di Sebastiano Isaia (dal blog “Nostromo”)

Non so dire se «a Teheran si organizzano più rave party che a Roma», come dichiarò lo scorso giugno Cecilia Sala, la giornalista che per 21 giorni si trovò sequestrata in un carcere iraniano, per dimostrare che «in Iran non c’è il medioevo» (e infatti da quelle parti c’è il capitalismo con ambizioni imperialistiche, ambizioni che si scontrano ormai da decenni con quelle della concorrenza regionale); di certo so che in quel Paese la repressione si fa sempre più sanguinosa via via che la crisi sociale si estende e si approfondisce.

«1.922 condanne a morte. Sono quelle eseguite in Iran nel 2025, secondo quanto rivela un rapporto di Human right, un gruppo per i diritti umani con sede negli Stati Uniti. Un numero pari a più del doppio delle pene capitali eseguito lo scorso anno. Da almeno dieci anni non si toccavano cifre grottesche come questa. Il 2025 è stato evidentemente un anno di grandi tensioni interne per l’Iran, tanto che le autorità hanno fatto ricorso alla pena capitale con un tasso del 106% più alto rispetto ai dodici mesi precedenti. Proprio a conferma della situazione geopolitica tesa, nelle ultime ore il successore di Raisi, il presidente iraniano Massoud Pezeshkian, ha preso una posizione forte contro Stati Uniti, Israele e Unione Europea. “A mio parere siamo in guerra totale contro di loro”, ha detto (Open Online). Di certo il sanguinario regime iraniano, che ha nella Russia, nella Cina e nel Venezuela i suoi maggiori e preziosi alleati (un bel consorzio “antimperialista”, non c’è che dire!), è in guerra totale contro i lavoratori (costretti a bassi salari, divorati dall’inflazione, e a lunghe giornate lavorative), le donne (del resto mai dome), gli studenti, le minoranze etniche, le “minoranze sessuali”, i piccoli commercianti e i piccoli produttori – come gli allevatori di pollame: «A causa di una grave mancanza di mais e soia sovvenzionati dal governo, i pulcini muoiono di fame nelle loro cooperative, portando a enormi perdite finanziarie» (CNRI). L’impotenza della Repubblica Islamica dinanzi alla crisi economico-sociale è resa molto bene da quanto ha detto il Presidente iraniano Masoud Pezeshkian: «Qualcuno mi dica dove dovrei trovare i soldi».

Le crepe nella struttura economica e nel tessuto sociale del Paese sono ormai diventate molto profonde, e un regime sempre più delegittimato (anche a causa delle sconfitte militari subite da Israele e dagli Stati Uniti) non riesce più a giocare come un tempo la carta vincente del nemico esterno (Grande e Piccolo Satana in testa). «Che si tratti dell’allevatore di pollame che guarda il suo bestiame morire a causa della carenza di cibo, del cittadino disabile incapace di sopravvivere con una pensione di 11 dollari, o del lavoratore dello zucchero che sciopera per una retribuzione equa, il messaggio è uniforme: il popolo iraniano ha raggiunto il limite della sua pazienza» (CNRI).

Sfidando la ferocia dei miliziani basij, gli studenti delle Università di Teheran e Isfaha, la cui Università di Tecnologia è particolarmente vicina agli ambienti operai, hanno manifestato oggi «per denunciare la precarietà e il deterioramento della situazione  economica in Iran» (Ansa). È dal 3 dicembre che il Paese è attraversato da grandi manifestazioni antigovernative che denunciano la sua grave situazione economica mentre il regime sperpera risorse per sostenere le sue ambizioni imperialistiche nella regione mediorientale: «Alla Sharif University, ad esempio, gli studenti hanno cantato “Né Gaza, né Libano, la mia vita per l’Iran”» (Adnkronos). Siamo ancora sul terreno del nazionalismo, del patriottismo, ma la realtà del conflitto sociale in Iran è innegabile e, all’avviso di chi scrive, va seguito con molta attenzione e simpatia, nonostante che un sempre possibile regime change avverrà certamente sul terreno della conservazione sociale: l’alternativa “democratica” è pronta a salvare l’ordine sociale scosso dalle continue proteste. Nel 1979 toccò al clero sciita quella ultrareazionaria incombenza – ricordo che non pochi “marxisti” salutarono allora la “rivoluzione khomeinista” come una specie di ripetizione della rivoluzione d’Ottobre. È nei momenti di maggiore conflittualità sociale che si fa sentire in modo drammatico l’assenza dell’autonomia di classe.  

L’OSCENA NUDITÀ DEL SANGUINARIO REGIME IRANIANO

CATTIVE NOTIZIE DAL FRONTE INTERNO PER IL REGIME IRANIANO

LETTERA DELLA “GUIDA SUPREMA” AGLI STUDENTI AMERICANI

MORTO UN BOIA SE NE FA UN ALTRO. MA OGGI DI CERTO QUI NON SI PIANGE!

IRAN. IL BOIA LAVORA A PIENO REGIME…

IRAN. FESTA DEL FUOCO, MANIFESTAZIONI ANTIREGIME, REPRESSIONE E MARINE SECURITY BELT 2024

IL PUNTO SULL’IRAN

INFERNO IRANIANO

MORTE AL TIRANNO! di Mario Gangarossa

I comunisti del Tudeh massacrati.

I sindacalisti mandati in galera.

Gli operai militarizzati.

I democratici, i mujahidin del popolo, sterminati.

Le donne schiavizzate.

Impiccate in pubblico alle gru.

Un paese ripiombato nell’oscurantismo medioevale sotto il tallone di un regime teocratico.

Questa è stata la “rivoluzione komeinista”.

Per chi è tollerante con questi “amici”, “nemici del mio nemico”, solo disprezzo.

È vero i comunisti non ci sono a dirigere quel movimento.

Per la semplice ragione che i vostri compagni di merenda li hanno impiccati in massa.


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