di Gianni Sartori

Non ho potuto evitare di pormi qualche domanda sullo strascico di polemiche successive alla visita di Mattarella a Barbiana. Pur non entrando più di tanto nel merito (non è di mia competenza) vorrei aggiungervi qualche considerazione personale.

Ho letto “Lettera a una professoressa” all’inizio del ’68 (avevo sedici anni). Prestatomi da un figiciotto vicentino benestante (G. Bordin) e in realtà non l’ho più restituito.

Nato in campagna, di origine “contadine” (ma di quelli “senza terra”), forzatamente inurbato negli anni sessanta, l’avevo sentito come “roba mia”.

Al punto che – mi pare in settembre (prima della ripresa delle scuole e dopo aver scaricato e stivato camion per quasi due mesi) – partii in autostop per Barbiana. Scoprendo solo allora che don Milani era già morto e sepolto. Ripiegai a Firenze dove, in zona Isolotto, conobbi altre realtà alternative (anche Alex Langer, ma questa è un’altra storia).

Tornai a Barbiana in altre occasioni, negli anni novanta, quando frequentavo il Movimento ambientalista-animalista U.N.A. (Uomo-Natura-Animali, vedi la storia di Alex, un vitellino strappato al macello nel 1995 e così chiamato proprio in memoria di Langer morto tragicamente qualche mese prima)* al Mugello. Incontrando un paio di volte anche Michele Gesualdi che accompagnava qualche visitatore. Tutto con estrema familiarità, senza retorica.

Un volta, ricordo, salvai cinque o sei piccole salamandre rimaste intrappolate nella “piscina” (molto piccola, quanto consentito dai mezzi scarsi a disposizione di don Lorenzo, ma quanto bastava ai piccoli montanari per apprendere i rudimenti del nuoto).

In un’altra occasione incontrai due giovani padovani (militanti di un Centro sociale occupato, non ricordo se il “Pedro” o il “Gramigna”, poi demolito) che avevano fatto tutta una tirata (rientravano in serata) pensando di trovarvi un Centro di informazione, possibilmente di didattica alternativa (dato che operavano come volontari in un doposcuola delle periferie). Parlando del più e del meno, venne fuori che erano “anarchici”. “Niente male – commentai – se sulla tomba di un prete si ritrovano due anarchici in servizio attivo e un (ormai ex) consiliare”. Perlomeno curioso. Quando se ne andarono (erano scesi per la ripida stradina con l’auto, noi prudentemente a piedi), mentre mi salutavano con la mano dal finestrino non potei fare a meno di levare il pugno chiuso.

A cui risposero alzandolo anche loro. In memoria di don Lorenzo che forse non si sarebbe scandalizzato più di tanto, credo.

Di Barbiana (soprattutto nelle prime visite, prima che sorgesse l’ingombrante “Residence Barbiana”, fuori luogo a mio avviso) ricordo soprattutto l’atmosfera di un “luogo sospeso”. Nel Tempo oltre che nella Memoria. La stradina bianca, impercorribile – per quanto mi riguarda – in auto, la mancanza di fronzoli, l’essenzialità, la discrezione, la semplicità. Sia della Chiesetta che del mini- cimitero (con, mi pare, solo un’altra tomba oltre a quella del prete dissidente). Così come avrebbe dovuto rimanere e come appunto mi spiegava Michele Gesualdi: “non vogliamo che diventi un’altro Santuario di Padre Pio, per capirci”.

Comprendo quindi (e – per quanto mi riguarda – condivido) le critiche di Carla e Guido Carotti alle modalità “spettacolari” (maxischermo, drappi blu, prato verde ma di acrilico…) con cui si era svolta la visita del presidente (27 maggio 2023).

Aggiungo poi un’altro ricordo personale. Al ritorno dal mio viaggio mancato, insieme ad una altro compagno (di scuola perlomeno) lanciai l’idea di una gita scolastica proprio a Barbiana. Scontrandomi sia con l’insegnante di lettere (che aveva già programmato una visita a Bergamo) e anche con il preside e il vicepreside. Discussioni (era già tempo di accese assemblee, un anno prima inconcepibili), qualche velata minaccia di “sette in condotta” e alla fine (con la scusa di alcune scritte apparse sui muri della scuola, ma si trattava di un pretesto) la sospensione per un paio di giorni. Tutto lì. Oggi magari appare inconcepibile. Barbiana è stata, per così dire ”sdoganata”.

