di Umberto Oreste
In Italia l’attenzione della politica rivolta al tema delle spese militari è molto recente, ma è da tempo che il settore militare è in continua ascesa ed è diventato un fattore determinante nell’economia nel nostro paese. Le armi prodotte in minima parte forniscono le forze armate nazionali, ma, vengono in grande misura esportate; l’Italia è, infatti, il settimo paese esportatore di armi, con un volume complessivo di 3.395 milioni di euro. Da notare che le esportazioni sono in minima parte dirette verso paesi NATO: i principali destinatari dei sistemi militari prodotti in Italia sono l’Egitto, l’Algeria e le petromonarchie del Golfo Persico. Armamenti italiani sono stati esportati anche in Russia con un picco di vendite proprio nel 2014, all’epoca della guerra per il controllo del Donbass; in quel periodo i blindati Lince venivano inviati a Rostov ed, attualmente sono impiegati in Ucraina dove verranno inviate le armi anticarro: armi anticarro italiane per distruggere blindati italiani. Quindi la produzione bellica italiana non è indirizzata agli interessi nazionali, ma è semplicemente un affare di proporzioni gigantesche.
Finora nessun partito italiano si è posto il problema di contrastare le richieste sempre più alte del settore militare che tutti i governi succedutisi negli ultimi decenni hanno puntualmente assecondato; anche nei momenti più difficili della crisi economica, dell’emergenza sanitaria, dei vari disastri ecologici, gli stanziamenti finanziari rivolti al militare sono rimasti indenni da tagli: si potevano facilmente tagliare i fondi alla sanità, alla scuola, agli enti locali, alla tutela dell’ambiente, alla sicurezza del lavoro, ma gli stanziamenti militari erano sempre intoccabili. Tutto in nome della sicurezza e degli obblighi verso la NATO. Lo stesso Draghi nel suo insediamento, ha posto l’atlantismo come elemento centrale del suo governo.
Venendo all’ultima legge di bilancio, approvata nel dicembre scorso, i fondi attribuiti al Ministero della Difesa sono stati portati a 25.956 miliardi di euro con un aumento di 1.350 milioni rispetto all’anno precedente, circa il 20% in più rispetto a tre anni fa. Ma i militari sono finanziati anche dal Ministero dello Sviluppo Economico per 3.067 miliardi e dal Ministero del Tesoro per altri 1.397 Miliardi (per le 40 missioni all’estero che impiegano 9.449 uomini e donne); in totale al settore militare per l’anno 2022 sono andati 30.421 miliardi stanziati a dicembre scorso ai quali vanno aggiunti le recenti spese per le armi mandate in Ucraina (162 milioni); 160 milioni è infine la cifra spesa per posizionare 6.000 militari nelle piazze italiane nell’ambito dell’operazione “Strade sicure”. Rispetto al bilancio dello stato la cifra dei 30.421 miliardi costituisce il 3,75%. In paragone il settore Giustizia impegna l’1,2% del bilancio statale, l’Interno il 3,8%.
Tornando all’attualità, il raggiungimento del 2% del PIL per il 2024 (cioè 35 miliardi), era già stato votato in sede del Defence investment pledge della NATO. Nel 2006 un accordo tra i ministri della difesa dei paesi membri della NATO fissava, infatti, al 2% del PIL nazionale l’impegno militare. Successivamente, in Galles, nel 2014, in un incontro tra i capi di governo NATO veniva confermata questa scelta, ne veniva fissata l’esecuzione entro il 2024 e, inoltre, si indicava una quota del 20% di tale spesa da investire in nuove tecnologia di armamenti. Nel 2019 si sono ribaditi questi intenti. Da sottolineare che questi accordi non sono mai stati ratificati dal parlamento italiano e perciò non sono vincolanti per l’azione di governo.
A livello internazionale, in termini assoluti, il bilancio militare mondiale ammontava nel 2020 (ultimi dati disponibili in maniera omogenea) a 1.981 miliardi di dollari: di questi 1.100 erano a carico dei paesi NATO (801 per i soli USA) e 881 a carico di tutti gli altri paesi del mondo. In termini relativi al PIL nazionale, l’Italia con l’1,6 era in media con la Germania e la Spagna, ma era superata da Francia (2,1), Gran Bretagna (2,3), USA (3,7), Ucraina (4,1).
La situazione descritta si riferiva a prima dell’inizio della guerra che sta devastando l’Ucraina e che ha aperto la corsa al riarmo di quasi tutti i paesi. Tutti i paesi europei hanno annunciato considerevoli spostamenti finanziari rispetto ai bilanci ratificati.
Draghi ha sostenuto l’urgenza di adeguare le spese militari al 2% del PIL ed ha assegnato immediatamente 162 milioni di euro, fuori bilancio, alla difesa con un provvedimento accolto a larghissima maggioranza in parlamento con la sola esclusione di Sinistra Italiana, ManifestA e Presenza. Ora che i nodi stanno venendo al pettine, cominciano a delinearsi i distinguo, come quello di Conte, il quale da capo del governo nel 2019 firmò gli accordi NATO che imponevano il 2% del PIL a tutti i paesi membri; sono distinguo che servono per venire incontro al dissenso all’incremento delle spese militari indicato da vari sondaggi. Distinguo che sicuramente verranno messi da parte, perché gli interessi dei gruppi imprenditoriali vengono, come sempre, prima di tutto.