di Mario Gangarossa
Il modo di ragionare dei campisti è semplice.
Esiste un solo imperialismo. L’imperialismo Usa.
Origine di tutti i mali del mondo e di tutte le forme di oppressione economico sociali e militari del pianeta.
Casamatta del capitalismo, del dollaro, “colonizzatore” economico e militare dell’intero pianeta.
E la lotta contro l’imperialismo americano è la lotta che caratterizza l’intera epoca storica che stiamo attraversando.
Tutto ciò che si oppone al “grande Satana” è progressivo e va appoggiato e tutto ciò che mette in crisi i nemici di Washington va condannato come provocazione.
“Il nemico del mio nemico è mio amico” ma anche “tutto ciò che indebolisce lo sforzo comune contro il mio nemico principale è mio nemico”.
Per i campisti esistono le nazioni, nemmeno i popoli che vengono etichettati per “buoni” o “cattivi” a seconda dei rapporti o dei conflitti che i loro governi hanno con il governo americano.
Non esistono contraddizioni o almeno tutte le contraddizioni spariscono di fronte alla contraddizione principale e all’imperativo di “combattere l’imperialismo”.
Non esistono contraddizioni all’interno del campo imperialista i cui rapporti interni sono solo rapporti di sudditanza e le cui borghesie sono composte da ebeti esecutori di ordini e i cui governi sono considerati al pari di governi fantoccio.
All’imperialismo unico, indivisibile, immobile nella sua astoricità, si contrappone l’altro mondo.
Una miscellanea indefinita di cui nulla ci è dato sapere se non che “sono contro l’imperialismo”.
Sono paesi a regime capitalistico? E quindi imperialisti in atto o per tendenza naturale?
Sono “altro” dall’imperialismo e questo basta e avanza.
Sono paesi governati da bande di criminali e da cricche borghesi reazionarie?
Che importanza ha.
Cazzi loro. Delle donne e dei proletari iraniani, delle minoranze curde, dei palestinesi che devono unirsi attorno alle milizie islamiste. Degli israeliani che non possono opporsi a Netanyahu perché non gli è concesso di essere altra cosa di un popolo oppressore. Dei ragazzi russi e ucraini che scappano da una guerra che non vogliono subire.
L’unità nazionale, il popolo unito, dei paesi in lotta contro l’imperialismo Usa è il valore supremo al quale sacrificare tutto il resto.
Dalla “guerra del mondi” non si diserta.
Disertare è tradire la propria nazione, la propria patria, il proprio popolo. La sua storia e le sue tradizioni.
La propria “lotta per l’autodeterminazione”.
Per un campista porre la questione sociale, parlare di classi, di lotta fra le classi è qualcosa di incomprensibile.
E chi la pone, chi divide i popoli nelle sue componenti sociali, chi pratica il conflitto dentro le “nazioni amiche”, è un nemico da combattere.
Un campista è anticomunista per definizione.
Un nemico giurato delle classi dominate che sono solo destinate a svolgere il ruolo di partigiani.
A arruolarsi nell’uno o nell’altro campo.
Quando spontaneamente l’unità nazionale del fronte imperialista viene spaccata dalle contraddizioni interne, è la prova provata della ribellione delle masse all’oppressione “straniera”.
Quando ciò avviene nel campo avverso è provocazione, l’azione perversa degli strateghi del Pentagono che corrompono i popoli e li spingono a ribellarsi contro i loro “legittimi governi”, a tutto vantaggio dei “liberatori” a stelle e strisce.
Le classi non esistono.
E dove la lotta di classe fa timidamente sentire la sua voce bisogna esorcizzarla, reprimerla.
E una teorizzazione reazionaria che ha le sue radici nel nazionalismo. Quello di scuola fascista e quello di scuola staliniana. E non è un caso che, le due sette, si trovano spesso a utilizzare le stesse parole d’ordine e a condurre le stesse battaglie.