Nel corso degli anni vi sono andati in pellegrinaggio un pò tutti, dalla CISL al Papa, ai ministri dell’istruzione Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro (e mi pare anche la “vice” Carla Rocchi, l’unica animalista approdata in così tanto alto loco). Paradossale che un gesto simbolico come una gita scolastica a Barbiana, oggi evento canonico e istituzionale, all’epoca assumesse una carattere quasi “sovversivo” (ma forse a quel tempo un pochino lo era, chissà?).

Gianni Sartori

**nota 1: aggiungo questo ricordo di Alex Langer scritto in occasione del 20° anniversario della sua morte

UN RICORDO DI ALEX LANGER VENTI ANNI DOPO

(Gianni Sartori)

CORREVA L’ANN0 1968…

Conobbi Alex Langer nel 1968, all’Isolotto di Firenze dove un prete giudicato troppo di sinistra era stato rimosso dalla sua parrocchia (e sostituito, guarda la combinazione, con un vicentino più accomodante). Don Mazzi riuniva quasi ogni sera la sua comunità di base in alcune “baracche verdi” dove anch’io trovai ospitalità per un paio di notti. Era una sorta di assemblea popolare permanente in cui ognuno poteva intervenire in merito alle problematiche dibattute. Arrivai in autostop, dopo un’incursione a Barbiana. Avevo letto con passione “Lettera ad una professoressa” e speravo di poter incontrare Don Milani, non sapendo che era già morto da circa un anno. Invece Langer quel “profeta di Barbiana” lo aveva conosciuto molto bene (sua la prima traduzione in tedesco di “Lettera ad una professoressa”); mi apparve molto preparato e già ricco di esperienza. Nonostante i modi garbati, anche se talvolta “sbrigativi”, metteva un po’ di soggezione (io avevo sedici anni, lui solo cinque in più, ma a quell’età facevano una bella differenza). All’Isolotto Langer era ormai di casa e aveva contribuito alla nascita del “Notiziario della Comunità dell’Isolotto”. In seguito Don Mazzi (scomparso nel 2011) scrisse che “Alex non si contentava di collaborare alla redazione e alla stampa col ciclostile: dopo notti insonni prendeva il suo pacco di Notiziari per distribuirlo sulla passerella che scavalca l’Arno unendo l’Isolotto alle Cascine. A quell’ora la passerella incominciava già ad affollarsi di operai che in bicicletta o in motorino andavano a coprire il loro turno nella zona industriale (…). Poi passavano gli studenti e gli impiegati. Dalle cinque alle otto attraversavano l’Arno in quel punto centinaia di persone”.

La passerella, il ponte…una metafora costante nella vita di questo perenne “traghettatore”, “traduttore”, “saltatore di muri” e “costruttore di ponti” come venne definito (oltre che “viaggiatore leggero” e Hoffnungstranger, “portatore di speranza”). Del resto “Die Bruke – il Ponte” era il nome del mensile (preceduto da alcuni numeri del ciclostilato “Fratelli/Bruder”) di cui fu ispiratore a Bozen. Altri ponti, quelli di Mostar, Vukovar, Srebrenica e Sarajevo crollati sotto le bombe, contribuirono ad alimentare la sua disperazione per la tragedia jugoslava, un vero trauma che lo convinse della necessità di un intervento armato in Bosnia (cadendo forse, con il senno di poi, nella trappola della totale militarizzazione del conflitto).

Ricordo che quella volta, nel ’68, anche lui “era solo di passaggio”, appena rientrato dalla Germania e dalla Cecoslovacchia (assistendo in prima persona agli eventi di agosto quando Praga era stata occupata militarmente dai carri armati) e forse in procinto di ritornarvi. “I cecoslovacchi -era la sua opinione– avevano saputo distinguere tra socialismo e colonialismo sovietico”. Due anni dopo aderirà a Lotta Continua.

