di Assunta Veneruso, giornalista
Ci sono libri che nascono per vendere, altri per vincere premi, e poi c’è chi nasce per salvare qualcuno.
Profumo di viole sfiorite di Antonio Borsa appartiene a quest’ultima, rarissima categoria. Non è un romanzo: è una mano tesa nel buio, una voce che ti grida «aspetta» proprio quando stai per fare l’ultimo passo. Antonio Borsa non è uno scrittore di professione, e forse è per questo che scrive come se stesse parlando all’amico più fragile che abbia mai avuto. Ti prende per le spalle, ti guarda dritto negli occhi e ti racconta la storia di un uomo che arriva alla fine della strada, che decide di farla finita, e che invece – in un luogo sospeso tra la vita e ciò che viene dopo – incontra la possibilità di ricominciare.
Quel luogo si chiama «la Valle». Non è inferno, non è paradiso: è una terra di mezzo dove le anime sfiorite vengono accolte, ascoltate, rammendate. Un limbo che profuma di viole appassite, sì, ma che conserva ancora l’essenza della bellezza. Non vi mentirò: ho pianto. Ho pianto come un bambino a pagina 87, quando il protagonista capisce che il dolore più grande non è quello che gli hanno fatto, ma quello che lui ha fatto a se stesso credendo di non meritare più niente. E ho pianto di nuovo, ma stavolta di sollievo, quando la frase «Sposare il proprio dolore e andare avanti» è diventata una specie di mantra che mi sono ripetuto per giorni. Borsa ha il coraggio di parlare di suicidio senza mai essere morboso, di parlare di redenzione senza essere retorico, di parlare di speranza senza essere zuccheroso. Lo fa con una lingua semplice, napoletana nell’anima, che sembra quella di un fratello maggiore che ti racconta la verità a notte fonda, con una birra in mano e le lacrime che non riesce a nascondere. E poi c’è Max Pezzali.
Sì, proprio lui. Le canzoni degli 883 diventano qui capitoli di un vangelo laico: «Nessun rimpianto», «Come deve andare», «Grazie mille» non sono citazioni decorative, sono coltellate di luce. Borsa le usa come chi usa le stampelle quando ha le gambe rotte: per camminare lo stesso. E tu, lettore, cammini con lui. Questo libro non vincerà il Premio Strega, probabilmente. Non comparirà nelle classifiche dei più venduti per mesi. Ma entrerà in alcune case, in alcune camere chiuse a chiave, in alcuni comodini dove c’è già una lettera d’addio mai spedita, e cambierà il finale di alcune storie che sembravano già scritte. Quando ho chiuso l’ultima pagina, ho fatto una cosa che non faccio mai: ho scritto subito all’autore. Gli ho detto solo grazie. Perché Profumo di viole sfiorite non è letteratura: è terapia. È ossigeno. È la prova che anche quando tutto appassisce, può restare un profumo. Ed è abbastanza per ricominciare a respirare. Leggetelo. Regalatelo a chi sta zitto da troppo tempo.
E se un giorno vi capiterà di sentire profumo di viole in una giornata di novembre, sappiate che non è il vento.
Assunta Veneruso
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