Ma quali rave?! Picchetti, sit-in, occupazioni fabbriche, scuole, blocchi di discariche nocive, centri sociali… galera per tutti.
“L’intervento normativo mira a rafforzare il sistema di prevenzione e di contrasto del fenomeno dei grandi raduni musicali, organizzati clandestinamente (c.d. rave party)”, si legge nella relazione illustrativa della nuova norma.
Ma la norma varata alla prima occasione utile dal consiglio dei ministri non è volta solo a reprimere questi ultimi ma ad agevolare la repressione del dissenso con pene esemplari, oltre che con la forza al momento.
Ora sarà sufficiente delineare il rischio dell’incolumità pubblica e in caso di mancanza di preavviso dell’iniziativa si rischieranno intercettazioni e reclusione fino a sei anni: manifestazioni di piazza, occupazioni di fabbriche o posti di lavoro, picchetti, occupazione di edifici a scopo sociale o abitativo, occupazioni di scuole o università. Il mezzo è servito.
Peraltro una norma simile era già stata introdotta dal decreto Salvini bis, con l’inasprimento dell’art. 633 c.p. “Invasione di fabbricati o edifici” ma, come abbiamo più volte denunciato “la comoda eredità del Salvinismo” è stata accuratamente preservata dai governi “di sinistra” successivi, e ampiamente utilizzata.
Ora, nelle mani di un governo sdoganatamente fascista, le conseguenze saranno facilmente inevitabili, anche solo a livello di deterrenza.
Qualche sentore già ce l’avevamo avuto.
https://www.facebook.com/…/a.36021428…/1292017344703102/
“La nuova legislazione speciale contro i rave varata ieri dal consiglio dei ministri prende di mira non solo e non tanto gli organizzatori delle feste tekno, ma studenti, senza casa e centri sociali. Nel mirino del governo Meloni finisce subito qualsiasi forma di conflittualità sociale
La cosiddetta legge anti rave, così come è scritta, mette nel mirino del Governo Meloni centri sociali e movimenti studenteschi.
Più che una legge volta reprimere con un inasprimento di pene e sanzioni un fenomeno specifico, può essere utilizzata per sgomberare in maniera tempestiva e con gravi conseguenze per chi fosse identificato gli studenti e studentesse che occupano una scuola o un’università, o magari chi entra in un edificio abbandonato per farne un centro sociale per fare attività culturali o di solidarietà.
Insomma la “pacchia è finita” sì, ma non tanto e non solo per gli organizzatori di free party a base di musica tekno, quanto per chi potenzialmente può organizzare nelle piazze l’opposizione al governo delle destre.
Pensate all’occupazione della Facoltà di Scienze Politiche alla Sapienza, avvenuta la scorsa settimana dopo le cariche della polizia, quando centinaia di studenti hanno “invaso l’edificio”, all’interno della città universitaria. Se quel raduno fosse stato giudicato “pericoloso per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, ecco che la polizia sarebbe potuta intervenire con multe fino a 10.000 euro e pene fino a sei anni di reclusione per gli organizzatori.
Ma la stessa cosa può valere per chi organizza una manifestazione non autorizzato, occupa un cantiere, un campo o un palazzo abbandonato.
La definizione di “pericolo per l’ordine pubblico” d’altronde è talmente vaga da poter essere facilmente piegata alla bisogna per reprimere duramente il dissenso. Se ci pensiamo anche gli operai che occupano una fabbrica potrebbero essere colpiti dalla norma anti rave, adducendo magari l’incolumità pubblica tra le motivazioni.
Continua così la tendenza a inasprire, con norme specifiche o con spropositati aumenti di pena, la repressione di comportamenti già sanzionati dal codice civile e penale. Lo aveva già fatto Matteo Salvini nei suoi decreti sicurezza con i blocchi stradali ad esempio: nel 2018 è stato reintrodotto il reato di blocco stradale (che era stato depenalizzato nel 1999), punibile con una pena che va da 2 a 12 anni.
