Cara giovane compagna. Posso chiamarti così? Nella scorsa manifestazione, in occasione dello sciopero del 3 ottobre, quando in migliaia sfilavamo per le vie di Brescia urlando la nostra indignazione, la nostra rabbia contro il genocidio in corso a Gaza, ti ho visto, a pochi metri da me, con il tuo velo in testa, mentre sventolavi una bandiera palestinese, gridando a squarciagola “Palestina libera”, “Giù le mani dai bambini” e persino “Se non cambierà, intifada (!?) pure qua”. Quando io, con la mia bandiera rossa, con pochi altri compagni, ho gridato “Contro lo stato sionista, per una Palestina laica e socialista”, ti sei girata, con lo sguardo stupito. E hai ripreso con i tuoi slogan, rilanciati dai megafoni e dagli altoparlanti. Quando abbiamo urlato che “Nostra patria è il mondo intero” e abbiamo intonato l’Internazionale, finendola con l’immancabile “Il proletariato NON ha nazione”, hai di nuovo taciuto, rinnovando lo stupore nei tuoi occhi. Credo che tu abbia all’incirca vent’anni. Forse sei d’origine palestinese, o araba in genere, ma questo non è importante. L’importante è che fossi lì, con migliaia di altr* giovani come te, a urlare la tua rabbia contro un’enorme ingiustizia. Mi piacerebbe rivederti ancora, in altre manifestazioni, magari contro altre guerre ed ingiustizie, visto che purtroppo in questo mondo sempre più in preda alla barbarie ce ne sono a bizzeffe. E vanno crescendo, purtroppo. Mi sono visto un po’ nei tuoi occhi, con mezzo secolo di ritardo (e pure di più), quando ero in piazza per il Vietnam, per la Palestina (già, non è iniziata ieri, come credo tu sappia), per il Cile, per il Nicaragua, ecc. ecc. Urlavo “IRA, ERP, FEDAYIN, TUPAMAROS, VIETCONG”. Erano i miei eroi, tutti. Erano i “nostri”, quelli che secondo me combattevano contro il capitalismo (ma allora usavo di più la parola “imperialismo”, mi sembrava fosse più da “duro”, da “rivoluzionario”) per creare una società diversa, di liberi ed uguali. Che quelli come me, che avevo la tua età (e anche meno) chiamavano “socialismo” o “comunismo”. Poi l’IRA si è sciolta, e il suo partito di riferimento, il Sinn Fein, governa l’Ulster con gli ex nemici “unionisti”. L’ERP è finito massacrato dai militari argentini. I fedayin (o per lo meno chi li dirigeva politicamente) controllano pezzi di Cisgiordania (e pure di Gaza, anche se vengono da un’altra parrocchia), e di “liberi ed eguali” neppure l’ombra, anche volendo stendere un velo pietoso sui rapporti con il potere sionista. I Tupamaros, almeno i sopravvissuti agli assassini militari, han deciso di allearsi con quella “sinistra moderata” che disprezzavano e sono arrivati al governo. Hanno addirittura avuto un presidente della Repubblica. Simpatico, onesto, bravo fin che si vuole. Ma pure lì, di socialismo neppure l’ombra. I Vietcong? Beh, quelli sono gli unici che, almeno teoricamente, hanno vinto. Come ero felice quando, 50 anni fa, guardavo gli elicotteri americani portarsi via gli ultimi “imperialisti” (e relativi fantocci) sconfitti. E il Vietnam è da allora unito, indipendente, con una bella bandiera rossa e con l’aggettivo “socialista” dopo il sostantivo “Repubblica”. Ma non so se gli operai vietnamiti che lavorano per quattro soldi nelle fabbriche tessili di Ho Chi Minh ville (ex Saigon) o di Hanoi vivano e si sentano in una società di liberi ed eguali.

Sia chiaro, non mi pento assolutamente di aver gridato la mia solidarietà a tutti questi “soggetti” politici mezzo secolo fa. Gli “altri”, quelli che li ammazzavano, erano molto, ma molto peggio. Il fatto che, dopo oltre 50 anni, sia ancora qui, nello stesso corteo dove ci sei tu, a gridare contro gli assassini, lo testimonia. Però sai, a vent’anni si è (giustamente) molto generosi e con poca esperienza (politica, ma anche semplicemente umana). Con l’età e, appunto, l’esperienza politica, si diventa più guardinghi, forse più “tirchi”, politicamente parlando. Le energie sono molte meno, e non le si vuole “sprecare”. Si cerca di approfondire, di capire chi sono e cosa vogliono quelli che si appoggiano. Soprattutto cosa fanno concretamente (in particolare se hanno un minimo di possibilità di agire con un certo peso in una determinata società). E allora, se nel frattempo si è pure studiato un po’ il passato, oltre a continuare a mobilitarsi in mille occasioni, si scopre che, quasi sempre, il difetto stava nel manico. Le idee che stavano alla base di quei progetti politici, al di là della volontà e spesso dell’eroismo individuale di quei “combattenti”, diciamo così, zoppicavano parecchio. Con questo non voglio dire che, se le idee fossero state molto più chiare, le cose sarebbero andate sicuramente meglio! Troppe sono le varianti che, indipendentemente dalle idee più o meno chiare, influiscono sul divenire storico. Di una cosa però sono abbastanza certo: se si avessero avuto le idee più chiare, molti errori (e sicuramente tutti gli orrori) si sarebbero potuti evitare, e forse non ci troveremmo in una situazione così catastrofica. Tra l’altro, “quei” combattenti, pur con i difetti di cui ti ho appena parlato, erano dieci, cento volte meglio di quelli a cui, mi sembra, fai riferimento tu. Avevano un po’ di idee confuse, (o quanto meno diverse dalle mie, in particolare quelle che ho maturato negli ultimi 35 anni) certo, ma in generale potevo condividere con loro almeno una parte, magari piccola, del cammino. Il loro nazionalismo (perché alla fin fine era questo ciò che avevano in comune tra loro) non puzzava, come quello che va di moda oggi, non solo in Palestina, di marciume tradizionalista alla “dio, patria e famiglia” o alla “sangue e terra”. E, in un modo più o meno spurio, cercava di parlare anche a me e a quelli che condividevano con me la stessa posizione sociale (ai miei tempi si usava una parola, proletariato, che forse tu non hai mai sentito). Tutto ciò, mi chiedi, rende i tuoi vent’anni diversi dai miei? In parte sì. Un po’ perché, appunto, è passato un altro mezzo secolo di esperienze (quasi sempre negative) e bisogna ragionarci su. E un po’ perché, a pensarci bene, ai miei tempi non c’era nemmeno uno straccio di vecchietto che, nei nostri cortei, ci dicesse cose diverse da quelle che urlavamo noi (seppur divisi in clan e “parrocchie” diverse, e spesso contrapposte), lasciandoci almeno la possibilità di girarci e stupirci, come hai fatto tu. Beh, non voglio annoiarti oltre con questa “predica” da settantenne “politicamente parsimonioso” e un po’ stanco. Fai bene a scendere in piazza. Fai bene ad urlare la tua rabbia ai quattro venti. Come diceva il poeta “il cammino si crea camminando”. Però cerca di studiare, di riflettere ANCHE razionalmente. Non regalare la tua generosità a qualcuno che, forse, non la merita (e che magari non la considera neppure per quel che vale, visto che sei una donna). Buona lotta, ragazza.

Flavio (quello con la bandiera rossa)


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