Chi nega la lotta di classe e ad essa contrappone la lotta fra le nazioni sta dall’altra parte della barricata, con lui non c’è nulla da discutere.
È il fascismo dell’epoca che stiamo vivendo.
Anche quando veste gli abiti del nazional-comunismo.
In quanto ai campisti a loro insaputa, e ce ne sono troppi in giro che continuano a immaginarsi marxisti senza aver capito nemmeno l’abc di ciò di cui parlano, finiranno alla coda della peggiore feccia reazionaria, prodotta essa stessa dalla putrescenza del capitale.
Inneggeranno ai Pasdaran e agli Houthi, dopo aver inneggiato alla Wagner e al pope Kirill, e agli sbirri di Pechino che portano il “nuovo ordine mondiale” a Hong Kong.
A Erdogan e a Orban. A Hamas e alla Sharia.
Agli eroici combattenti Ceceni e ai droni “antimperialisti” che piombano sulle città dei “popoli oppressori”, giusta vendetta per i droni imperialisti che piombano sulle città degli “popoli oppressi”.
Finiranno anche loro col stringere la mano agli Alemanno immaginandosi tanti piccoli Molotov mentre brindano con Ribbentrop alla spartizione della Polonia.
Ma i tempi sono cambiati non c’è più un “campo socialista” in nome del quale si è sacrificato il futuro della rivoluzione proletaria.
E si sono giustificate le peggiori infamie.
Ci stanno solo nazioni borghesi in lotta, briganti che si rubano a vicenda il profitto fatto sulla pelle di chi lavora e produce.
E non è detto che questa volta la vostra partita a Risiko finisca come sperate.
Forse non vi siete accorti che questo scritto annovera fra i campisti (“campisti a loro insaputa che continuano a immaginarsi marxisti”) anche l’organizzazione internazionale di cui alcuni di voi fanno parte, la Quarta Internazionale.
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In realtà la maggioranza (risicata) della Quarta potrebbe esser definita “alter-campista”, per la sua valutazione dell’Ucraina come “paese oppresso”.
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Quindi voi stessi, da dentro la Quarta Internazionale, definiste la vostra organizzazione campista (o alter-campista). Ho capito bene?
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Quindi voi stessi, da dentro la Quarta Internazionale, definite la vostra organizzazione campista (o alter-campista). Ho capito bene?
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Non userei il plurale. Io personalmente penso che una parte della Quarta (In particolare il NPA), convinta di trovarsi in una situazione simile a quella dell’Algeria o del Vietnam degli anni 50 e 60, ha preso un abbaglio colossale. E per combattere giustamente il campismo, ha piegato il bastone dalla parte opposta.
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Quindi per voi l’NPA e i campisti stanno sostanzialmente sullo stesso piano? Perché è proprio questo ciò che l’articolo dice. Chiedo per capire.
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per niente. I campisti hanno una visione geopolitica, totalmente avulsa dalla lotta di classe e anti-internazionalista, indifferente all’ingiustizia. I compagni del NPA fanno un’analisi per me sbagliata, ma partono da principi internazionalisti da me condivisi
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Ancora un appunto: non usare il plurale. Brescia Anticapitalista non è un partito, ma un blog pluralista, aperto a tutte le correnti del marxismo rivoluzionario (trotskisti, bordighisti, luxemburghiani, consiliari, ecc.) e dell’anarchismo. E ci possono scrivere pure quelli che non condividono le posizioni di cui sopra. Gli articoli firmati sono responsabilità della persona che li firma.
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Flavio, allora non capisco che senso abbia pubblicare un testo che dice che l’NPA (e altri che condividono la stessa analisi) finiranno alla coda della peggiore feccia reazionaria, chiamandoli “campisti a loro insaputa” e mettendoli di fatto sullo stesso piano di stalinisti, fusariani e simili. A meno che non lo pensiate pure voi. Poi se, in nome dell’apertura a tutte le correnti del marxismo e a tutte le voci, ci si vuol prendere a mazzate sui propri zebedei, facciamo pure. Ma non credo che ciò sia d’aiuto né alla chiarezza delle proprie posizioni né a un approccio giusto e obiettivo alle posizioni altrui.
