Ieri sera, un’amica russa che vive in Catalogna mi ha inviato un messaggio telegram da parte di un gruppo di estrema destra chiamato Rafapal, in cui l’animatore invita tutti coloro che hanno amici italiani a cercare di convincerli di votare Fratelli d’Italia alle prossime elezioni. Il tipo argomenta che le prossime elezioni italiane saranno un’occasione per “bloccare l’agenda 2030 in Europa”, grazie al fatto che, probabilmente, gli italiani daranno il potere al partito “Anti Nuovo Ordine mondiale”, cioè FdI. Aggiunge che, se proprio gli interlocutori italiani non volessero saperne della Meloni e camerati, puntare sull’opzione B, cioè Italexit. Ho dato quindi una rapida occhiata al sito Rafapal. Un sito, diciamo, trumpista-fascista, pieno di livore contro la sinistra (compresa quella moderatissima del PSOE ed in genere delle socialdemocrazie), violentemente antifemminista ed anti-immigrati, che vede Soros dietro ogni “complotto” per distruggere l’Europa “tradizionale”: insomma, il classico trittico Dio, Patria e Famiglia che non può che provocare il vomito in ogni persona dotata di un minimo di spirito critico. Ma perché parlare di un canale telegram ultrareazionario, che, anche se ha 136 mila seguaci, ha ben poche speranze di influenzare l’elettorato italiano (già abbondantemente influenzato di suo)? Beh, perché buona parte di questi argomenti li si ritrova spesso, al bar dell’angolo, certo, ma pure, seppur meno diffusi e forse meno “radicali”, persino in ambienti che si definiscono di sinistra. Non, ovviamente, le “notizie” anti-femministe o anti-immigrati, ma, per esempio, quelle che vedono in Soros il “male assoluto”, o quelle che, in nome di un malinteso anti-imperialismo a senso unico, tendono a mettere nello stesso calderone la CIA, la NATO, Biden e…Voltaire. E mai come in questi ultimi due-tre anni, con l’accelerazione dopo il 24 febbraio di quest’anno, abbiamo assistito ad un vero e proprio “sfondamento” (se ha senso usare questo sostantivo visti i piccoli numeri) della cultura di destra (che ha, purtroppo, il vento in poppa in buona parte del pianeta, non solo qui da noi), col suo background di complottismo, autoritarismo, anti-liberalismo da Congresso di Vienna, ecc. Non c’è da stupirsi, visto che la “compagneria” non vive sulla Luna, e dopo le bastonate degli ultimi 15 anni (con strascichi di rotture, divisioni, scontri, ruggini personali, ecc.) è ormai un coacervo poco coerente di gruppi, gruppetti, partitini, sindacatini, centri sociali, abituati spesso a sprecare più tempo a litigare che a battersi contro l’avversario di classe. Quindi con una scarsissima capacità di “fare barriera” al vento di destra che soffia ovunque. Parlavo dell’accelerazione di questo fenomeno a partire dall’inizio della guerra russo-ucraina, che ha visto schierarsi da un lato chi vede in Putin, se non un “compagno” (e vorrei vedere!), almeno il “principale ostacolo” al rafforzamento dell’imperialismo NATO, e dall’altro chi, individuando (giustamente) in Putin il principale esponente del neo-imperialismo russo, sceglie di appoggiare la “resistenza” ucraina in nome di un “alter-campismo” che sottovaluta pesantemente il ruolo dell’Ucraina nazionalista nell’ambito dell’alleanza imperialista “occidentale” (e vede un “Ucraina oppressa” che non esiste più dal 1920 – o almeno dal 1991-). A questo proposito mi sarebbe piaciuto fare assistere i compagni “campisti” al colloquio che abbiamo avuto lunedì a Barcellona la mia amica ed io. Non perché creda che il suo punto di vista rappresenti i “russi” tout court (per mia fortuna conosco anche russi, pochi, che non la pensano così), ma perché ho l’impressione che sia un ottimo esempio di come la pensa il 70% dei russi (quelli che, a quanto pare, appoggiano Putin secondo i sondaggi). E nemmeno perché mi illuda di insinuare qualche dubbio nel granitico “campo” presuntamente anti-imperialista. Premetto che la mia giovane (nata nell’87) amica non è assolutamente politicizzata, ha una conoscenza storica vicina a quella di un ragazzino di terza media ed