La confederazione chiama allo sciopero generale per il 12 dicembre, ignorando gli appelli alla convergenza. Ma anche Usb ha convocato per conto suo. Come se nelle ultime settimane non fosse accaduto nulla [Checchino Antonini, da Popoffquotidiano]
L’assemblea generale della Cgil proclama lo sciopero generale per il 12 dicembre.
E’ accaduto di nuovo: confederali e sindacati di base che convocano scioperi separati e autoreferenziali su piattaforme quasi sovrapponibili. Fino all’anno scorso era un copione consolidato, in molti lo vivevano come un rito stanco, scuotevano la testa e tutto scorreva come sempre, nel malinconico crepuscolo delle movimentazioni sociali. Ma dopo il 22 settembre e il 3 ottobre di quest’anno, la coazione a ripetere è insopportabile, anacronistica e, più o meno involontariamente, complice. Ora, grosso modo, per chi si fosse perso gli ultimi 25 anni di conflittualità, la situazione è questa: durante l’estate il senso di insopportabilità per il genocidio in Palestina è via via cresciuto fino a sfociare in una successione di manifestazioni e iniziative fino a dare vita a due giornate memorabili di sciopero generale e generalizzato come non se vedevano da tempo: convergente, intergenerazionale, su parole d’ordine inequivocabili. Nemmeno il tempo di riavvolgere gli striscioni ed è iniziata la fase di “capitalizzazione” – gli attori che, ciascuno per sé, provano a consolidare la propria posizione o a sancire la propria egemonia – anziché quella di costruire istituzioni di movimento per continuare a dilatare l’area delle coscienze, come avrebbe suggerito Allen Ginsberg. Così, mentre fiumi di parole venivano spese sulla nascita di un movimento, ciascuno s’è dato una propria scaletta di assemblee e proclamazioni, nella speranza, o nell’illusione, che lo storytelling sia capace di sostituire la realtà. Tutto era leggibile in controluce già nelle analisi fornite all’indomani delle manifestazioni oceaniche, da un lato chi enfatizzava la Flotilla, dall’altro chi la snobbava e assegnava il merito alla lunga marcia delle manifestazioni che si sono succedute dall’indomani dell’avvio dei piani genocidari di Israele. In realtà nessuna delle due versioni è quella definitiva, le movimentazioni sociali hanno sempre ragioni e percorsi complessi, quasi sempre irriducibili alle traiettorie auspicate dalle organizzazioni che gli danno vita. Per questo i grandi movimenti sociali rimescolano sempre le carte, scompaginando alleanze, appartenenze, riscrivendo i codici. Ma perché succeda c’è bisogno che tra una manifestazione e l’altra ci siano spazi, luoghi e tempi all’altezza delle necessità di autorganizzazione. Finora non è accaduto, non abbastanza, almeno.
Che la Cgil avesse in cantiere uno sciopero a ridosso delle vacanze di Natale era nell’aria ed è tradizione della confederazione scioperare a babbo morto, ovvero a manovra approvata. Clamoroso lo sciopero di mezza giornata contro il jobs act proclamato nove giorni (la spiegazione potrebbe essere scritta QUI) dopo l’approvazione della sciagurata controriforma di Renzi. Anche nel 2014 era un 12 dicembre.
Usb, da parte sua, coltiva da sempre l’usanza di chiamare lo sciopero generale senza consultarsi con altri sindacati combattivi, lasciandosi bastare la propria galassia di organizzazioni che le orbitano attorno. Così è stato anche stavolta per la chiamata del 28-29 novembre (sciopero il venerdì, corteo a Roma il sabato) preannunciata durante l’assemblea nazionale di Potere al popolo del 25 ottobre.
Eppure l’eccedenza che ha dato vita agli scioperi di settembre-ottobre era stata chiara con la sua domanda di unità-radicalità.
Ora ci sono anche voci che provano a raccogliere quella domanda:
«Ieri al direttivo nazionale della Cgil, insieme ad altri, ho presentato un documento alternativo a quello della maggioranza che ha deciso lo sciopero il 12 dicembre», dice Eliana Como, portavoce della minoranza di Corso Italia condividendo «ovviamente» la necessità di scioperare, ma ritenendo che «il 12 dicembre sia tardi per provare a intervenire davvero sulla legge di bilancio. Rischia di essere uno sciopero di sola testimonianza».