Eppure vediamo gli attivisti per la giustizia climatica continuare a bloccare le strade, così come gli operai portuali e i facchini della logistica. Il governo delle destre, in difficoltà a rispondere ai problemi dei cittadini di fronte alla crisi e al caro bollette in maniera tempestiva, si concentra su provvedimenti bandiera e identitari, e conferma di avere un problema a tollerare il dissenso.
A finire nel mirino è la conflittualità sociale in ogni forma. “
https://www.fanpage.it/…/la-legge-anti-rave-mette-nel…/
Questa la norma:
“Art. 434-bis
Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica
L’ invasione per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000.
Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita.
E’ sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione.
2. All’articolo 4, comma 1, del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo la lettera i-ter), è aggiunta la seguente: “i-quater) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 434-bis del codice penale”.
SEMPRE IN TEMA DI INGIUSTIZIE E COLONIZZAZIONI DELL’ESISTENTE, QUASI UNA RECENSIONE
Gianni Sartori
Confesso in anticipo. Non ho ancora letto “Landness. Una storia geoanarchica”. Solo una recensione apparsa su “la lettura”.
Quindi questa non è altro che la “recensione di una recensione”. Quando – e se – avrò analizzato anche il testo vero e proprio ne riparleremo. Eventualmente.
Ma mi basta e avanza per qualche osservazione. Intanto sul titolo, forse pretenzioso e fondato, credo, solo sul fatto che tratta di due insigni geografi anarchici, Eliseo Reclus e Petr Kropotkin.
Quest’ultimo arbitrariamente definito “inviso a zar e sovietici” (qui quasi equiparati, ma si può?). Caso mai si dovrebbe parlare di “bolscevichi” in quanto nessuno nella Russia rivoluzionaria era più “sovietico” (nel senso originario di consiliare) degli anarchici. Basta pensare a Kronstadt e alla machnovščina.
Senza dimenticare che Lenin nutriva un profondo rispetto per l’illustre libertario e lo incontrò in varie occasioni. Raccogliendo in parte le sue richieste di scarcerazione per alcuni anarchici arrestati (non tutti purtroppo) e consentendo poi a quelli rinchiusi di partecipare ai funerali del Kropotkin stesso. Ne parlava Victor Serge (l’unico bolscevico a cui gli anarchici consentirono di partecipare) ricordando come, sempre purtroppo, molti dopo la cerimonia funebre dovessero rientrare in galera.
Ma, appunto, si trattava di una responsabilità bolscevica, non dei sacrosanti principi sovietici (ripeto, nel senso di consiliari).
E credo esista ancora un museo dedicato a Kropotkin e risalente appunto agli anni venti.
Fosse stato solo per questo non avrei perso tempo a scriverne. Ma nella recensione di Danilo Zagaria c’è di più (e a mio avviso di peggio).
Parte (e conclude) rievocando la discutibile impresa del colonialista James Cook che grazie al contributo di un nativo (forse suo malgrado e con il senno di poi definibile “collaborazionista”) arrivò a “scoprire” Australia e Nuova Zelanda. Tupaia, questo il nome dell’ingenuo indigeno, era presumibilmente uno sciamano che per l’esploratore realizzò una mappa dettagliata (traduzione grafica della sua “mappa mentale”) dei percorsi tradizionalmente utilizzati dagli abitanti dell’Oceania. Con l’indicazione della distanza tra la miriade di isole e isolette indicata non in miglia, ma in giorni. Quelli necessari (la distanza temporale) per la navigazione e tramandati di generazione in generazione attraverso i canti religiosi. Di tutto questo Cook seppe appropriarsene aprendo la strada alla colonizzazione europea e all’oppressione dei nativi. Talvolta al vero e proprio genocidio come nel caso degli aborigeni australiani. Un’impresa assai discutibile.
Tracciarne l’elogio (cito testuale: “Resta da capire se sapremo fare come Cook “: madonna, speriamo di no!) mi sembra ben poco “anarchico”.
Almeno per come la vedo io.
Gianni Sartori
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