Avrei dovuto scrivere del migliaio di compagni/e che hanno fatto un corteo colorato e rumoroso (non grazie agli slogan e alle canzoni, che non ci sono uscite dalla gola, ma alla “batucada” continua) dal Carmine antifascista fino a una Piazza della Loggia “istituzionale”. Delle (poche) bandiere rosse che sventolavano qua e là, degli abbracci e dei “come va? Quanto tempo senza vederci”. O magari del discorso di Rosy Bindi, o della bandiera della NATO (sic!) appesa ad una finestra sulla piazza. E anche dei canti anarchici, comunisti, proletari, intonati, durante il discorso della Bindi, da una ventina di ragazze e ragazzi (spalleggiati dalle nostre voci ormai sempre più rauche). Ad essere sincero, ho sempre avuto un rapporto ambiguo con la piazza del 25 aprile. Troppi tricolori, troppi tromboni stonati che con l’antifascismo hanno poco a che fare. E ancor di più oggi, quando sulle battaglie di quelli come il mio vecchio c’è un intero esercito di leccapiedi a sputare fango colorato di giallo e blu (e un gruppo molto meno numeroso, ma altrettanto molesto, di sempliciotti che il fango lo sputano colorato di blu, rosso e bianco). Il senso di solitudine (politica, prima ancora che umana), mentre sventolavo senza tema di sembrare patetico il mio bandierone rosso, cantando “Nostra patria è il mondo intero”, si era un po’ attenuato, fino a ritornare prepotentemente stasera, guardando i telegiornali. Non è tempo di “Ribelli della Montagna” (per ora e per chi sa quanto ancora). Ed allora meglio ricorrere a Italo Calvino, a Claudio Lolli. (FG)
Di ritorno dal mio 50° (circa) 25 aprile

Italian partisans associated with the Partito d'Azione during the liberation of Milan. (Photo by Keystone/Getty Images)