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Caro Giuseppe, a parte il fatto che, come ti ho scritto sopra, pubblichiamo contributi sui quali non necessariamente io (o gli altri compagni) siamo d’accordo, credo che, in questo caso, tu abbia frainteso l’intervento di Mario. Non penso si riferisse al NPA e/o ad altri che possiamo definire “filo-ucraini”. Probabilmente si riferisce (o almeno io l’ho interpretato così) ai tanti “filo-putiniani” che, pur non autodefinendosi “campisti” (nel senso che non riconoscono un ruolo positivo al putinismo o alla Cina stalino-capitalista, ecc. ecc.) agiscono come se questa “positività” esistesse. Posso sbagliarmi, ma il ragionamento di Mario mi sembrava andare in quella direzione. Se avesse la gentilezza di risponderti personalmente sarebbe meglio.
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Non mi pare di aver frainteso. Il testo parla di “inneggiatori” dei combattenti ceceni. Qui non si capisce. Chi sono questi eroici combattenti ceceni? I ceceni che hanno combattuto contro i russi o i ceceni che hanno combattuto a fianco dei russi (Kadyrov)? Perché nel primo caso gli “inneggiatori” non coinciderebbero certamente con i campisti.
Ma andiamo avanti. Ci sono poi gli “inneggiatori” (mah…) di Hamas e degli houthi. Ebbene, fra questi non ci sono di certo solamente i campisti o gli stalinisti. Ci sono molte organizzazioni di classe, in Italia e a livello mondiale, che hanno dichiarato la difesa di questi soggetti (pur non appoggiandoli o difendendoli politicamente) contro l’imperialismo occidentale e il sionismo. Tutti stalinisti? Tutti campisti? Tutti sullo stesso piano?
Inoltre il testo allude alla lotta per l’autodeterminazione (mettendola non si sa perché fra virgolette) come qualcosa che coincide o che porta automaticamente al campismo.
E poi il pensiero dell’autore mi sembra chiaro anche da altri suoi scritti, che mettono nello stesso calderone, in maniera un po’ bordighista e un po’ furbetta, chi sta dalla parte dell’imperialismo russo e chi vi si oppone (“…non hanno capito un cazzo… qualsiasi sia la guerra che volete combattere e qualsiasi sia il nemico… che difendiate i valori “non negoziabili” della democrazia o l’autodeterminazione di un popolo aggredito… Perfino se pensate che da quelle macerie possa emergere la bandiera rossa): https://contropiano.org/news/politica-news/2022/03/07/guerra-e-pace-guerrafondai-e-smemorati-0147215
Quindi mi pare proprio che per il nostro amico, che ci dà lezioni di anticampismo, Fusaro, Rizzo e l’NPA sono esattamente la stessa cosa.
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Ho chiesto a Mario di risponderti sul blog. Spero lo faccia. Da parte mia, se ben interpreto ciò che scrive, credo si riferisca ai ceceni di Kadyrov. Per quanto riguarda le mie posizioni, devo ammettere che sono in una fase di rimessa in discussione delle posizioni “classiche” (del bolscevismo, della IV Internazionale, ecc.) sul problema dell’autodeterminazione. Forse non aveva tutti i torti Rosa, col senno di poi (oltre un secolo di brutte esperienze) rispetto a Lenin. Il discorso sarebbe troppo lungo in un breve commento. Schematicamente posso solo dire che non mi convince più la “difesa di un (popolo? nazione?) aggredito, indipendentemente dalla sua direzione politica. In Palestina mi batto ovviamente contro l’aggressione sionista (e contro lo stato razzista d’Israele), ma senza appoggiare né Hamas né ciò che resta dell’OLP. Mentre appoggio (quasi) senza riserve la lotta del Rojava, che tutto sommato va in una giusta direzione. Per fare un esempio “storico”, non credo che oggi sarei disponibile ad imitare Ilio Barontini in Etiopia: tra Mussolini ed Hailè Selassiè, il migliore aveva la rogna. Come Putin e Zelensky.
