Come si svilupperà la spesa italiana per la corsa al riarmo. Il quadro economico-sociale e i contenuti principali della prossima legge di bilancio. L’appuntamento del 25 ottobre

Per una prima valutazione del carattere di classe (padronale) di questa legge di bilancio per il 2026 è facile riprendere la dichiarazione del Presidente della Confindustria Orsini: “Meloni, imprese al centro. Un buon primo passo” riportato sulla prima pagina del Sole 24 Ore a cui seguono due pagine di una intervista servile alla Premier che segnala quanto la borghesia italiana abbia ormai assunto Meloni e il suo partito come gestori stabili dei suoi interessi e del sistema capitalista [1].

Una seconda valutazione riguarda la vertiginosa corsa al riarmo dell’Europa che, dopo gli 800 miliardi di armamenti già decisi dall’UE alcuni mesi fa, ne pianifica (vaneggia?) complessivamente ben 6.800 di qui al 2035, che sembra non trovare riscontro in alcun articolo della legge finanziaria. In realtà la legge di bilancio è strutturata (un marchingegno come spiegheremo più avanti), per permettere al governo, già nel 2026 nuovi massicci investimenti nella spesa militare, ma fuori dai riflettori della discussione parlamentare della legge, sapendo quanto questa scelta sia ben poco condivisa nell’opinione pubblica.

Il compito del governo delle destre non era facile perché deve continuare a gestire le scelte economiche in funzione del grande capitale, ma anche contemporaneamente del suo blocco sociale piccolo e medio borghese di riferimento e di voto elettorale, senza incorrere contemporaneamente nel rigetto di strati ampi della popolazione e della classe lavoratrice, tanto più che gli ultimi mesi hanno segnato un forte crescendo di mobilitazioni di massa,  certo focalizzate sul rigetto morale del genocidio in atto in Palestina con la complicità dei governanti italiani, ma anche espressione di un malessere sociale molto profondo.

Hanno scelto una legge finanziaria di poco superiore ai 18 miliardi, che secondo il giudizio di tutti gli osservatori e dello stesso Documento Programmatico di Finanza Pubblica (DPFP), avrà effetti ben limitati, se non nulli sul PIL del prossimo anno che si assesterà a un ben modesto + 0,6%, secondo Bankitalia.

In questo modo si sceglie di stare pienamente dentro le regole liberiste del nuovo Patto di stabilità che impone, come prima, di contenere il disavanzo pubblico entro il 3% del PIL; anzi il governo italiano che aveva concordato per il 2025 con Bruxelles di mantenere il disavanzo al 3,3% ha deciso di rientrare già per l’anno in corso nel parametro più basso. Perché questa fretta? Qui sta il marchingegno che apre le porte allo sviluppo delle spese militari.

Il marchingegno con cui sviluppare la corsa al riarmo

Esiste infatti nel nuovo Patto di stabilità europeo una clausola denominata “clausola di salvaguardia nazionale” che permette di aumentare gli investimenti per armi di un ulteriore 1,5% del PIL senza che questa spesa sia conteggiata nei parametri dell’austerità. Questa clausola scatta solo se si sta dentro il famoso 3%; se l’Italia vi rientra già nel 2025, a partire dal prossimo anno potrà spendere molti altri miliardi per le spese militari come chiede l’UE e la Nato. Si liberano così 4 miliardi di spesa militare aggiuntiva il prossimo anno, 11 nel triennio fino al 2028 arrivando al 2,5%, ma con la possibilità di salire fino al 2,8%.

Ma non basta; esiste il progetto europeo detto Safe per cui i fondi al riarmo saranno finanziati con prestiti a lungo termine da ripagare a tassi convenienti alla Commissione Europea. In questo modo Meloni e Giorgetti hanno potuto giurare in conferenza stampa che, “per ora, il premio alle lobby armate euro-atlantiche non comporterà altri tagli alla spesa sociale, in corso, né aumenterà le tasse. Accadrà dopo la fine della legislatura. Così si finanzierà l’aumento della spesa militare al 5% del Pil voluto da Nato e Trump” scrive il manifesto (per una piena comprensione della dimensione macroeconomica e antisociale della legge si veda anche l’articolo di Emiliano Brancaccio)

Il quadro economico sociale e i riferimenti politici

La legge finanziaria dovrà infatti fare i conti con una situazione economica e produttiva particolarmente difficile, a partire dagli effetti molto pesanti provocati dai dazi che hanno già determinato un forte caduta delle esportazioni nel corso del secondo semestre di questo anno e che mettono a rischio, secondo il centro studi della Confindustria, 16,5 miliardi di export negli USA. Si aggiunge poi il fatto che a giugno del 2026 giungerà a conclusione il famoso PNRR europeo, per cui si ridurrà la spinta di investimenti che questo piano ha rappresentato per l’economia, anche se assai al di sotto delle “magnifiche sorti progressive” che erano state propagandate al momento del suo lancio nel 2021, quando l’Italia aveva portato a casa lo stanziamento maggiore quasi 200 miliardi).