Avevo poi ritrovato Langer negli anni novanta (anche a Vicenza, al Canneti) in occasione di incontri con le associazioni ambientaliste. L’ultima volta a Campogrosso, al confine tra Veneto e Trentino, nella primavera del 1995 per un dibattito organizzato da Mountain Wilderness con Terenzio Sartore e Gianfranco Sperotto.

Amara constatazione, tutte queste care persone nel frattempo ci hanno lasciato.

L’amico Sperotto, dopo una vita spesa a “lottare per ciò che è giusto”, nel 2011. Investito da un automobilista distratto (o peggio) mentre attraversava la strada. Una morte tragicamente simbolica per un ecologista “senza se e senza ma”. Negli ultimi anni si spostava sempre in corriera e in bicicletta, anche quando scendeva dall’Alto Vicentino per partecipare alle riunioni del Presidio No Dal Molin.

L’intento dell’incontro di Campogrosso era promuovere la realizzazione di un Parco naturale delle Piccole Dolomiti. Per la cronaca va registrata la presenza di alcuni cacciatori e proprietari che, letteralmente, minacciarono di “dar fuoco ai boschi” se l’ipotesi si fosse concretizzata. Ricordo Terenzio quasi in lacrime di fronte a tanta protervia e l’abilità di Sperotto nel riportare comunque il confronto entro limiti più civili. Ovviamente Langer, esponente di Mountain Wilderness e degli “Europarlamentari amici della montagna”, garantiva tutto il suo sostegno a livello istituzionale.

Di fronte alla lapide in memoria del comandante partigiano Toni Giuriolo (militante di Giustizia e Libertà, ricordato da Meneghello in “Piccoli maestri”) aveva osservato che “Vicenza e provincia, purtroppo, godranno a lungo della notorietà internazionale – all’estero è già stata soprannominata la “Rostock d’Italia” – acquistata con la manifestazione dei naziskin dell’anno scorso”. Partiva da qui per una serie di riflessioni su “l’attuale situazione politico-culturale impregnata di rigurgiti razzisti, di conflitti etnici più o meno latenti…”.

All’epoca l’amara constatazione di Langer era che “al momento attuale interi strati di giovani sembrano non avere alcuna competenza di tematiche quali la solidarietà, la non violenza, la difesa dei diritti umani”. Si salvavano comunque “alcune frange di volontariato che tuttavia sembrano rivolgersi soprattutto a casi singoli, personali, meno presenti sul piano collettivo”.

“Forse noi, quelli della nostra generazione” – aveva aggiunto – “pensavamo che i giovani hanno comunque in sé le potenzialità per una cultura alternativa all’egoismo, al rampantismo, all’individualismo. Invece sembra che stiano diventando una brutta copia degli adulti”.

Parole molto dure, in parte ancora attuali.

Non era comunque privo di speranza per il futuro: “Molti di questi giovani che si sono fatti drogare dalla televisione non si sono mai sentiti dire una piccola frase: “Vieni e vedi”. Si tratta di creare ambiti in cui poter partecipare senza che questo comporti omologazione o sottoscrizione di una ideologia. Sono convinto che dalla diffusione del volontariato civile potrà derivare una rigenerazione politica”.

UN PRECURSORE DEI NO-GLOBAL

In varie occasioni mi è capitato di cogliere un sincero rimpianto per “un appuntamento mancato”: l’incontro tra l’impegno decennale di Alex in difesa dell’ambiente, dei Diritti umani, della Pace e le lotte antiglobalizzazione. Veniva dato per scontato che Alex si sarebbe identificato, dando il suo prezioso contributo, con il movimento dei No-Global , quel movimento che che qualche anno dopo la sua morte, da Seattle a Genova, aveva riportato migliaia di giovani nelle piazze.

In realtà il suo contributo l’aveva già dato con la nascita di alcune associazioni che a Seattle, nel 1999, uscirono allo scoperto in maniera dirompente.

Ancora nel 1988, su il manifesto, lanciò una campagna per trasformare il debito estero del Terzo mondo in un debito ecologico planetario. L’iniziativa, in breve tempo, portò alla nascita di un gruppo operativo denominato Campagna Nord-Sud. Biosfera, sopravvivenza dei popoli, debito.