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Di fronte ai processi storici che non dipendono dalla loro volontà le “avanguardie” si definiscono sulla base delle indicazioni concrete rispetto alla situazione concreta che affrontano.
Quale siano le intenzioni di chi le esprime, buone o cattive che siano, quali teorizzazioni ci siano dietro è, per chi quelle indicazioni deve trasformarle in azione concreta, un fatto irrilevante.
Una indicazione politica è adeguata o non è adeguata rispetto all’unico punto di riferimento che abbiamo. Gli interessi delle classi dominate.
Fa fare un piccolo passo in avanti sul terreno della coscienza e della consapevolezza dei proletari che, è bene ricordarlo, oggi sono folla, popolo, senza un partito nè una strategia? O li riporta indietro a percorrere strade già battute e fallimentari?
Il signor Giuseppe può definirmi bordighista, io ricambiare definendolo campista cosciente, perché per quanto mi riguarda campisti “a loro insaputa” non sono certo le organizzazioni politiche e i militanti con una storia e un pensiero strutturato.
Sono categorie soggettive, che servono a semplificare le nostre posizioni, o l’idea che ognuno di noi ha dell’altro. Dal punto di vista del dibattito politico non fanno fare nessun passo avanti a chi ci legge.
Io parto sempre da un principio. Analisi concreta di una situazione concreta. E di questo vorrei che si dibattesse. Per altro con una certa fretta visto che dall’altra parte il livello di scontro fra le varie frazioni del capitale è tale che ci vorrà poco prima che i proletari finiscano per scannarsi a vicenda, “partigiani” delle loro rispettive borghesie.
Già lo fanno. La discussione è semplice e elementare. Questa guerra è o non è una guerra imperialista fra nazioni imperialiste? Dentro questa guerra esistono nazioni che possono “autodeterminarsi” e condurre una “guerra di liberazione” “autonoma” dallo scontro globale in atto? Esiste un imperialismo “più aggressivo” e uno “emergente” che “subisce” e si “difende”? E se si, esiste un interesse per le classi dominate a una alleanza, sia pure tattica, con le borghesie che lo rappresentano? Siamo nell’epoca in cui la contraddizione principale non è ancora, o non è più, quella fra capitale e lavoro ma dobbiamo ricominciare a ripercorrere le fasi, le tappe, delle rivoluzioni nazionali? O l’epoca delle rivoluzioni democratiche è già tramontata e si pone all’ordine del giorno la questione della rivoluzione socialista? La “legge bronzea” dell’autodeterminazione delle nazioni è una scelta tattica costruita in un particolare periodo storico o è un “principio irrinunciabile” dell’azione presente e futura dei comunisti? Qual’è il compito dei comunisti di fronte a questa guerra? Parteggiare per uno dei contendenti o propagandare la diserzione e lavorare per sviluppare la lotta di classe è l’unita dei proletari di tutti i paesi?
La risposta non ce la danno i “testi sacri” letti in maniera avulsa dal contesto storico e dalle condizioni materiali di quando furono scritti. Ce la danno i fatti. Il bilancio delle nostre azioni e delle nostre indicazioni politiche. Se il marxismo di cui vantiamo la conoscenza, qualcuno pure l’interpretazione esclusiva, è un metodo per trasformare la realtà e non un formulario per alchimisti.
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Questo commento non solamente dà ragione alla mia interpretazione dell’articolo ma rende il discorso dell’autore ancora più esplicito nella sua critica indiscriminata, e a questo punto aggiungerei anche confusa, secondo cui sono tutti campisti.
Questa guerra è o non è una guerra imperialista fra nazioni imperialiste?