Infine non si può dimenticare la condizione di crisi di molti settori produttivi industriali, tra cui quello principale del paese (l’automotive), per non parlare della situazione della siderurgia e di Taranto, con molte decine di vertenze in corso e la messa in discussione di decine di migliaia di posti di lavoro.

Vediamo come il governo abbia cercato di rispondere alle domande del suo principale azionista, cioè la grande borghesia, che più che mai richiede tantissime nuove prebende pubbliche per le aziende al fine di continuare a garantire le loro capacità concorrenziali e quindi i profitti, ma anche a quelle del suo blocco sociale elettorale, la piccola e media borghesia che la concorrenza capitalista che tende a mettere fuori dal mercato che è però fondamentale per il suo successo e la stabilità governativa. Per settimane le tre forze che compongono il governo si sono scontrate perché ognuna di esse, con una coperta che è per definizione corta, cercava di garantire i loro settori di riferimento, un contrasto che è ancora in corso in particolare sul tema delle imposizioni fiscali alle banche, di altre imposte come quelle sugli affitti a breve e infine sui tagli dei diversi ministeri.

Il governo e Meloni hanno anche presente che in nemico principale nello scontro sociale resta per loro la classe operaia; non a caso il primo bersaglio è diventata la principale organizzazione sindacale, la CGIL, che, nel contesto dato, ha dovuto dare qualche segnale in più di mobilitazione sociale.

Se poi si tiene conto che la principale questione sono i salari estremamente bassi delle lavoratrici e dei lavoratori italiani,  salari che restano inferiori a quelli di 30 anni fa e che anche negli ultimi anni hanno subito, grazie alla inflazione, una forte caduta del potere di acquisto, infine che ci sono decine di contratti di lavoro aperti, oltre 7 milioni di dipendenti, tra cui quelli dei metalmeccanici e di diversi settori pubblici, Meloni e soci avevano la necessità di confezionare qualche misura di immagine verso le lavoratrici e lavoratori. Sono misure minime e mistificanti che hanno lo scopo di confondere le acque e di rendere più difficile una mobilitazione di classe su salario ed occupazione della classe lavoratrice nel suo insieme.

I contenuti principali della legge di bilancio

Il governo ha saputo confezionare una finanziaria ben mascherata nei suoi contenuti ed obiettivi di fondo, soprattutto sostenuta da una gestione mediatica adeguata di tutti i giornali che hanno messo in rilievo solo le spese per famiglie e lavoratori, relegando in secondo piano gli strumenti con cui vengono finanziati.

Partiamo dalle risorse, dalle entrate e dai risparmi.

5 miliardi arrivano direttamente dall’utilizzo dei soldi del PNRR, cioè si utilizzano fondi europei per finanziare il bilancio italiano; sono risorse che andavano spese altrove nel Piano di resilienza e eilancio europeo e che oggi sono stornate a sostenere le misure della finanziaria.

Poi ci sono i famosi 4,4 miliardi provenienti dalle banche e dalle assicurazioni, su cui però è ancora in corso una forte discussione; non è ancora chiaro, mentre scriviamo, quali saranno le misure concrete e definitive, se saranno obbligatorie o volontarie, se saranno contingenti o permanenti. Resta quindi un punto interrogativo sulla loro reale concretizzazione e sul rischio che possa aprirsi una falla nel bilancio.

La bozza di bilancio indica poi altri 3,3 miliardi di entrate, a partire dalla benzina e dalle sigarette, ma non solo. Sono invece state rinviate la plastic e la sugar tax.

Arrivano poi i tagli ai diversi ministeri per un totale di 8 miliardi nei tre anni. 2,3 miliardi il primo anno, 2,6 il secondo ed infine 3,1 nel 2028. Interessano in particolare istruzione e cultura!

Ci sono infine anche altre riduzioni di spesa per circa 2,6 miliardi, sarà interessante capire dove, sembra siano interessati in particolare i fondi per la coesione.