«Dovevamo provare a convergere con il movimento – dice ancora Eliana Como – intrecciare le nostre rivendicazioni a quelle per la Palestina. Avremmo potuto decidere di scioperare il 14 novembre con gli studenti e le studentesse. Ora ovviamente il 14 sarebbe tardi. Ma si poteva decidere di scioperare il 28 novembre.

Siamo il più grande sindacato di questo paese. Se altre sigle pensano di potersi permettere di forzare sulle date e dichiararle da soli, noi francamente possiamo fare meglio. Convergere su una unica data non è una questione di primogenitura o di dispetto tra sigle. Era bene convergere perché serviva al movimento. Tutto qui. Il resto è proprio noia. Da una parte o dall’altra. Per questo ieri, abbiamo chiesto che si scioperasse il 28 novembre. Lo sciopero sarà invece il 12 dicembre. Ovviamente saremo impegnati nella sua massima riuscita, a prescindere dalle diverse valutazioni. Così come molti decideranno legittimamente di scioperare anche il 28 novembre, come già è accaduto il 22 settembre. Noi ci abbiamo provato. E continueremo a farlo».
A nulla è servito nemmeno l’appello del Collettivo di Fabbrica della ex Gkn per scongiurare uno sciopero indolore per il governo: «Sul prossimo sciopero generale tutte e tutti ci giochiamo la necessità di ripetere, o almeno avvicinarci, all’effetto 3 ottobre. Senza quell’effetto, il Governo – con la sua manovra di sacrifici e spesa militare – ha già vinto», si legge nel comunicato pubblicato in calce all’articolo dove si avverte che «con queste convocazioni separate, invece, si torna al vecchio». Da parte loro, non c’è «alcun dubbio quindi sulla necessità di costruire il 28 novembre. Se viceversa l’intero movimento sarà costretto ad attraversare 2 scioperi generali, questo sarà un problema e un danno, non una ricchezza».
Tuttavia sono proprio questi lavoratori che da quattro anni provano a praticare il conflitto secondo la logica della convergenza/insorgenza che «la priorità al 28 novembre, non può tradursi nell’accettazione di un tentativo di traslare uno schema bipolare all’intero movimento di convergenza. Rifiutiamo il bipolarismo nel campo politico, figuriamoci se lo accettiamo in quello della convergenza eco sociale. Ragione per cui non vediamo nessuna contraddizione tra segnare la priorità del 28 novembre, e rilanciare sul terreno più ampio le giornate di lotta di novembre (22 novembre, corteo nazionale Roma di Non Una di Meno, 29 novembre, giornata internazionale sulla Palestina) e corteo di dicembre (appello del 15 novembre contro la società autoritaria e a seguito del percorso no ddl)». In conclusione: «Ognuno può legittimamente aspirare ad allargare le proprie sfere di identità politica, sindacale, organizzativa e in cuor suo aspirare che tutto questo sbocchi in un campo elettorale. L’idea che nel movimento si tracci un muro per il quale non vi è partecipazione se non collocandosi in questo o quel campo di prospettiva elettorale o di appartenenza sindacale è invece profondamente sbagliata. La convergenza non è un terreno di conquista».

rilanciamo il comunicato del Collettivo Di Fabbrica - Lavoratori Gkn Firenze
1. Sul prossimo sciopero generale tutte e tutti ci giochiamo la necessità di ripetere, o almeno avvicinarci, all’effetto 3 ottobre. Senza quell’effetto, il Governo – con la sua manovra di sacrifici e spesa militare – ha già vinto. Qualsiasi altra considerazione è secondaria. Non esiste nessuna ragione tecnica, politica o sociale per non convergere sul 28 novembre, convocato da Usb e Cub. Si possono ravvisare problemi attorno al profilo e alle modalità di convocazione di questo sciopero. Ma nessuno di questi problemi è tale da giustificare la convocazione di un altro sciopero generale in data separata. Se il tema fosse “la primogenitura della data” – e sarebbe triste se così fosse – si dovrebbe rinnovare il patto d’azione avuto il 3 ottobre e avanzare la proposta di una terza data comune, non procedere a scioperi separati.
2. L’indizione dello sciopero generale da parte della Cgil il 12 dicembre – contro la manovra del Governo – sarebbe da questo punto di vista un errore. Primo: banalmente, perché non puoi seriamente pensare di cambiare la manovra del Governo il 12 dicembre. Secondo: perché dimostri di non aver tratto o di non voler trarre alcun insegnamento dal passato.