Mi scusi, ma di quale guerra sta parlando? In questo momento di guerre per il mondo se ne contano per lo meno sulle dita di una mano.
Non è dato sapere di quale guerra (al singolare, nemmeno al plurale) si sta parlando. Ma in compenso è dato sapere che, di qualsiasi guerra si parli, la tattica proposta da Gangarossa è sempre la stessa e si applica a tutti i contesti. O per lo meno, questo è ciò che si evince dal suo commento.
Dentro questa guerra esistono nazioni che possono “autodeterminarsi” e condurre una “guerra di liberazione” “autonoma” dallo scontro globale in atto?
Ma perché, in epoca contemporanea sono mai esistite autodeterminazioni o guerre di liberazione autonome dallo scontro globale? E quali sarebbero state? Mi sa fare qualche esempio?
Esiste un imperialismo “più aggressivo” e uno “emergente” che “subisce” e si “difende”? E se si, esiste un interesse per le classi dominate a una alleanza, sia pure tattica, con le borghesie che lo rappresentano?
A parte il fatto che da una (eventuale) risposta positiva alla prima domanda non discende affatto logicamente la seconda domanda. Ma qui chi ha mai parlato di alleanze tattiche con le borghesie? E poi, di quali borghesie? Anche qui non è dato sapere.
Siamo nell’epoca in cui la contraddizione principale non è ancora, o non è più, quella fra capitale e lavoro ma dobbiamo ricominciare a ripercorrere le fasi, le tappe, delle rivoluzioni nazionali? O l’epoca delle rivoluzioni democratiche è già tramontata e si pone all’ordine del giorno la questione della rivoluzione socialista?
Domanda tipicamente mal posta e mal pensata. Alla quale occorre rispondere con un’altra domanda: il fatto che si pone all’ordine del giorno la rivoluzione socialista significa forse che le contraddizioni etniche e nazionali siano scomparse, dissolvendosi con un colpo di bacchetta magica? Vuol dire che non hanno più peso, significato, incidenza? Seriamente Gangarossa pensa questo? E allora come spiega quello che sta succedendo a Gaza da sei mesi? Che rapporto c’è fra imperialismo e oppressione nazionale? Secondo lei nessuno, pare di capire.
Qual’è il compito dei comunisti di fronte a questa guerra? Parteggiare per uno dei contendenti o propagandare la diserzione e lavorare per sviluppare la lotta di classe è l’unita dei proletari di tutti i paesi?
Domanda semplificatoria, di un’astrattezza assoluta. Di nuovo: quale guerra? Quali sono i contendenti? Di cosa si parla? Se si parla di autodeterminazione nazionale, dice Gangarossa, si è avulsi dal contesto storico. Chissà se se quei poveri fessi dei palestinesi, che stanno lì a crepare da un secolo, si sono resi conto della loro avulsione.
Dov’è l’analisi concreta della situazione concreta che l’autore dice di voler fare? Qual è l’indicazione concreta rispetto alla situazione concreta? Non c’è niente. Tutto si perde nei fumi degli slogan e delle accuse di campismo (cosciente o a sua insaputa) elargite generosamente a (quasi) tutti. Uno vale uno, come dicevano Grillo e Casaleggio. Appunto: Fusaro = NPA. Wagner = brigate di solidarietà con l’Ucraina. Kadyrov = Ocalan. Stalinismo = Quarta Internazionale. Seguaci di Emma Bonino = seguaci di Trotsky. Tutti campisti perché tutti… schierati e parteggiatori. E tanto basta. Questa pare essere la logica, raffinata e rivendicata, del signor Gangarossa. Sto esagerando? Aspetto con ansia di essere smentito.
