Riprendiamo, dal blog REFRATTARIO E CONTROCORRENTE, questo articolo di un gruppo della sinistra siriana.
Il People’s Will Party (Partito della Volontà Popolare-PWP) si definisce “partito della classe operaia siriana e di tutti i lavoratori”, che “lotta per realizzare gli interessi nazionali e di classe di questi strati sociali attraverso il lavoro di implementazione del proprio programma, a livello di politica nazionale così come socio-economico e democratico, e mira a costruire una società socialista contemporanea che elimini tutte le forme di sfruttamento dell’uomo o della nazione e che soddisfi i bisogni materiali e morali della società”.
Nel 2000, vista la loro opposizione contro la scelta della leadership del Partito comunista siriano di aderire al Fronte Progressista Nazionale guidato dal Partito Ba’ath al governo e dal dittatore Bashar Al-Assad, gran parte dei militanti di Damasco furono espulsi e, dopo aver formato il Comitato Nazionale per l’Unità dei Comunisti Siriani (con il giornale il giornale Qassioun), dettero vita nel 2012 al People’s Will Party. Il partito si unì alle manifestazioni all’inizio della crisi siriana del 2011 e diversi suoi attivisti a Damasco, Homs e DerEzzour persero la vita per mano della polizia governativa e di altri servizi, mentre altri furono detenuti o arrestati in altri governatorati siriani.
La nuova ondata popolare inizia ora!
Risoluzione pubblicata il 15 dicembre, da Qassioun
Le lotte del popolo siriano, dopo quasi 14 anni di continue sofferenze, hanno raggiunto una prima fase di vittoria, e la vittoria completa è ancora lontana. Per arrivarci occorre una nuova ondata di lotta. La prima ondata, iniziata nel marzo 2011, è terminata. Ora inizia la nuova ondata, carica di esperienze e lezioni della prima. La strada da percorrere per completare la vittoria è ancora lunga e il popolo siriano deve ancora lottare.
Le esperienze di altri paesi – in particolare Tunisia ed Egitto – ci hanno insegnato che la partenza e la fuga dei tiranni non significano la fine del regime, e che il cambio di volti e di cappelli non significa la vittoria della rivoluzione. Ci hanno insegnato che il processo rivoluzionario di cambiamento radicale e completo del regime è un processo complesso e arduo che richiede una lotta ostinata, consapevole, organizzata e continua. Altrimenti, la tirannia e l’oppressione sono sempre in grado di camuffarsi con nuovi volti e nuovi cappelli.
Il processo rivoluzionario non è solo un momento passeggero in cui un’autorità viene sostituita da un’altra. È piuttosto un processo continuo, la cui arma principale è il popolo organizzato, consapevole dei propri interessi e dei propri diritti e pronto a difenderli in tutte le sedi e in ogni momento. Il suo obiettivo è che il popolo assuma il potere con le parole e con le azioni, la sovranità sulla sua preziosa e cara terra e la completa sovranità sulle sue risorse e sul suo lavoro.
In questo senso, la rivoluzione, come abbiamo detto più volte, è ancora davanti a noi e non dietro di noi. Abbiamo il diritto di gioire per l’apertura dell’orizzonte della speranza e per i caldi raggi di sole che penetrano nelle nostre stanche ossa dopo decenni di buio e freddo mortale. Tuttavia, abbiamo anche il diritto e dobbiamo fare in modo che la nostra gioia sia armata di vigilanza, saggezza e grande disponibilità a lottare per completare la vittoria. Chi si spinge nella gioia fino a dire: “Lavoro ben fatto, la missione è compiuta, tornate alle vostre case”, o sono degli illusi, o non vogliono che il popolo siriano occupi il posto che gli spetta sul palcoscenico della storia.
La questione non riguarda il grado di fiducia in questa o quella autorità de facto, ma piuttosto la nuova mentalità che dovrebbe prevalere tra i siriani. Non dobbiamo farci mordere due volte dallo stesso serpente.
La nuova mentalità che dovrebbe prevalere è quella che rifiuta di arrendersi al “partito leader”, al “leader storico unico” e alla “leadership saggia”. La mentalità che dovrebbe prevalere è che l’autorità e i leader sono dipendenti del popolo, che li controlla, li ritiene responsabili e li sostituisce. Non possono farlo se non sono un popolo organizzato che possiede gli strumenti per difendere i propri diritti, la propria sovranità e la propria dignità.
Il primo capitolo del processo rivoluzionario si è concluso e ora è iniziato un nuovo capitolo, il cui titolo principale è la spinta verso un vero pluralismo politico, verso la democrazia e la giustizia sociale. La porta d’accesso a tutto questo è la piena attuazione della tabella di marcia delineata nella Risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che si basa sul diritto del popolo siriano all’autodeterminazione, attraverso il dialogo tra i siriani, tutti i siriani. Ciò significa la formazione di un organo di governo transitorio e la stesura di una nuova costituzione, seguita da elezioni in cui i siriani scelgano chi li rappresenterà nell’amministrazione e nella guida del nuovo stato.
La vera linea di demarcazione tra i siriani è sempre la stessa: la linea di demarcazione socioeconomica, dove oltre il 90% dei siriani sono produttori impoveriti e depredati, appartenenti a tutte le etnie, sette e religioni, e anche a tutte le affiliazioni politiche, comprese quelle ormai superate tra “lealisti” e “opposizione”, e meno del 10% sono i depredatori corrotti e tirannici, anch’essi appartenenti a tutte le etnie, sette, religioni e affiliazioni politiche passate e presenti.
La linea di demarcazione sociale è uno dei fondamenti più importanti, a cui bisogna prestare attenzione nel processo di lotta verso una rivoluzione completa che cambi il regime in modo radicale e completo a beneficio del popolo siriano, cioè a beneficio del partito del 90%.
Quindi, avanti tutta!
Organizziamoci, organizziamoci, organizziamoci!
L’ampio lavoro rivoluzionario è appena iniziato!
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Tra le prime cose fatte da Al Jolani è stato dire alle donne che lo salutavano di coprirsi il capo.
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Come volevasi dimostrare. Fidarsi degli islamisti, anche si spacciano per moderati, è un suicidio politico. E spesso anche fisico
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