Intorno alle ore 18 di giovedì scorso (20 maggio), il Presidente del Consiglio Mario Draghi ed il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi hanno sottoscritto il Patto per la scuola con le principali confederazioni sindacali (CGIL, CISL e UIL) e con alcune delle organizzazioni di categoria più rappresentative (oltre a quelle aderenti alla triplice SNALS e ANIEF). Ci siamo già espressi sulla sostanza di questa intesa, tessuta di tante promesse (su stabilizzazioni, salari e sicurezza), qualche ambiguità (in particolare sull’autonomia differenziata) e qualche goccia di veleno (su valorizzazione professionale, rigida perimetrazione delle risorse nell’ambito di quanto previsto dal patto del pubblico impiego, scarsa chiarezza sul diritto soggettivo alla formazione e calo demografico come strumento di ridimensionamento per classi e scuole).
Quella stessa mattina, però, Draghi, Bianchi e il resto del governo avevano approvato il nuovo DL Sostegni, 40 miliardi di provvedimenti sull’emergenza sanitaria e oltre. L’asse di questa norma ha un chiaro profilo di classe (come il primo DL sostegni, 32 miliardi per tre quarti destinati alle imprese secondo lo stesso Draghi): basti pensare che nel bis 15 miliardi sono di aiuti diretti alle imprese e 9 miliardi sono destinati a facilitare il loro accesso al credito. Nella nuovo DL, però, sono previsti anche numerosi interventi rivolti alla scuola. Mentre alcuni risultano coerenti con quanto promette il Patto del pomeriggio (ad esempio la previsione di concludere entro il 31 agosto non solo le assunzioni in ruolo, ma anche le assegnazioni provvisorie, le utilizzazioni e le attribuzioni dei supplenti), altri hanno un segno ben diverso.
In primo luogo, l’intervento sui precari. La piaga del precariato segna gli ultimi decenni, favorita da uno Stato che vuole così risparmiare i costi del lavoro (tenendo sguarniti gli organici e pagando i precari meno, non riconoscendo anzianità e non versando gli stipendi in estate). Una bolla che in quest’anno scolastico ha raggiunto quasi le duecentomila cattedre, oltre un quinto del personale. Quest’anno sono previsti oltre 31mila pensionamenti, che aumentano quindi i numeri dei posti vuoti. I circa 26.500 docenti che si apprestano a vincere il concorsostraordinario (rivolto ai precari) non saranno quindi in grado di colmare neanche il turn over. A queste ingressi (come ricostruisce il Sole 24 ore) si prevede di aggiungere poco più di altre 40mila assunzioni:
– circa 22.500 dalla graduatorie di merito dei vecchi concorsi e dalle GAE (graduatorie a esaurimento, vecchie graduatorie composte esclusivamente da docenti abilitati);
– circa 18.500 stabilizzando alcuni precari presenti nella prima fascia delle GPS (le attuali graduatorie provinciali), con almeno 36 mesi di servizio negli ultimi 10 anni: 11 mila su sostegno e 7.500 su posto comune (le cosiddette cattedre), cioè prendendo solo gli abilitati (al 31 luglio) che hanno già lavorato tre anni [che per esser confermati dovranno alla fine del prossimo anno scolastico sostenere una prova di fronte a una commissione esterna alla scuola dove hanno prestato servizio];
– circa 3mila nuove assunzioni, solo su materie STEM (Fisica, Matematica, Matematica e fisica, Scienze e tecnologie informatiche), con un concorso “veloce” composta solo da una prova disciplinare scritta a risposta multipla e una prova orale (da concludere entro agosto).
In questo modo, cioè, secondo lo stesso Ministero, il prossimo anno ci saranno ancora quasi 150mila cattedre da riempire con supplenti (ricordiamo che i docenti di ruolo, attualmente, sono circa 650mila), continuando a gonfiare la bolla del precariato per i prossimi anni. L’intervento previsto, cioè, lungi dall’obbiettivo di non alimentare il precariato enunciato dal patto, lo alimenta nuovamente. Si poteva, al contrario, ricorrere ampiamente al bacino di precari strutturali (circa 70mila docenti con oltre tre anni di insegnamento alle spalle), prevedendo una loro estensiva stabilizzazione per titoli e servizi, cercando di colmare la voragine negli organici. Come si sarebbe potuto aumentare il numero dei docenti assunti per concorso semplificato. Invece si introducono con il DL vincoli e restrizioni (prima fascia delle GPS), proprio per stringere ancora una volta i numeri delle assunzioni. Una scelta sbagliata che trova conferma nell’assoluta assenza di ogni provvedimento per gli oltre tremila DSGA facenti funzioni attualmente presenti nella scuola: più di un terzo degli istituti, infatti, hanno oggi dirigenti amministrativi precari, su cui nulla si dice e nulla si fa.