Come sono impiegate queste nuove risorse e i risparmi.

Quel che salta subito all’occhio è che al capitolo sugli Investimenti pubblici troviamo uno zero!

Se c’era qualche dubbio sulla natura capitalista e iperliberista del governo è fugato!

Partiamo così dalle due più importanti, quelle tanto discusse che vanno a vantaggio dei padroni, quelli grandi, ma anche quelli più piccoli.

Alle imprese, grazie al superammortamento vengono dati 3,5 miliardi, altri 2,5 miliardi arrivano per le Zes (zone economiche speciali). La Meloni ha parlato di 8 miliardi alle imprese. Di certo questi regali al padrone diventano 11 miliardi nel triennio.

Poi c’è la rottamazione tanto cara a Salvini e ai suoi vari padroni e padroncini. Chi non ha pagato le imposte potrà farlo in 9 anni attraverso una rateizzazione che può arrivare fino a 54 rate.

Regioni ed Enti locali potranno infine decidere autonomamente sanatorie, cioè azzerare sanzioni ed interessi per Tari, IMU, Canone, Multe.

La riduzione dell’Irpef per i redditi tra 28.000 e 50.000 euro, con il passaggio dalla aliquota del 35% al 33% vale 2,8 miliardi di euro. Comporta al massimo un aumento di reddito annuale di 440 euro. Se va bene, la maggioranza delle lavoratrici/tori interessati avrà 6 euro in più al mese. Quelli privilegiati (con redditi annui compresi tra i 50.000 e i 200000 euro) 37 al mese.

Le cosiddette riduzioni del carico fiscale sul lavoro varranno circa 2,1 miliardi attraverso la riduzione al 5% degli aumenti contrattuali, all’1% dei premi di produzione, gli straordinari e il lavoro notturno al 5%.  

Gli studi della CGIL hanno calcolato che, tra il 2022 e il 2025, soprattutto a causa dell’inflazione sono circa 25 i miliardi di euro sottratti ai redditi fissi, cioè in media circa 2000 euro persi da ciascuna lavoratrice o lavoratore.

E’ chiaro che ci troviamo di fronte a una vera e propria elemosina del governo. Per di più le ricerche di questi giorni segnalano che quegli stessi aumenti previsti dalla legge finanziaria potranno essere vanificati dagli effetti del fiscal drag.

Affrontare il tema del salario seriamente, vorrebbe dire garantire alle lavoratrici e ai lavoratori del pubblico e del privato forti aumenti salariali, un meccanismo di scala mobile come era nel passato e ridisegnare completamente la struttura del fisco che oggi grava prevalentemente sulla classe lavoratrice e pensionate/i. E’ stata cassata perfino la debole proposta di far scattare un aumento dei salari automatico agganciato all’inflazione per i contratti non rinnovati da oltre due anni.

Si devono aggiungere altre due considerazioni: le misure del governo producono una riduzione delle entrate dello stato, quindi produrranno inevitabilmente una riduzione dei servizi sociali, civili, assistenziali e sanitari, lo stato toglie con una mano quel poco che da con l’altra mano.

In secondo luogo queste riduzioni fiscali sul lavoro non sono altro che una misura per i padroni; serve a questi per poter “tacitare” le richieste salariali, sborsando molto meno di quel dovrebbero dare e di chiudere in quel modo i contratti di lavoro.

Vedremo se la classe operaia saprà reagire a questi raggiri e a mettere in discussione le manovre di Meloni e company.

Le spese per la famiglia e le spese sociali valgono circa 1,5 miliardi

Vengono mantenuti alcuni bonus tra cui quello del 50% per le ristrutturazioni della casa, l’abilitazione principale esce dai calcoli dell’ISEE, quello per le mamme con due figli, che viene rafforzato al 60%, prorogato il congedo parentale.

Continua la beffa sulle pensioni. Siamo ben lontani dalle promesse di Salvini di abolire la Fornero. Anzi la Fornero si rafforza. La tanto sbandierata sterilizzazione dell’aumento dell’età della pensione è saltata (se non per una piccolissima fetta di lavori usuranti) ci vorrà un mese in più quest’anno per raggiungerla, il prossimo altri due mesi in più, arrivando così a 67 anni e 5 mesi. Per i lavoratori della scuola che hanno particolari finestre di uscita, si rischia semplicemente che quel mese in più si traduca in un anno intero. Il governo non si dimentica però di fare l’elemosina alle pensioni minime di 20 euro. Ora sono a 603,4 euro al mese, saliranno a 623,4.

