesca dei sindacati (DGB) e i suoi sindacati affiliati invitano il governo federale a

  • garantire che le spese aggiuntive per gli armamenti non vadano a discapito del bilancio sociale, delle spese per l’istruzione e la ricerca e degli investimenti nelle infrastrutture pubbliche e sociali.
  • non orientarsi in modo permanente, nel definire le spese aggiuntive necessarie per la difesa, all’obiettivo astratto, oggettivamente infondato e del tutto eccessivo della NATO del cinque per cento del PIL. Ogni aumento della spesa deve invece essere commisurato alle effettive esigenze in termini di equipaggiamento e capacità. Le spese aggiuntive per gli armamenti sono giustificabili solo nella misura in cui consentono alla Bundeswehr di adempiere al proprio mandato costituzionale di difesa nazionale e ai propri obblighi di alleanza.
  • correggere radicalmente la linea politica intrapresa in materia di sicurezza. Il governo federale deve impegnarsi attivamente affinché la spirale dell’armamento, che gira sempre più velocemente, venga finalmente fermata. Invece di puntare unilateralmente sulla deterrenza militare, le iniziative diplomatiche volte a mantenere e rilanciare l’ordine multilaterale devono tornare ad essere al centro della strategia. In questo contesto, i massicci tagli di bilancio previsti dal governo federale nella cooperazione allo sviluppo e nell’aiuto umanitario sono controproducenti. Devono essere urgentemente revocati.

Si tratta anche di rafforzare, attraverso il contributo della Germania, il ruolo indipendente dell’Europa come potenza di pace internazionale, una potenza di pace che si impegna con determinazione a favore di una politica di non violenza e cooperazione globale, promuove attivamente approcci diplomatici alla risoluzione dei conflitti e avvia nuove iniziative di disarmo, controllo degli armamenti e controllo delle esportazioni di armi.

In Europa abbiamo bisogno di un chiaro impegno comune su ciò che realmente intendiamo rafforzare con la nostra capacità di difesa, ovvero la difesa della nostra democrazia liberale e del nostro modello di economia sociale di mercato. All’esterno, dobbiamo difendere questo modello comune non solo dalla minaccia militare immediata della Russia, ma anche dal capitalismo di Stato autocratico della Cina e dal capitalismo radicale delle grandi aziende tecnologiche di stampo statunitense. All’interno, dobbiamo proteggere la nostra democrazia dal risorgere del nazionalismo e dell’estremismo di destra.

La fiducia nella nostra democrazia e nel nostro modello economico e sociale dipende in modo determinante da sistemi di sicurezza sociale forti, da servizi pubblici ben sviluppati, da un sistema educativo efficiente e da uno Stato attivo che investe massicciamente nel futuro. Tutto ciò costituisce elementi essenziali del nostro modello di economia sociale di mercato, che è anche il nostro più grande vantaggio competitivo nel sistema internazionale.

Le spese per gli armamenti, che gravano pesantemente sul finanziamento pubblico di tutti questi compiti dello Stato (sociale), non rafforzano la nostra capacità di difesa, ma hanno l’effetto contrario: aumentano la vulnerabilità della nostra democrazia dall’esterno e dall’interno.

È giunto il momento di tornare ai valori della Carta delle Nazioni Unite e ai principi dell’Atto finale della CSCE di Helsinki! Essere capaci di pace è l’imperativo del momento!

Tradotto con DeepL.com (versione gratuita)

(*) https://x.com/defendourjuries/status/1965828255572963456?s=46


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