La Liguria e gli enti locali non hanno bisogno di autonomia differenziata e corruzione indifferenziata, ma di democrazia partecipata e controllo popolare [Sinistra Anticapitalista Genova]

L’arresto per corruzione del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, del suo capo di gabinetto Matteo Cozzani, di Paolo Emilio Signorini, amministratore delegato di Iren ed ex presidente dell’Autorità Portuale, l’arresto o l’interdizione di imprenditori (portuali e non solo) come i due Spinelli, il padre Aldo e il figlio Roberto, o Francesco Moncada del cda di Esselunga, il coinvolgimento di parecchi altri personaggi minori (tra cui Venanzio Maurici, ex sindacalista FILLEA), alcuni dei quali accusati anche di intrallazzi con Cosa Nostra, sono colpi durissimi al marcio sistema politico-affaristico ligure.

Dopo che è stato appena scoperchiato questo maleodorante pentolone, verificheremo gli eventuali ulteriori sviluppi delle indagini giudiziarie.

Qualche giorno fa i carabinieri hanno arrestato qui a Genova con gran trambusto e una certa violenza 8 compagn* che non stavano facendo nulla di male nella Ex Latteria Occupata. Chissà perché le solerti forze dell’ordine non hanno rifilato qualche robusta manganellata anche a Toti e Cozzani, Signorini e Moncada, prima di trascinarli in galera con la forza … chissà perché a loro no! Per i compagni arrestati ci sono state manifestazioni di solidarietà vivaci e partecipate. Chissà se ora anche il “popolo di destra” farà manifestazioni di sostegno dei suoi eroi, gridando slogan come “Toti è vivo e ruba insieme a noi!” oppure “Toti, Scajola, Santanché!” E chissà se ora sul palazzo della Regione a piazza De Ferrari verranno proiettate le facce di Toti, Spinelli e Signorini per celebrare il loro trionfo.

Ma non si tratta solo di corruzione e illegalità. Questi sono gli stessi personaggi che, insieme a tanti altri, anche di rilievo nazionale e non solo a destra, hanno magnificato in questi anni il “modello Genova”, quello sempre più libero da lacci e lacciuoli (cioè aggiramento o soppressione di norme sugli appalti, di vincoli ambientali, di contratti di lavoro, di controlli amministrativi o antimafia, ecc.) e che si vuole riproporre come sistema, a partire dalla realizzazione di opere come ad esempio il ponte sullo stretto di Messina, un “modello” eretto a sistema dove i confini tra legalità e illegalità diventano sempre più labili e si fanno confusi.

Certo, Toti e la sua giunta naturalmente vanno cacciati subito. Ma questi personaggi vanno cacciati con la lotta, non solo contro corruzione, abusi e malaffare, ma soprattutto per difendere le condizioni del lavoro, il servizio sanitario pubblico, l’istruzione pubblica gratuita.

La Liguria e gli enti locali non hanno bisogno di autonomia differenziata e corruzione indifferenziata, ma di democrazia partecipata e controllo popolare.

Sinistra Anticapitalista – Circolo di Genova

I tanti Toti e la democrazia dei capitalisti

9 Maggio 2024
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L’arresto di Giovanni Toti, del suo collettore politico finanziario, dei suoi sostenitori d’alto bordo, ripropone l’interrogativo più semplice: chi è il reale detentore del potere?

Dopo la famosa valanga di Tangentopoli che scoperchiò il sistema tangentizio della Prima Repubblica, il grosso della politica borghese, della sua nuova nomenclatura, dei suoi intellettuali di complemento, magnificò il nuovo sistema istituzionale maggioritario come garanzia di moralità, di trasparenza, di democrazia. Il cittadino venne celebrato come nuovo sovrano: a lui il potere di decidere il sindaco o presidente di regione. Il presidenzialismo che oggi Meloni porta alle sue conseguenze estreme con il progetto bonapartista del premierato fu coniato di fatto negli anni ’90 dagli ambienti liberal del centrosinistra. Berlusconi ne capitalizzò ripetutamente i vantaggi. Ma la creatura non fu sua. Furono il PDS, poi DS, infine PD, a benedire e incensare i nuovi assetti istituzionali nel nome dell’alternanza di governo all’americana. Sindaco e presidente di regione divennero da allora il nuovo dominus. Consigli comunali e regionali una loro appendice. Fu la celebrazione dei governatori e dei governatorati, quelli di cui oggi l’autonomia differenziata – innescata nel 2001 dal centrosinistra con la riforma del titolo quinto della Costituzione – vorrebbe moltiplicare a dismisura i poteri: tanti premierati regionali e un premier nazionale direttamente eletti dal popolo nel nome della “democrazia”.

