di MARIO GANGAROSSA

Gaza è una trappola mortale in cui si sta consumando un genocidio.

Ma Gaza non è una enclave dentro Israele.

Nella sua parte meridionale un muro impenetrabile, costruito negli anni e rafforzato proprio allo scoppiare della guerra, la divide dall’Egitto.

È l’unica via di fuga per le vittime della guerra, l’unica possibilità di salvezza per una popolazione inerme e braccata usata come scudo umano, decimata dalle bombe, dalla fame, dalle malattie.

L’unica possibilità per non essere “martirizzati”.

Che, fuori dalla retorica fascista che come una peste dilaga e infetta le coscienze, significa crepare.

Quel muro è la continuazione di quello costruito da Israele, ha svolto lo stesso identico ruolo, ma è il muro costruito da un paese “amico”.

Una amicizia pelosa fatta dalla stessa sostanza dell’inimicizia del nemico “sionista”.

L’Egitto è corresponsabile del genocidio, per non aver garantito la “sicurezza” della striscia, come previsto dagli accordi di Camp David, ma soprattutto per non aver concesso il “permesso di fuga” alle vittime della mattanza.

Ma lo è ancora di più se si ascoltano le motivazioni per cui quella frontiera è rimasta chiusa e rimarrà chiusa anche di fronte a un olocausto.

L’Egitto ha definito la spinta al trasferimento forzato dei Palestinesi una “linea rossa”, perché il loro spostamento significherebbe la “liquidazione della causa palestinese”.

Il governo egiziano non ha consentito e non consente l’ingresso di profughi da Gaza attraverso Rafah.

Le aperture temporanee avvengono solo per “casi sanitari eccezionali” o in condizioni di cessate il fuoco negoziate.

Fuori dal linguaggio diplomatico significa, io non vi faccio entrare per non fare il gioco di Netanyahu.

Siccome ormai le alternative per la popolazione di Gaza sono solo due, o il genocidio o la fuga, io non solo non ho mosso un dito per impedire il genocidio ma chiudo l’unica via di fuga.

Dovete crepare e basta se no “la causa palestinese” va a farsi fottere.

Se le parole hanno un senso e lasciano una traccia nella storia e un marchio indelebile sui suoi protagonisti, se Netanyahu è un macellaio, Al Sisi è un infame.

Per lui, e per la totalità degli interessati amici della Palestina, gli “intrappolati” di Gaza sono solo merce di scambio.

La sua infamia sarà ben ripagata con gli accordi commerciali legati allo sfruttamento dei giacimenti di gas che si trovano proprio di fronte a quella spiaggia dove gli oligarchi egiziani andranno a passare le vacanze, a guerra finita, con la bandierina della Palestina sul bavero.

Un innocuo distintivo per abbindolare gli allocchi.

Il popolo di Gaza, non quello immaginato dalle sue “direzioni politiche” che lo hanno portato coscientemente al disastro, il popolo fatto di donne e di uomini che sanguinano e muoiono a camionate ogni giorno, è solo.

E il popolo dei senza risorse, dei proletari. Di chi non ha più nulla.

La parte di popolo “usa e getta”.

Quelli con la grana, se ne sono già andati via, vivono all’estero.

Quelli con la grana si fanno le vacanze in Italia e quando incappano in un incidente causale pretendono pure di passare per “eroi della resistenza”.

Quelli con la grana pagano i mercenari di Hamas che conducono la loro guerra suicida, vendono la Gaza cola, i gadget, le bandiere e le magliette col brand di moda.

Due milioni di disperati, merce senza valore.

Devono crepare per “la causa”, per permettere alle loro classi dirigenti di conquistarsi un posto al sole.

La beffa finale sarà che, quel valico, alla fine sarà aperto per permettere ai capi e ai “negoziatori” di tornarsene nei loro comodi alberghi di Doha dove nessuno gli chiederà conto e ragione della loro prezzolata avventura.

Chi fin dal primo giorno ha indicato la via della diserzione da questa che non è una guerra ma un massacro scientificamente preparato e concordato fra le potenze che possono cambiare il corso degli eventi nella regione, non ha nulla da rimproverarsi se non la sua impotenza di fronte alla corsa sfrenata verso la “guerra dei mondi”.

Una impotenza che dobbiamo superare spendendo tutte le nostre energie perché Gaza è un monito di ciò che ci aspetta.

È il futuro “radioso” che ci stanno preparando i padroni dell’economia e delle nazioni, divisi su tutto, ma uniti nella comune determinazione di mandare al macello i loro “popoli”.

Nessuna guerra che non sia la guerra di classe.

Io sono fermo li. Su questa linea rossa.

La linea di chi abbandona le trincee per andare a “regolare i conti” coi nemici che marciano alla loro testa.


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