di Mario Gangarossa

Il modo di ragionare dei campisti è semplice.

Esiste un solo imperialismo. L’imperialismo Usa.

Origine di tutti i mali del mondo e di tutte le forme di oppressione economico sociali e militari del pianeta.

Casamatta del capitalismo, del dollaro, “colonizzatore” economico e militare dell’intero pianeta.

E la lotta contro l’imperialismo americano è la lotta che caratterizza l’intera epoca storica che stiamo attraversando.

Tutto ciò che si oppone al “grande Satana” è progressivo e va appoggiato e tutto ciò che mette in crisi i nemici di Washington va condannato come provocazione.

“Il nemico del mio nemico è mio amico” ma anche “tutto ciò che indebolisce lo sforzo comune contro il mio nemico principale è mio nemico”.

Per i campisti esistono le nazioni, nemmeno i popoli che vengono etichettati per “buoni” o “cattivi” a seconda dei rapporti o dei conflitti che i loro governi hanno con il governo americano.

Non esistono contraddizioni o almeno tutte le contraddizioni spariscono di fronte alla contraddizione principale e all’imperativo di “combattere l’imperialismo”.

Non esistono contraddizioni all’interno del campo imperialista i cui rapporti interni sono solo rapporti di sudditanza e le cui borghesie sono composte da ebeti esecutori di ordini e i cui governi sono considerati al pari di governi fantoccio.

All’imperialismo unico, indivisibile, immobile nella sua astoricità, si contrappone l’altro mondo.

Una miscellanea indefinita di cui nulla ci è dato sapere se non che “sono contro l’imperialismo”.

Sono paesi a regime capitalistico? E quindi imperialisti in atto o per tendenza naturale?

Sono “altro” dall’imperialismo e questo basta e avanza.

Sono paesi governati da bande di criminali e da cricche borghesi reazionarie?

Che importanza ha.

Cazzi loro. Delle donne e dei proletari iraniani, delle minoranze curde, dei palestinesi che devono unirsi attorno alle milizie islamiste. Degli israeliani che non possono opporsi a Netanyahu perché non gli è concesso di essere altra cosa di un popolo oppressore. Dei ragazzi russi e ucraini che scappano da una guerra che non vogliono subire.

L’unità nazionale, il popolo unito, dei paesi in lotta contro l’imperialismo Usa è il valore supremo al quale sacrificare tutto il resto.

Dalla “guerra del mondi” non si diserta.

Disertare è tradire la propria nazione, la propria patria, il proprio popolo. La sua storia e le sue tradizioni.

La propria “lotta per l’autodeterminazione”.

Per un campista porre la questione sociale, parlare di classi, di lotta fra le classi è qualcosa di incomprensibile.

E chi la pone, chi divide i popoli nelle sue componenti sociali, chi pratica il conflitto dentro le “nazioni amiche”, è un nemico da combattere.

Un campista è anticomunista per definizione.

Un nemico giurato delle classi dominate che sono solo destinate a svolgere il ruolo di partigiani.

A arruolarsi nell’uno o nell’altro campo.

Quando spontaneamente l’unità nazionale del fronte imperialista viene spaccata dalle contraddizioni interne, è la prova provata della ribellione delle masse all’oppressione “straniera”.

Quando ciò avviene nel campo avverso è provocazione, l’azione perversa degli strateghi del Pentagono che corrompono i popoli e li spingono a ribellarsi contro i loro “legittimi governi”, a tutto vantaggio dei “liberatori” a stelle e strisce.

Le classi non esistono.

E dove la lotta di classe fa timidamente sentire la sua voce bisogna esorcizzarla, reprimerla.

E una teorizzazione reazionaria che ha le sue radici nel nazionalismo. Quello di scuola fascista e quello di scuola staliniana. E non è un caso che, le due sette, si trovano spesso a utilizzare le stesse parole d’ordine e a condurre le stesse battaglie.

Chi nega la lotta di classe e ad essa contrappone la lotta fra le nazioni sta dall’altra parte della barricata, con lui non c’è nulla da discutere.

È il fascismo dell’epoca che stiamo vivendo.

Anche quando veste gli abiti del nazional-comunismo.

In quanto ai campisti a loro insaputa, e ce ne sono troppi in giro che continuano a immaginarsi marxisti senza aver capito nemmeno l’abc di ciò di cui parlano, finiranno alla coda della peggiore feccia reazionaria, prodotta essa stessa dalla putrescenza del capitale.

Inneggeranno ai Pasdaran e agli Houthi, dopo aver inneggiato alla Wagner e al pope Kirill, e agli sbirri di Pechino che portano il “nuovo ordine mondiale” a Hong Kong.

A Erdogan e a Orban. A Hamas e alla Sharia.

Agli eroici combattenti Ceceni e ai droni “antimperialisti” che piombano sulle città dei “popoli oppressori”, giusta vendetta per i droni imperialisti che piombano sulle città degli “popoli oppressi”.

Finiranno anche loro col stringere la mano agli Alemanno immaginandosi tanti piccoli Molotov mentre brindano con Ribbentrop alla spartizione della Polonia.

Ma i tempi sono cambiati non c’è più un “campo socialista” in nome del quale si è sacrificato il futuro della rivoluzione proletaria.

E si sono giustificate le peggiori infamie.

Ci stanno solo nazioni borghesi in lotta, briganti che si rubano a vicenda il profitto fatto sulla pelle di chi lavora e produce.

E non è detto che questa volta la vostra partita a Risiko finisca come sperate.