Ma la vicenda Toti dimostra una volta di più, se ve n’era bisogno, che “il popolo” elettore “che decide” non esiste se non nella sua rappresentazione propagandistica truffaldina. Il potere non è nelle mani del popolo ma dei capitalisti, quale che sia la forma istituzionale della democrazia borghese. Nella Prima come nella Seconda Repubblica.
I premierati o governatorati attuali sono solo il canale di una relazione diretta, non più mediata, tra i capitalisti e i “presidenti”… votati dal popolo. La scenografia dell’affare Toti è illuminante: armatori, costruttori, grandi manager, azionisti della grande distribuzione o della sanità privata, tutti i protagonisti della vicenda battono cassa presso il proprio presidente dopo aver finanziato le sue campagne elettorali, arricchito i suoi faccendieri, corrotto i suoi fedelissimi tra soggiorni a Montecarlo e fiches al casinò. Con l’immancabile guerra di contorno tra capitalisti corruttori per ottenere l’uno contro l’altro i favori del corrotto (Aponte contro Spinelli e viceversa, per intendersi).

Uno scandalo? Si tratta piuttosto della normalità della società borghese, e in particolare della sua forma istituzionale presidenzialista. Non c’è bisogno infatti di guardare dal buco della serratura di una indagine giudiziaria. Basta aprire la porta dell’anagrafe pubblica dei finanziatori della politica borghese, cioè degli elenchi consegnati alla Camera dei deputati. I finanziatori privati delle campagne elettorali di Toti negli ultimi quattro anni erano consultabili, nero su bianco, per chiunque avesse voluto spulciarli: non solo armatori o immobiliaristi ma petrolieri. Costantino di Europam, il gruppo Black Oil e la famiglia Gavio, la Gastaldi holding, Rimorchiatori Uniti Spa, Officine Navali San Giorgio… Tutti gruppi interessati, non a caso, alle scelte dell’amministrazione pubblica ai fini del proprio profitto privato.

Così fan tutti. Il sindaco Beppe Sala dispone del sostegno finanziario del gruppo Pirelli, della multinazionale della moda LVMH, dei grandi immobiliaristi Daniel Buaron e Mangiarotti, che gestiscono numerosi affari in città.
Il governatore lombardo Attilio Fontana beneficia dei finanziamenti della grande sanità privata (Policlinico Humanitas), della grande distribuzione della Retail Evolution Holding, della fonderia della famiglia Frigerio.
Il governatore friulano Massimiliano Fedriga gode dei finanziamenti della famiglia Gerbellotto, grandi produttori di botti, e della Capitolo Primo Srl.
L’ex governatore siciliano Musumeci usufruiva delle ricche prebende dei grandi potentati della sanità privata (Centro ortopedico siciliano, Centro Clinico G. B. Morgagni, Medicare Srl).
L’ex presidente del Lazio Zingaretti ha goduto sino al 2022 dei fondi generosi del settore medico (MEM Medical Lab) e dell’edilizia Cogetras, che a Roma ha gestito i lavori della metropolitana C.
Quanto a Stefano Bonaccini, ha raccolto fondi per le proprie primarie dalla Forlì Medical Center, convenzionata con la Regione, come dalla clinica privata Villalba, invece non accreditata (ma che forse ambisce all’accreditamento).
Il sindaco di Roma Gualtieri ha ricevuto i finanziamenti privati della società immobiliare Acquamarina che controlla a Roma una catena di alberghi.
Si potrebbe continuare a lungo. Il quotidiano La Repubblica (9 maggio) ha documentato il tutto con candore in un articolo dal titolo eloquente: “Soldi dalle imprese a sindaci e governatori. L’intreccio che aggira lo stop ai fondi pubblici”.

“Via il finanziamento pubblico dei partiti! Onestà, onestà!” gridava il M5S, col Fatto Quotidiano a rimorchio. Il finanziamento pubblico dei partiti è stato abolito formalmente nel 2013 dal governo Letta. Si sono moltiplicate in compenso le fondazioni private, strutture di raccolta fondi sul mercato, controllate direttamente o indirettamente da politici borghesi di varia tacca e dalle rispettive cordate. Uno strumento di finanziamento opaco, formalmente normato da regole di trasparenza, ma in realtà largamente sommerso. Basti pensare che di 108 fondazioni solo otto hanno dichiarato l’elenco di finanziatori e soci. La stessa commissione parlamentare di controllo dei rendiconti dei partiti ha recentemente confessato la propria assenza di mezzi nell’attività di controllo (29 aprile 2024). In altri termini, la propria resa impotente.

Tutto questo ha un solo significato: la politica borghese è sempre più finanziata dai suoi diretti committenti, cioè dagli interessi dei capitalisti. O attraverso donazioni dirette agli amministratori, pubblicamente registrate, come si è visto; o attraverso il sottobosco fuori controllo di fondazioni private. La risultante è oggi più che mai il controllo dei capitalisti sulla propria politica. Onestà e capitalismo sono tra loro incompatibili, con buona pace dei populisti giustizialisti.

Marx definiva i governi nella società capitalista come comitati d’affari della borghesia. Quale migliore conferma del marxismo dell’affare Toti e dei tanti Toti della politica borghese?
Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici può sottrarre la politica al mercimonio dei padroni. L’affare Toti è l’attualità del socialismo.

Partito Comunista dei Lavoratori