Entrarono a farne parte militanti di varia estrazione. Basti citate Christoph Baker, Jutta Steigerwald, Mao Valpiana, Gianfranco Bologna, Helan Jaworski, Arno Teutsch, Marinella Correggia, Grazia Francescato, don Giulio Battistella, José Ramos Regidor…

Tra i principali interlocutori e consulenti della Campagna, Teddy Goldsmith, Wolfgang Sachs, Vandana Shiva (India), Wangari Maathai (Africa), Leonor Briones (Filippine), Rosika Darcy de Oliveira (Brasile), Yash Tandon (Uganda e Zimbabwe), Esperanza Martinez (Ecuador), Eduardo Gudynas e Graciela Evia (autori di La praxis per la vida, divenuto un testo di riferimento per i militanti dell’ecologia sociale).

Non è certo casuale ritrovare poi alcuni di questi nomi tra gli organizzatori delle grandi manifestazioni di Seattle, Praga, Genova (2001) e Firenze (2002).

Nell’ambito delle attività promosse dalla Campagna, nel 1990 Langer si recò in Argentina e Uruguay per il secondo Congresso latino americano di ecologia e in quella sede contribuì a far emergere la stretta connessione tra problemi ambientali e sociali. Nel 1992 era presente all’Assemblea dei parlamentari e al Global Forum della società civile di Rio de Janeiro. Da questa tribuna aveva lanciato la proposta di un “Tribunale internazionale dell’ambiente” e aderito alle iniziative di solidarietà con gli indios Xavante che nel Mato Grosso combattevano per riavere le loro terre occupate da Agip.

Una battaglia a cui contribuirà anche economicamente con 97 milioni di lire.

Negli ultimi decenni del secolo scorso le lotte ambientali nel Terzo mondo rappresentarono anche il ritorno sulla scena politica di soggetti dati come “in via di estinzione”: gli indigeni e i contadini poveri.

Esponenti della Campagna, parteciparono ai Congressi nazionali dei seringueros (Langer stesso si era recato in Brasile immediatamente dopo l’assassinio di Chico Mendez) e contribuirono alla nascita nel 1991 della Confédération Paysanne di José Bové (presente sia Genova nel 2001 che a Firenze nel 2002) e di Via Campesina. Quanto a Langer, toccò a lui introdurre l’incontro organizzato a Genova dalla Campagna per i 500 anni della Conquista dell’America. Sono questi anni di incubazione per le future lotte anti-globalizzazione, anni in cui centinaia di migliaia di persone, in ogni angolo del Pianeta, mettevano in pratica forme di resistenza convinti che “un altro mondo è possibile”. Sempre attivo, Langer sarà tra i promotori della Fiera delle utopie concrete a Città di Castello (con Ivan Illich), un vero e proprio “laboratorio di conversione ecologica” da cui prenderà il via anche l’Alleanza per il clima per una drastica riduzione delle emissioni inquinanti del mondo industrializzato in collaborazione con gli abitanti delle foreste tropicali.

Nel gennaio 1994 entrava in vigore il Nafta, un accordo commerciale tra USA, Canada e Messico, devastante per le popolazioni indigene. Banca Mondiale e Fondo monetario ottenevano il via per la libera circolazione delle merci, in un contesto di quasi totale non regolamentazione in materia ambientale e sociale, sulla base dei principi neo-liberisti del WTO (World Trade Organisation).

Mentre insorgeva il Chiapas (e la guerriglia zapatista tracciava una linea per terra: “Ora Basta! Da qui non un passo indietro”), dai promotori della Campagna venne costituito un International Forum on Globalisation che raccoglieva circa 60 organizzazioni di 25 paesi. Le stesse che nel 1999 porteranno la protesta nel cuore dell’Impero, a Seattle. Forse l’eredità migliore che Alex ci ha lasciato.