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Non la smentisco affatto. Prendo atto della sua capacità di dribblare la sostanza delle domande e di rendere “dialetticamente complesso” quello che a me me appare semplice. La sintesi del suo ragionamento la danno le ultime righe. Ma come si permette questo somaro di mettere in discussione l’autorità e l’ortodossia a cui lei fa riferimento? Potrei risponderle ribaltando il ragionamento ma non trova avvilente dover polemizzare con un somaro? Ma al bando le sofisticherie. La prima risposta è quella che trovo più interessante. Non esiste una situazione di guerra globale, esistono le guerre, da analizzare di volta in volta. E di mani ce ne vogliono più di una per contarle. Non esiste quindi uno stato di guerra fra i due imperialismi che si contendono il pianeta, ne una “necessità” che spinge la concorrenza fra questi due blocchi verso la guerra mondiale. Non mi starà riproponendo la minestrina avariata del “superimperialismo” spero.Dopo Zimmerwald la posizione da assumere è “sempre” la stessa. Lo confesso e la ringrazio per avermi dato l’occasione per ribadirla. Diserzione dalla guerre delle nazioni, trasformazione della guerra in guerra civile. Esiste un imperialismo “più aggressivo” e uno “emergente” che “subisce” e si “difende”? Chapeau. Qui la sua risposta è un capolavoro di gesuitismo. Anche se fosse … però. Non si vergogni, risponda si o no. E questa discussione la chiudiamo qui. E si va avanti così. Le domande sono “malposte” “malpensate”. Non si risponde, si sfugge come le anguille. Le domande vanno riformulate per meritare una risposta. Ovviamente anche riformulandole troverebbe il modo di sfuggire per la tangente. In tutta questa discussione che si perde nelle nebbie del detto e non detto a un certo punto si lascia sfuggire un riferimento a Gaza. E chiede a me cosa sta succedendo da quelle parti? Cosa sta succedendo da quelle parti lo ripeto dal l’8 ottobre dell’anno scorso. Una provocazione islamista che ha portato i palestinesi al disastro militare e al disastro politico. Dato il corso degli eventi presumo che i palestinesi che stanno facendo, se non proprio la parte dei fessi, quella del piccione sotto tiro se ne accorgano. Immagino che nella sua analisi questa “specificità” sia sfuggita. Le auguro buona vita. Ogni tanto giocare con le parole può anche essere divertente. Facciamo così io ritiro l’accusa di campismo, chiamiamolo come vuole lei, che ne so marxismo-pensiero-dialettico, non è che cambia la sostanza.
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Non sto dribblando, stia tranquillo, non ne vedo nessuna necessità. Vedo invece la necessità di combattere i discorsi come il suo, che dietro un’apparente logicità e ortodossia rimuovono la complessità della situazione e della risposta da dare.
Guardi che non sono io a dare del somaro a lei. È lei, al contrario, che mi pare accusi di campismo tutti, anche quelli che con il campismo c’entrano come i cavoli a merenda, e contro il campismo si battono da una vita. In effetti mi riconosco benissimo in quello che lei chiama marxismo-pensiero-dialettico, che quindi per lei è sinonimo di campismo, e quindi un’offesa.
Lei dice che non esistono le guerre (al plurale) ma esiste LA guerra: unica, uguale e indivisibile. Lasciamo pure passare questa generalizzazione, che lei classifica con la categoria poco precisa di “stato di guerra fra i due imperialismi che si contendono il pianeta“.
Innanzitutto verrebbe da chiedere: due imperialismi? Solo due? Forse abbiamo già due modi diversi di intendere il concetto di imperialismo. O due modi diversi di contare.
Ma il punto è un altro. Che ci sia un aumento del ritmo, dell’intensità e della forza dello scontro fra tutte le potenze imperialiste mondiali (che sono un po’ più di due), vecchie e nuove, che si affrontano in blocchi, semiblocchi o in ordine sparso, è una verità fin troppo ovvia.
Ma questo non vuol dire affatto, secondo me e molti altri, tacciati da lei di campismo, che i conflitti in corso siano classificabili tutti, sempre e solo come conflitti fra contendenti imperialisti. Dire questo significa falsificare le carte.
