Ogni guerra pone una “questione militare” che va affrontata con con gli strumenti mediati dalla strategia e dalla tattica di chi la guerra l’ha combattuta.

Anche la guerra di resistenza.

Su come condurre una guerra contro un nemico PIU’ FORTE si sono scritti decine di manuali.

E chi ha condotto la guerra partigiana, da Mao [*] a Tito, si è attenuto a quelle “regole” frutto dell’esperienza militare fatta sul campo.

Mao si ritirò sulle montagne per evitare di essere annientato.

Nella “lunga marcia” perse il 90% del suo esercito ma, senza quella scelta, non ci sarebbe stata la rivoluzione cinese.

Tito abbandonò i cannoni e gli armamenti pesanti, vitali per il suo esercito, gettandoli nella Neretva, per salvare i suoi uomini decimati dal tifo e dalle ferite.

Senza quella fuga i tedeschi li avrebbero chiusi in una trappola mortale.

La guerra partigiana e guerra di movimento.

E la regola fondamentale è NON ACCETTARE MAI lo scontro quando il nemico è più forte.

È l’unica tattica vincente.

Il sacrificio di vite umane ha senso solo in funzione dell’utilità militare di quel sacrificio.

Puoi immolarti col mitra in mano per permettere al resto dei combattenti di salvarsi.

Ma il martirio per dimostrare la tua fede è una inutile perdita di risorse.

Un favore al nemico che si risparmia il compito di stanarti.

La RESA e la RITIRATA è prevista. Il sacrificio no.

L’altra questione centrale è il rapporto con la popolazione civile.

Col TUO popolo.

Ogni partigiano sa bene che la rappresaglia del nemico ci sarà e che sarà la popolazione civile a pagare il prezzo più alto.

Questo “effetto collaterale” è ineliminabile, il terrorismo verso i vecchi e i bambini fa parte della strategia di “difesa” del nemico.

Ma tu hai un interesse non solo politico ma essenzialmente MILITARE a tenere fuori dallo scontro, per quanto possibile, i civili inermi.

Sono la tua base materiale. Se perdi il loro consenso, la loro fiducia, “prosciughi il mare in cui nuoti”.

Non avrai più case dove nasconderti ma tante “spie” che ti venderanno al nemico per liberarsi dalla tua ingombrante presenza.

L’ostilità delle popolazioni in mezzo alle quali combatti può decretare la tua sconfitta.

Per quanto possano essere condizionate dall’ideologia e per quanto possa essere totalizzante questa ideologia, la fame e le bombe trasformano le masse in folle disperate alla ricerca della propria salvezza.

E l’inferno di oggi è più convincente del paradiso che gli prospetti per domani.

L’uso dei civili come scudi umani è una follia perché il nemico, che ragiona in termini militari, non gliene frega nulla del loro sacrificio.

Pur di vincere sacrifica anche i SUOI prigionieri.

È una follia da idioti o da conniventi quando sai bene che, quei civili sono proprio l’OBIETTIVO del nemico, quelli che ha deciso di eliminare, di annientare.

Dal punto di vista militare la guerra di Gaza è stata una avventura senza prospettive.

Un suicidio collettivo.

Una guerra che i palestinesi hanno affrontato nelle peggiori condizioni possibili, le peggiori di tutta la loro storia, e gli israeliani nelle migliori condizioni possibili, le migliori della loro storia.

Con le truppe sul campo divise, le altre forze militari – Fatah per prima – che non sono intervenute nel conflitto, una direzione politica che fino a ieri si combatteva e si delegittimava a vicenda e, dall’altra parte, il governo più reazionario che Israele avesse mai avuto con un leader che ha trovato nella guerra l’occasione per evitare la galera.

L’idea di arroccarsi in una striscia di terra e difenderla fino alla morte è il maggior servizio che si possa fare a un nemico potente e determinato a cancellarti dalla faccia della terra.

Soprattutto quando sei isolato e non hai nessuno che ti sostiene e ti permette di difendersi.

Kiev sarebbe stata rasa al suolo senza il costante sostegno in armi, mezzi, risorse finanziarie, che ha mobilitato l’intero Occidente.