3. La potenza di uno sciopero unitario che apre ai movimenti e in cui si stabilisce un patto di azione tra cosiddetto sindacalismo confederale e cosiddetto sindacalismo di base è già stata dimostrata il 3 di ottobre. Con queste convocazioni separate, invece, si torna al vecchio. Dimostrando implicitamente che il nuovo o viene imposto dalla pressione dal basso o non trova altro modo per imporsi.
4. Ma le osservazioni sul tema dello sciopero generale sono molteplici. Innanzitutto: in questo paese non sono mancati gli scioperi generali. Se ci limitiamo a quelli cosiddetti confederali, dal 2021 ad oggi, ci sono stati 6 scioperi generali. Anche escludendo gli ultimi 2 sulla Palestina, stiamo parlando comunque di uno sciopero all’anno. In quali date? 16 dicembre 2021, 14 dicembre 2022, 17 novembre 2023, 29 novembre 2024. Il più riuscito? Probabilmente quello del 29 novembre 2024 quando l’intero sindacalismo di base, con poche eccezioni, decise di convergere sulla data già indetta in precedenza dalla Cgil (a parti invertite, la Cgil dovrebbe fare semplicemente la stessa cosa!). Ma basta dare un’occhiata al ripetersi delle diverse date di sciopero negli anni (anche contro il Jobs Act si scioperò il 12 dicembre), per capire quanto grande e grave sia il pericolo dell’affermarsi nell’immaginario del paese dello sciopero generale “di fine autunno” come di una routine.
5. Perché il 22 settembre e il 3 ottobre 2025 sono stati scioperi generali storici e riusciti, al di là dei meri dati di adesione all’astensione al lavoro? Perché sono stati scioperi generalizzati e non generici. Avevano un’idea di rapporto di forza ben preciso: bisogna bloccare il paese perché hanno bloccato la Flotilla. E perché si innestavano su un movimento di massa che si componeva di migliaia di realtà sociali, iniziative di lotta, ecc.
6. Il rischio che il 28 novembre sia uno sciopero generico e non generalizzato esiste. Ma questo rischio lo si riduce attraverso l’adesione a quella data, non attraverso lo sdoppiamento del rischio con un’altra data di sciopero. Non ci sono dubbi che la Cgil sia in grado di portare più lavoratrici e lavoratori in sciopero o in piazza. Eppure, lo dice la recente storia e non una nostra convinzione ideologica, questo di per sé non basta. La riuscita di uno sciopero generico non dice nulla sulla salute dello sciopero generale.
7. La convocazione dello sciopero del 28 novembre sconta alcuni limiti, su cui non abbiamo interesse a entrare ora. Eppur tuttavia, è attraverso la partecipazione che tali limiti possono essere almeno parzialmente risolti.
8. Non abbiamo alcun dubbio quindi sulla necessità di costruire il 28 novembre. Se viceversa l’intero movimento sarà costretto ad attraversare 2 scioperi generali, questo sarà un problema e un danno, non una ricchezza. Altra cosa sarebbe porsi il problema di convocare due scioperi generali unitari a stretto giro per fare realmente crollare la manovra del Governo. Si tratterebbe di qualcosa di ben diverso e di molto più serio, da costruire con cura meticolosa (verificando la tenuta dei rapporti di forza nei luoghi di lavoro dove la riuscita dello sciopero è tutt’altro che scontata).
9. Eppur tuttavia la priorità al 28 novembre, non può tradursi nell’accettazione di un tentativo di traslare uno schema bipolare all’intero movimento di convergenza. Rifiutiamo il bipolarismo nel campo politico, figuriamoci se lo accettiamo in quello della convergenza eco sociale. Ragione per cui non vediamo nessuna contraddizione tra segnare la priorità del 28 novembre, e rilanciare sul terreno più ampio le giornate di lotta di novembre (22 novembre, corteo nazionale Roma di Non Una di Meno, 29 novembre, giornata internazionale sulla Palestina) e corteo di dicembre (appello del 15 novembre contro la società autoritaria e a seguito del percorso no ddl).
10. Ognuno può legittimamente aspirare ad allargare le proprie sfere di identità politica, sindacale, organizzativa e in cuor suo aspirare che tutto questo sbocchi in un campo elettorale. L’idea che nel movimento si tracci un muro per il quale non vi è partecipazione se non collocandosi in questo o quel campo di prospettiva elettorale o di appartenenza sindacale è invece profondamente sbagliata. La convergenza non è un terreno di conquista.
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