Saltano definitivamente quota 103 e opzione donna.

Sanità

La Meloni ha vantato gli aumenti alla sanità previsti nella finanziaria di 2,4 miliardi che si aggiungono a quelli stanziati l’anno scorso di 4 miliardi.  Solo che per fare i conti con le necessità complessive servirebbero aumenti a due cifre. Infatti gli aumenti previsti coprono solo la metà dei 13 miliardi persi in tre anni al netto dell’inflazione secondo il calcolo della Fondazione Gimbe. Qualcuno stima che servirebbero addirittura 40 miliardi in più. Nel 2026 il finanziamento si collocherà a 140, 5 miliardi di euro salendo poi nel 2027 a141,2 dati che comportano una flessione rispetto al Pil di due decimi di punto tra il 2024 e il 2027. Inoltre una parte cospicua dei fondi investiti, circa la metà, andrà ai centri privati.

Qualche conclusione e l’appuntamento del 25 ottobre

E’ con questa finanziaria che il governo spera di disinnescare le possibili mine sociali, dividere il mondo del lavoro, continuare a garantirsi il sostegno dei settori piccoli e medio borghesi e il benestare della grande borghesia; nel frattempo va a avanti su tutti i terreni ad occupare i posti di potere, compressi cultura, università, fondazioni liriche, a colpire i settori sociali più deboli, ad attaccare lo stato sociale, a favorire della sanità privata, a inasprire la repressione contro i movimenti sociali, a mettere sotto tutela governativa lo stesso potere giudiziario, a stravolgere la scuola cercando di costruire una narrazione segnata dalle peggiori concezioni reazionare ed anche fasciste, a non riconoscere i diritti delle donne, e, a coronamento del tutto, sviluppare un nazionalismo razzista e neocoloniale con la massima subordinazione  e vassallaggio agli USA e  a Trump.

Più che mai è tempo di allargare in ogni forma e sui diversi terreni la mobilitazione sociale e politica contro le politiche del governo delle destre, contro le politiche antipopolari e liberiste dell’UE e del capitalismo che diventano sempre più corsa al riarmo e alla guerra.

Le grandi manifestazioni delgi ultimi mesi ed anche quella della ex GKN di sabato scorso a Firenze rilanciano più che mai la necessità dell’insorgenza e della convergenza, la necessità di una risposta plurale e complessiva nello stesso tempo.

La CGIL ha fatto appello a una grande manifestazione sabato prossimo a Roma 

su una piattaforma sociale abbastanza netta e chiara: “Per la pace, il lavoro, la democrazia, no all’austerità, al riarmo, all’economia di guerra

E’ una piattaforma che si lega bene a quanto si propone la campagna europea No Rearm Europe, e di certo alle aspettative delle milioni delle persone che si sono mobilitate nelle scorse settimane. Il Segretario della CGIL ha aggiunto che “Uno dei nostri obiettivi è cercare di saldare la lotta contro il riarmo con quella per il lavoro, Perché dire no al riarmo e dire sì alla pace oggi è la condizione per poter affrontare i temi reali e investire sulla sanità e sull’aumento dei salari

Tutto condivisibile, verificheremo anche la coerenza di questi propositi nella prossima delicatissima fase in cui unire fino in fondo la lotta contro la finanziaria dei padroni, per i diritti della classe lavoratrice, degli sfruttati ed oppressi e la battaglia contro la corsa al riarmo e alla guerra.

Appuntamento sabato 25 ottobre alle 14,30 in Piazza della Repubblica a Roma.


[1] Il Sole 24 ore del 19 ottobre, dopo in prima pagina con grande foto di Meloni  che preannuncia “Una finanziaria per il paese e le imprese”, fa seguire una sua intervista condotta in modo servile che si espande nelle pagine 2-3, con altre 4 foto della Premier. E’ una modalità che risulta del tutto inedita rispetto al passato quando il Sole 24 ore presentava le legge di bilancio in una forma assai più distaccata. Per di più l’intervista non è stata fatta da un/una giornalista del Sole 24 ore, ma da una giornalista esterna (più comoda),  come è già avvenuto in altre occasioni da parte della proprietà, una scelta imposta dall’alto che ha spinto il CDR del quotidiano a una dura presa di posizione per “condotta anti-sindacale” e alla proclamazione di un pacchetto di 6 giorni di sciopero.


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