appartiene ad un settore borghese (seppur lontano dalle fortune degli “oligarchi”) della società di Volgograd (che lei chiama ancora Stalingrado). Discutendo con lei, negli ultimi 10 anni, l’ho definita “stalino-zarista”, definizione che lei ha accettato con entusiasmo. Non sopporta Lenin, Trotsky e “tutti quegli ebrei che hanno distrutto la Grande Russia”, mentre grazie a Stalin la “patria” russa era tornata grande, come ai bei tempi dello zar. D’altra parte le hanno fatto studiare fino allo sfinimento “La Grande Guerra Patriottica” – così era – ed è – definita la seconda guerra mondiale nei manuali che è stata obbligata a digerire, per quanto superficialmente). Lunedì mi ha mostrato con entusiasmo il video della sfilata del “giorno della Vittoria” (il 9 maggio) nella sua città. Per l’occasione, essendo ricca, si era permessa di affittare la suite dell’hotel dove era alloggiato Stalin, e da cui si vedeva, dall’alto, lo sfilare di carri armati, missili, soldati al passo dell’oca sventolanti bandiere dell’URSS. Era felice di mostrarmi questa “meravigliosa” sfilata, e le bandiere sovietiche non la disturbavano affatto. Mi diceva che, quando vede la foto della bandiera rossa che sventola sul Reichstag a Berlino, le viene la pelle d’oca. Anche a me, le dico: solo che io ci vedo la bandiera del socialismo internazionale che ha sconfitto il fascismo, e tu la bandiera della “Grande Madre Russia” (per 70 anni “travestitasi” da URSS) che sconfigge la Germania, come Aleksander Nevsky contro i Cavalieri Teutonici 800 anni fa. Dopo questo “intermezzo nostalgico” abbiamo ricominciato a parlare della guerra, con lei che mi dava notizie su notizie sulle malefatte degli ucraini (cui non stento a credere, pur facendo la tara della propaganda di guerra) e su come la Russia, con questa guerra, punta a “salvare l’anima” dell’Europa contro l’americanizzazione che ci vuole tutti gay, lesbiche, trans,…e musulmani. E che vuole sostituire la “Patria” con la globalizzazione, la famiglia con una confusione più o meno orgiastica e Dio con il “libero” mercato. Non posso dire a Svjeta che queste idee contro-rivoluzionarie (nel senso originale, alla De Maistre) hanno molto il comune col fascismo, perché si offenderebbe. Per lei, come per moltissimi russi, i fascisti sono quelli che, il 22 giugno 1941, hanno invaso la “Patria”, causando oltre 20 milioni di morti tra soldati e civili sovietici (che lei chiama “russi”, come tutta la destra occidentale), e lei si sente, a modo suo, anti-fascista (o meglio anti-nazista), pur condividendo con i fascisti il 90% dei valori, dell’immaginario, delle pulsioni. Non conosceva Dugin fino all’attentato in cui è stata uccisa la figlia, per cui non si tratta di un’influenza diretta del pensiero reazionario di questo figlio del Medioevo. D’altra parte, vive in Catalogna da 13 anni ed, anche se va in Russia due o tre volte all’anno, è relativamente immune dalla propaganda putiniana che quotidianamente modella il pensiero della maggioranza dei cittadini della “Strana Agromnaya”. Eppure è profondamente intrisa dei tipici luoghi comuni dell’estrema destra, non solo russa (non è la prima volta che mi manda video della destra spagnola, sull’immigrazione o sull’indipendentismo catalano, e pure da siti italiani d’estrema destra a me sconosciuti, non apertamente fascisti ma con gli stessi “ideali”, appena camuffati). Insomma, come dice il proverbio, un metro di ghiaccio non si forma in una notte. La mia amica, come moltissimi russi, ucraini, bielorussi, polacchi, ecc. che ho conosciuto negli ultimi 30 anni, è il classico prodotto della restaurazione capitalistica post’89, ma pure dei decenni precedenti (almeno dal ’41), a mio avviso, quando la parola “socialismo” era diventata un sottile strato di vernice che nascondeva (male) lo sciovinismo grande-russo di cui parlava con preoccupazione Lenin all’inizio degli anni Venti. E i simboli (così cari ai palati facili di certa sinistra) non cancellano la difficoltà dell’impresa di “trovare l’alba dentro all’imbrunire”.

Flavio Guidi