I GIORNI DELLA FINE

In quanto sudtirolese di lingua tedesca, figlio di una cattolica tirolese e di un medico ebreo austriaco fuggito prima a Firenze e poi in Svizzera durante il nazismo, Langer aveva vissuto con estrema partecipazione i conflitti tra serbi, croati e bosniaci. Era stato uno dei fondatori del Verona Forum per la Pace e la riconciliazione nell’ex Jugoslavia, una rete di collegamento tra tutte le etnie coinvolte nelle guerre balcaniche.

“Gli incontri di Verona -ricordava – erano cominciati ancora prima del novembre ’92 e della marcia pacifista a Sarajevo. E già allora abbiamo verificato come fosse difficile mettere insieme queste persone. Molti di loro non volevano riconoscersi sotto la sigla “ex Jugoslavia”. Abbiamo cominciato a incontrarci con gruppi minoritari, donne, pacifisti, democratici…Sono più di duecento le persone che hanno partecipato ad almeno uno degli incontri, confrontandosi e arrivando a firmare documenti comuni”. E naturalmente ognuno di loro “nel partecipare alla compilazione di un documento, di una dichiarazione doveva anche pensare alla posizione della sua etnia”.

L’ultimo periodo della vita di Langer era stato convulso. Aveva investito ogni energia nella lista per la sua candidatura a sindaco di Bolzano, pensata per “sciogliere i grumi esistenti nel mondo della politica senza ferire le persone e senza sottovalutare la loro esperienza”. Per una “Bolzano città europea, luogo di convivenza stimolante. Città gentile, ospitale, solidale e sociale”. Il 29 aprile arrivò l’esclusione definitiva sia per il candidato sindaco (per aver rifiutato in due occasioni la dichiarazione di appartenenza etnica) che per la sua lista. Il 19 maggio giunse a Bolzano Selim Beslagic, sindaco della città bosniaca di Tuzla, tradizionalmente un luogo di pacifica convivenza.

Langer lo aveva accompagnato in vari incontri in Italia e in Europa per istituire proprio a Tuzla “un’ambasciata delle democrazie locali”. Ma una settimana dopo, con una granata che uccise settanta giovani davanti ad un bar, la guerra riprese il sopravvento. Il giorno stesso, via fax, arrivò a Langer copia del disperato messaggio inviato all’Onu da Selim Beslagic: “Voi state a guardare e non fate niente, mentre un nuovo fascismo ci sta bombardando: se non intervenite per fermarli, voi che potete, siete complici, è impossibile che non vi rendiate conto”.

Con l’appello L’Europa muore o rinasce a Sarajevo e con la manifestazione del 26 giugno a Cannes (sconfessando in parte la sua storia personale di pacifista, va detto) Langer chiedeva, in sostanza, un intervento per “dare qualche segnale chiaro che l’aggressione non paga”.

E venne poi, il 3 luglio 1995, a 49 anni, la tragica conclusione. Anche se alcuni suoi amici, e soprattutto il fratello, ritengono che sul suicidio di Alex permangano molte ombre. Di sicuro era un personaggio scomodo e in molti avranno sicuramente tirato un respiro di sollievo alla notizia della sua definitiva scomparsa. Stando alla versione ufficiale Alex si sarebbe tolto la vita volontariamente. Non lontano da San Miniato, nella Toscana che amava, quella di Barbiana e dell’Isolotto. Un cordino da arrampicata, l’albero di albicocco e i tre biglietti, due in italiano e uno in tedesco: “I pesi mi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più. Vi prego di perdonarmi tutti per questa mia dipartita (…). Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto. Pian dei Giullari, 3 luglio 1995”.

I funerali videro la partecipazione di oltre cinquecento persone; tra queste molti ex militanti di Lotta Continua: Adriano Sofri, Gad Lerner, Enrico Deaglio, Mauro Paissan…

A portare a spalla la bara fuori dalla chiesa della Badia Fiesolana (dove predicava il suo amico Ernesto Balducci) altri ex militanti di Lc: Luigi Manconi, Franco Corleone, Marco Boato, Carlo Pannella e Ovidio Bompressi.

Pochi giorni dopo, l’11 luglio, le milizie serbe di Karadzic e Mladic entravano a Sebrenica.

Gianni Sartori (2015)