Di Irene Ghidinelli Panighetti

Questa non è una recensione bensì un suggerimento di lettura, quindi di parte, soggettivo e opera di una lettrice, io, che trova un capolavoro l’ultimo romanzo dello scrittore Italo Bonera “Il male che fa bene”.

Un capolavoro prima di tutto nello stile, che è l’aspetto che mi interessa in un testo narrativo: in controtendenza con la maggior parte delle persone di lettere e di letture, per me le trame sì, sono importanti perché se sono noiose ammazzano il piacere, ma non essenziali.

Certo, in questo romanzo la trama è ottima, avvincente, ben costruita e padroneggiata nel suo svolgimento; i personaggi sono credibili, coerenti, pieni di spessore i principali, esattamente funzionali alla storia i secondari. E poi c’è una grande attenzione ai dettagli, nessuna sbavatura, nessuna incongruenza nel racconto di quella che lo stesso scrittore definisce “una vita trascorsa senza scelte, seguendo il percorso di minor resistenza, come acqua verso il mare. E poi la fuga, la ricerca di un riscatto impossibile, il ritorno, il perdono, e di nuovo la fuga”.

E’ la storia di Fausto Varriale (Frank), mercenario italiano fuggito dalla madrepatria dopo una condanna all’ergastolo, da trent’anni in fuga da tutto: da se stesso e dalle responsabilità verso gli altri: La sua vita, al passaggio dalla maturità alla vecchiaia, viene sconvolta da un incontro. Non l’amore ma un simbolo: quello di tutto il male fatto. E la speranza di un’impossibile redenzione. Ma ogni redenzione ha un prezzo; e non sempre è quello che si immagina di dover pagare.

La vicenda si dipana tra la Milano degli anni Settanta e quella del terzo millennio, il centro storico di Brescia, i vicoli di Istanbul, le rovine della guerra civile e i palazzi di cristallo di Beirut e il deserto siriano (Badiya desert).

E’ una storia che inchioda alle pagine, quindi, ma come si diceva, la vera eccezionalità risiede nello stile, fattore così poco curato, come confermano le miriadi di pubblicazioni che invadono le librerie e che, quando vale la pena di andare fino in fondo, lasciano il tempo che trovano. Tante persone scrivono, poche, molto poche, lo sanno fare: Italo Bonera è tra queste.

Lo aveva già dimostrato nei suoi romanzi precedenti: da Ph0xGen! (scritto a quattro mani con Paolo Frusca, Urania Mondadori, 2010), a “Io non sono come voi” (Gargoyle, 2013) a “Rosso noir, un pulp italiano” (Meridiano Zero, 2017) il percorso letterario di questo autore è stato un continuo crescendo, un continuo affinamento dello stile, raggiunto anche grazie alla “palestra” della narrativa breve, cioè dei tanti racconti che ha pubblicato (“Cielo e ferro”, con Paolo Frusca, La Ponga, 2014 e altri su varie testate, tra le quali la rivista Inkroci e le collane da edicola Urania e Segretissimo di Mondadori) e che continua a scrivere tenendoli nel cassetto (ma chi ha il privilegio di leggerli si accorge subito del valore letterario di Italo Bonera, anche nella forma del racconto). 

L’apice è stato raggiunto con questo “Il male che fa bene”, intrigante sin dal titolo, ammirevole per lo stile sin dalla prima pagina che è un flash-forward in medias res di poche righe, in cui si vede il protagonista che sta per essere giustiziato da una donna. Ma la notevole maestria letteraria si manifesta nel modo della narrazione, che, tranne i primi e gli ultimi capitoli, è rigorosamente in prima persona, scelta molto difficile da condurre senza errori, eppure Italo Bonera ci riesce, eccome. Chi legge vede, sente, capisce e interpreta ciò che vede, sente, capisce e interpreta il protagonista. 

E poi c’è la narrazione secondaria, quella del “Centro Studi”, ovvero un gruppo di lavoro che spia le vicende di Frank, un’oscura organizzazione in lotta tanto contro l’Isis e contro un cartello di industrie farmaceutiche indiane. Questa narrazione secondaria svela a chi legge alcuni elementi ignoti al protagonista e serve da pretesto narrativo per il finale. 

E dopo il finale ho chiuso il libro e sono rimasta lì, a bocca aperta, per poi subito avviare una seconda lettura e poi, dopo un qualche settimana, una terza, per preparare una presentazione con l’autore. E ad ogni rilettura si apre un punto di vista diverso: ho scoperto che è possibile una lettura testuale per godere della storia e basta, una lettura psico-analitica, addirittura ho visto una possibile chiave di lettura escatologica. E questo avviene solo in presenza di grande letteratura: chapeau!

Irene Ghidinelli Panighetti

Appuntamenti con l’autore a Brescia:

Venerdì 3 marzo ore 18,00 c/o Libreria Ferrata C.so Martiri della Libertà 39

Venerdì 10 marzo ore 17,00 c/o Bar Miriam Via Galileo Galilei 47