Tanto per farle un esempio, fra quelli sotto gli occhi del mondo intero. Le pare che il popolo palestinese, privo persino di una parvenza di stato-nazione, abbia le caratteristiche, le specificità e la natura di potenza imperialista? Le pare che il popolo palestinese sia, da questo punto di vista, la stessa cosa di Israele, degli USA, della Germania, dell’Italia, della Cina…? Le pare che la borghesia palestinese sia una borghesia che sta sfruttando e predando, tramite la forza del suo capitale finanziario e delle sue armi e delle sue risorse e della sua diplomazia, intere altre nazioni e popolazioni e pezzi di terra in giro per il mondo? E quali sarebbero, di grazia, queste vittime dell’imperialismo borghese palestinese? Me le indichi.
Le pare che i curdi, per fare un altro esempio, abbiano una borghesia imperialista parassitaria curda che va in giro per il mondo a rubare risorse e a spremere lavoratori a beneficio di sé stessa e dello stato curdo (che nemmeno esiste)?
Le pare che la lotta dei curdi e dei palestinesi sia una lotta per affermare gli interessi predatori e sfruttatori delle proprie borghesie contro altri popoli e contro i lavoratori di altre nazioni? O invece è una lotta di un altro tipo, che riguarda altro, e cioè una lotta per la loro stessa sopravvivenza come nazione (nazionalità) e come popolo? Il diritto di disporre delle loro risorse, di governare sé stessi, di non essere assoggettati, ecc.
Ecco qual è il centro della discussione. Provi a partire da qui, provi a rispondere con precisione, senza generalizzazioni, a queste domande, e vedrà che forse la natura dei conflitti non è sempre la stessa. Vedrà che forse la tattica richiesta non è sempre la stessa. Vedrà che forse la parola d’ordine della diserzione e del “trasformare la guerra in guerra civile” in questi casi ha bisogno di qualche passaggio in più, perché non siamo in presenza di una guerra fra due uguali e simmetrici contendenti imperialisti, più o meno uguali. Citi correttamente Lenin: trasformare la guerra imperialista in guerra civile. Imperialista. Dov’è che Lenin propone di trasformare la guerra per la propria indipendenza e sopravvivenza in guerra civile?
E se lei mi risponde che le grandi potenze, i paesi imperialisti (che sono più di due) manovrano e giocano con le pedine curde e palestinesi per i loro interessi imperialisti, io le rispondo che ciò è senz’altro vero. Lo hanno sempre fatto e continueranno a farlo. È nella natura dell’imperialismo farlo. Sarebbe impossibile che non lo facessero.
Ma io le chiedo: questa cosa ci costringe forse a bendarci gli occhi davanti al dato che ricordavo prima, e cioè che curdi e palestinesi lottano innanzitutto e principalmente per la loro stessa sopravvivenza come popolo e come nazione?
Certo, se per lei la lotta per la sopravvivenza coincide con una provocazione islamista, la cosa è presto risolta. La invito però a riflettere serenamente sul fatto che i palestinesi lottano per la propria sopravvivenza da ben prima che Hamas esistesse. Anzi, da ben prima che i fondatori di Hamas nascessero. Altro che provocazione islamista e piccioni sotto tiro.
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Di solito non rispondo a interlocutori anonimi. L’ho fatto solo per cortesia con chi mi ha ospitato ma non ho nessuna intenzione di perdere ulteriore tempo seguendola nei suoi ragionamenti. Le sue posizioni sono lontanissime dalle mie e io non ho una visione “ecumenica” per cui mi debba sentire in dovere di “ricominciare daccapo”, dai “fondamentali” ogni volta che incontro qualcuno che non condivide le mie opinioni. I lettori sono in grado di farsene un’idea. E se perdo qualche like a suo vantaggio, pazienza me ne farò una ragione. La mia pagina fb è accessibile a tutti e presumo anche i suoi commenti sparsi nella rete dove combatte le sue battaglie. Continui a preoccuparsi delle sue guerre nazionali e interpreti Lenin come meglio le aggrada. Ho la sensazione che qualcuno in passato, molto più autorevole di me, le abbia già risposto. Solo una sensazione :-). Le auguro buona vita e le lascio l’ultima parola.