In secondo luogo, si rivede la procedura dei concorsi ordinari. Per semplificare i percorsi, promettendo quindi una loro indizione ogni anno, il DL prevede che la selezione avvenga attraverso una prova a risposta disciplinare multipla, una prova orale, la valutazione dei titoli e, a valle, la graduatoria. Il concorso a crocette modello Azzolina (50/60 quesiti a risposta multipla a cui bisogna rispondere in 50/60 minuti) viene quindi reso strutturale, trasformando questi test da semplice prova preselettiva a strumento principale di selezione del concorso. Certo, i tempi di correzione sono veloci, ma ci chiediamo come possa esser considerata adeguata una valutazione concorsuale basata sostanzialmente su test a risposta multipla, i cui limiti e le cui occasionalità sono ben conosciute. A peggiorare questa impostazione l’articolo 59 che prevede che chi non supera un concorso non potrà partecipare al successivo nella medesima classe di concorso: una norma vessatoria, volta semplicemente a punire chi non supera una prova che dipende appunto da variabili estremamente casuali.
In terzo luogo, si interviene sulla mobilità. Raccogliendo la pressante richiesta sindacale, si rivede il limite quinquennale introdotto dalla Azzolina lo scorso anno (che impediva ogni trasferimento per i nuovi vincitori di concorso), facendo tornare questo limite a quello triennale precedentemente previsto dal Contratto. Il testo governativo, però, va ben oltre (art. 58 comma 1 lettera 7): per tutelare l’interesse degli studenti alla continuità didattica, si blocca per tre anni dal trasferimento o passaggio precedente la domanda di mobilità per tutti, anche per coloro che vogliano cambiare la titolarità nel quadro della provincia in quanto non rientrante nelle preferenze di sede indicate (scuola, distretto, comune).
In quarto luogo si cambiano per legge compiti ed impegni dei docenti. Il DL sostegni bis, infatti, prevede di render strutturale quello che il governo Conte, con la scusa della pandemia, aveva provato a imporre lo scorso settembre: considerare nell’obbligo di servizio dal primo di settembre all’inizio delle lezioni qualunque ulteriore attività di insegnamento venga programmata dalla scuola, di fatto facendo rientrare i corsi di recupero e le altre eventuali attività integrative nell’attività ordinaria e quindi nei carichi di lavoro dei docenti, quando oggi sono riconosciuti come attività aggiuntive (e pagate conseguentemente).
Il DL sostegni bis, cioè, non solo non stabilizza il precariato, ma introduce nuovi vincoli alla mobilità e soprattutto incrementa il lavoro dei docenti di ruolo. Un atto grave nel metodo e nel merito.
Nel metodo: questo governo, dopo aver condotto proprio su mobilità e organici un’azione antisindacale nei mesi scorsi, proprio mentre afferma nel Patto che il sistema delle relazioni sindacali diventa, anche grazie a questo accordo, uno snodo funzionale cruciale per lo sviluppo di nuovi modelli di organizzazione del lavoro, nel contempo rivede per legge, senza alcun confronto, norme e disposizioni che sono prettamente contrattuali (mobilità e orario di servizio del personale scolastico), mettendo non solo le organizzazioni sindacali di fronte al fatto compiuto, ma ribadendo il metodo dell’imposizione legislativa sul contratto.
Nel merito: da mesi è in corso nei confronti di lavoratori e lavoratrici della scuola una campagna volta esplicitamente ad usare la pandemia, le sofferenze e le difficoltà che tutto il sistema educativo sta conoscendo, per forzare i carichi di lavoro e le norme contrattuali del personale scolastico, dilatando i loro orari e i loro obblighi di servizio. Esemplificativa, a questo proposito, la proposta di Mario Draghi sul proseguimento della scuola in estate e l’articolo del Sole 24 ore sulle ferie dei professori. Proprio in occasione del Patto, proprio il giorno in cui lo sottoscrive, il governo rimarca nelle sue azioni concrete questa strada.
Ora, è sempre possibile che la mano sinistra (Bianchi) non sappia quello che fa la mano destra (il MEF e Giavazzi). Il problema è la testa (Draghi): una, che ha sottoscritto un patto di promesse dopo aver deliberato in Consiglio dei Ministri atti che vanno in direzione opposta, nel metodo e nel merito. Un episodio che ci convince ancor di più della necessità di impegnarsi da subito, come sindacato, per riattivare la categoria, definire con lavoratori e lavoratrici una chiara piattaforma rivendicativa, scioperando quindi per ottenere sicurezza, organici, stabilizzazioni e salari, contro ogni intromissione negli ambiti contrattuali e contro ogni aumento dei carichi e degli orari di lavoro del personale. Scioperando, perché lo sciopero rimane l’arma principale, in fondo l’unica, a disposizione del lavoro. Perché quello che si otterrà non dipende dalle promesse del governo, ma anzi dal contrasto della sua azione, come risultato della determinazione e della forza che il mondo della scuola e il lavoro sarà capace di esprimere, a partire dalle piazze.
RiconquistiamoTutto nella FLC.