E l’Ucraina non è una strisciolina di terra.

Gaza era già un potenziale campo di sterminio, chiusa da un muro invalicabile compresa la sua parte confinante coi “paesi amici”.

Quel muro che gli egiziani si sono premurati di rafforzare allo scoppio della guerra.

L’unico punto da cui potevano arrivare gli aiuti militari a sostegno della resistenza, la benzina e il cibo.

Senza l’intervento diretto dell’Egitto, del suo sostegno, Gaza non poteva resistere all’assedio.

I motivi politici per cui il governo Egiziano – fra i garanti assieme agli Usa della sicurezza degli abitanti di Gaza – ha deciso di non intervenire nemmeno con una azione UMANITARIA a sostegno dei profughi, chiudendo loro la porta in faccia, è una delle tante infamie che ha costellato la vicenda.

Ma noi discutiamo dell’aspetto militare. Da quel punto di vista, asserragliarsi in una enclave senza NESSUN varco da cui è possibile essere riforniti è suicidio.

E se la guerra è la continuazione della politica a una politica suicida non può che corrispondere una guerra suicida.

Nelle condizioni in cui i palestinesi si trovavano la mattina del 7 ottobre, qualsiasi combattente con un minimo di esperienza avrebbe capito che l’unica strategia vincente era quella di portare la guerra FUORI dal proprio territorio.

Fuori da Gaza.

Portare la guerra DENTRO ISRAELE, non andare a rintanarsi in quei tunnel indifendibili dalla potenza di fuoco del nemico.

Se si era così sicuri della propria forza militare, convinti che era arrivato il momento della resa dei conti finale, il momento della liberazione della Palestina “dal fiume al mare”, si occupavano le città israeliane, ci si asserragliava nei quartieri ebraici, e si costringeva Netanyahu a bombardare le SUE città.

E si sfondava il muro con l’Egitto permettendo alla popolazione malata e affamata di trovare riparo.

Ma questo avviene nelle guerre.

E questa non è stata una guerra?

A meno che non vogliate chiamare guerra una operazione di polizia, di rastrellamento e di annientamento del nemico.

Di quelle che i vincitori fanno a guerra finita.

E non è stata guerra nemmeno quando è cominciata, il 7 ottobre.

Dal punto di vista militare è stata un’azione terrorista, senza nessuna accezione negativa perché il terrorismo fa parte di ogni conflitto, è uno strumento di lotta uguale a tanti altri.

Usato in guerra da sempre e da ambedue le parti.

Una azione di propaganda armata. Che aveva un unico obiettivo, la dimostrazione di forza di Hamas.

Non c’era nessun obiettivo militare ma un obiettivo politico, che ci riporta alla discussione tante volte fatta sulla natura di quella organizzazione.

Non era una azione terrorista finalizzata a una strategia militare.

Era una rivendicazione di esistenza in vita di una forza politica settaria.

In cosa è consistita questa azione?

Nell’uccisione di un migliaio di “ebrei” presi a caso, compresi una dozzina di thailandesi colpevoli di essersi andati a guadagnare il pane nel posto sbagliato.

E nella cattura di 250 ostaggi, di cui una trentina di bambini. In massima parte vecchi e donne.

Non c’è stato nessuno scontro militare degno di questo nome a parte un carro armato catturato e messo fuori uso e l’occupazione per qualche ora di una stazione di polizia.

Non c’è stato nessun attacco al “cuore” di Israele.

Alle sue strutture militari, alle sue strutture civili.

Una ferrovia sabotata, un ponte fatto saltare, un municipio dato alle fiamme.

Un esponente dell’occupazione sionista catturato, un torturatore individuato e giustiziato, la sede del “partito dei coloni” devastata.

L’azione più eroica rivendicata dai “guerrieri di dio” e stata la caccia ai ragazzini che partecipavano a un concerto.

Gli unici militari catturati, a parte quelli incontrati in libera uscita, sono state una decina di soldatesse prese mentre dormivano.

Dal punto di vista militare è stata una pagliacciata.

Oggettivamente una provocazione.