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Non si preoccupi, non le farò perdere ulteriore tempo. Non mi permetterei mai di distoglierla dal suo ruolo di oracolo lanciatore di accuse e dispensatore di lezioni di anticampismo.
Che le sue posizioni siano lontanissime dalle mie, e da quelle di Lenin, non è un dramma. Il dramma semmai è pensare che Lenin in passato abbia risposto a me, e non a lei. Vada a rileggerselo.
Lei è liberissimo di rispondere o non rispondere a chi le pare (interlocutore anonimo? Mi sono firmato. Che cosa desidera per concedere una risposta, il mio indirizzo e codice fiscale?), ma credo che la cortesia verso chi l’ha ospitato dovrebbe in teoria prevedere anche la spiegazione e la motivazione dei pensieri che le sono stati ospitati, tanto più se si tratta di critiche particolarmente gravi, come quella di essere campisti e reazionari. Nessuno vuole costringerla a un confronto, ma io sono un lettore di questo sito, e sono intervenuto in quanto tale. Non mi interessa rubarle o aggiungerle like, stia tranquillo, i suoi fan continueranno a seguirla indisturbati.
Peccato. Le guerre nazionali se ne faranno una ragione e andranno avanti anche senza le sue risposte e senza il nostro confronto, al quale ha preferito sottrarsi (a proposito di diserzione).
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A me pare che questa discussione sia un tipico esempio di dialogo tra sordi, in cui uno parla di una cosa (la guerra, al singolare, tra i due grandi blocchi di potenze imperialiste, per il momento limitata al territorio dell’Ucraina ma tendenzialmente su scala mondiale, per i protagonisti e la posta in gioco) e l’altro parla di una cosa completamente diversa (la guerra di liberazione nazionale di popoli oppressi da potenze regionali, palestinesi, curdi e altri ancora), per cui tutti e due dicono cose in fondo abbastanza ovvie come se fossero oggetto di chissa quale dibattito teorico
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Concordo su una cosa. Io non faccio il teorico. E non vorrei che fosse rimasta questa impressione. E rifuggo le “battaglie ideologiche”. Quelle le fanno i partiti. I dirigenti politici. Le forze “coscienti e organizzate”. Mi limito a fotografare la realtà da un certo punto di vista. Che sostanzialmente, in assenza di un pensiero comune condiviso, è il mio punto di vista. La classe operaia, è quindi le sue avanguardie, è arrivata con notevole ritardo a un appuntamento storico che, per quello che ne capisco io, può anche essere l’ultimo. In questo vuoto proviamo a capire cosa fare.
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Fausto, non è un dialogo fra sordi. È un dialogo fra chi guarda la realtà riconoscendola nelle sue contraddizioni e chi la nega in base a slogan vuoti e a pose da oracolo.
Io non ho mai negato, ad esempio, che sia in atto un riaccendersi e intensificarsi della rivalità interimperialista mondiale, e che questo è un prodromo a futuri scontri di portata sempre maggiore e globale. E che davanti a questo scontro è doveroso opporsi a qualsiasi imperialismo.
Gangarossa, invece, partendo da questo dato, nega che ci possano essere giuste guerre di liberazione nazionale, guerre di popoli oppressi. Per lui sono tutte cose di un secolo fa, e oggi è tutto risucchiato dallo scontro generale globale interimperialista fra blocchi, per cui propone di disertare e abbandonare quelle giuste guerre. Attenzione: non propone di criticare e demarcarsi dalle leadership borghesi o piccolo-borghesi di queste guerre, cosa ovvia per un comunista, propone proprio di disertarle! Accusando chi non lo fa di essere campista, più o meno consapevole. Lo ha scritto nel testo e ripetuto nei suoi commenti.
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