Una azione atta a provocare una reazione abnorme nel nemico ben conoscendone le conseguenze.

Dal punto di vista politico è stato un pogrom, la caccia a chiunque ebreo o no, sionista o no, criminale o no si incontrava.

E dopo quell’eroica giornata?

Di fronte alla violenta determinazione del nemico che non si lascia scappare l’occasione per chiudere definitivamente la partita, se ne fotte degli scudi umani, se ne fotte perfino dei suoi ostaggi, e che ha capito che, il momento in cui potrà occupare l’intera Palestina senza che nessuno muova un dito, è – finalmente- arrivato che si fa?

Si organizza la resistenza di popolo, si danno armi a chi combatte coi sassi, si fanno insorgere i campi profughi in Siria, in Libano, in Giordania, si organizzano le colonne di volontari, gli aspiranti martiri si fanno saltare in aria nelle piazze delle città israeliane.

Niente di tutto questo.

Si tratta!

Insomma avete proclamato la “guerra santa” per concluderla con uno scambio di prigionieri.

Per guadagnare qualche voto in più alle prossime elezioni, se mai ce ne saranno, in Cisgiordania.

Per guadagnarvi il consenso di chi esce dalle galere israeliane fottendovene di chi ci rientra e di chi ci muore per pagare la loro liberazione.

E si continua a trattare nonostante quei disgraziati che sono finiti nelle vostre mani non valgono più nulla, non servono più nemmeno a salvarvi la pelle.

Nonostante non hanno mai avuto valore “contrattuale” come gli ostaggi palestinesi chiusi nella trappola mortale di Gaza.

E si continua a trattare mentre Gaza viene metodicamente distrutta, i suoi abitanti massacrati, gli ospedali devastati, gli amici dei palestinesi, quelli fatti della stessa pasta di Vik, decimati.

Ma che trattate? che anche sul terreno del terrorismo siete degli idioti se pensate che 250 ostaggi possano preoccupare chi ne ha catturati 2 milioni e li tiene sotto il controllo dei suoi droni e ci fa il tiro al piccione con le sue bombe.

Ora, vi appellate all’Onu e alla benevolenza internazionale.

Ai governi, perché “facciano pressione” su Netanyahu affinché smetta di fare Netanyahu e “ritorni a trattare”. Il che sarebbe ridicolo se solo riuscissimo a dimenticare quanti palestinesi stanno piangendo.

D’accordo avete dimostrato al mondo intero, che se ne fotte altamente, che Netanyahu è “l’Hitler della nostra epoca”.

Che il sionismo è il “male assoluto”.

Intanto Bibi ha scansato la galera e passerà alla storia come il “duce” che ha costruito la Grande Israele.

Questa guerra può apparire solo una pagliacciata eppure c’è sempre del “metodo” anche nelle pagliacciate.

Smettetela di guardarla come “la guerra di liberazione nazionale del popolo palestinese”, guardatela da un altro punto di vista e da un’altra angolazione, dal punto di vista di Teheran e di Doha, e vi accorgerete che tutto ha un senso logico e razionale.

[*] Mao. Principi tattici della guerra partigiana.

. Mobilità e Flessibilità: La guerriglia deve essere estremamente mobile, evitando la guerra statica e concentrando le forze per attacchi rapidi e inaspettati, disperdendosi subito dopo.

. Concentrazione delle Forze: Concentrare una forza superiore contro un nemico inferiore in un determinato momento e luogo per garantire la vittoria in ogni singola battaglia.

. Guerra di Logoramento: Evitare battaglie decisive con un nemico superiore e concentrarsi su attacchi prolungati e su piccola scala per demoralizzarlo e consumarne le risorse.

. Sorpresa e Inganno: Utilizzare l’elemento sorpresa, la segretezza e l’inganno per compensare l’inferiorità numerica e di armamento.

. Utilizzo del Terreno: Sfruttare la conoscenza del territorio, le aree rurali, le montagne e le foreste per nascondersi, tendere imboscate e sfuggire all’inseguimento.

. Autosufficienza: Sforzarsi di essere autosufficienti in termini di approvvigionamenti, armi e munizioni, catturando il materiale nemico quando possibile


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