di Gianni Sartori
Cari compagni,
non so se possiedo “competenze” adeguate per commentare l’articolo di Gigi Roggero. Però ci provo (sempre da “proletario autoalfabetizzato). Stando alle categorie proposte, ritengo di potermi comunque classificare ex “sessantottino”. Avverto tuttavia (da parte mia) una diversa percezione dei tempi passati: per me il 68 era durato almeno fino al 1975. Sicuramente giovane e immaturo. Avevo sedici anni, venivo dalla campagna, quella veneta, famiglia di “obbligati” e mondine (i nonni) e di operai (padre – poi in tipografia -e madre, oltre a praticamente tutti gli zii e zie, in genere alla Cotorossi di Debba o alla Lanerossi di Portamonte; qualcuno muraro).
La prima manifestazione, magari solo per curiosità, davanti alla Ederle, risaliva all’ottobre 1967 (con le cariche della Celere 2). Poi ci fu la presenza (causale il 19, volontaria il 20) ai fatti di Valdagno dell’aprile ’68. Di seguito l’occupazione della Piazza di Arzignano (col Giorgio Bordin eravamo arrivati in bici) e la successiva invasione del Comune alla fine del ’68 (da non confondere con i tre giorni ad Arzignano per la Pellizzari nel 1971).
Avevo anche distribuito il volantino per l’eccidio di Avola (dicembre ’68) e poi di Battipaglia (1969). In memoria i picchetti alle fabbriche di Olmo (con cariche e arresti) e le manifestazioni per il processo di Burgos (ai Baschi, nel 1970)…oltre naturalmente a tutte le manifestazioni per denunciare la Strage di Stato del 12 dicembre 1969 e la defenestrazione di Pirelli. Dimenticavo: gli scontri con i fascisti (soprattutto nel 1971, in genere le ho prese). Mancando solo a quello più noto del ferimento di Alberto Gallo – figlio di Ettore – e del futuro storico Emilio Franzina, davanti al Liceo scientifico (ma solo perché ero di corvée a scaricare camion).
E via così. Almeno fino al 1974 (v. Puig Antich) e – ma solo in un paio di occasioni – al 1975.
Infatti, pur avendo nel frattempo vinto un concorso per l’insegnamento elementare (che però avevo rifiutato in quanto scoprivo essere in vigore il giuramento), per ragioni di sopravvivenza materiale avevo cambiato attività lavorativa.
Da facchino precario (quindi con maggiori indipendenza, per quanto saltuaria e in nero) presso Domenichelli, Veneta -Piombo (subappaltato due volte, oltre che dalle soidisant “cooperative”, anche dalla FIAMM), Meoni, traslochi con l’Olimpico etc etc…a operaio nel laboratorio di una ditta artigianale. Imparando a usare la fresa e respirando vernici e colle “a la va là che la va ben”. Ditta con negozio-vendite e quindi aperta anche il sabato pomeriggio (giorno “canonico” per le manifestazioni).
Dati poi gli orari più “bronzei” (quattro ore al mattino, quattro al pomeriggio, ma si finiva comunque vero le 20) anche riunioni e incontri con i compagni diventavano incerti e aleatori.
O forse fu anche per vicende più personali, non so. Comunque, piano-piano, senza clamore, uscii dal giro. Magari proprio sul più bello, chi può dire…
Nel 1975 quindi ricordo di aver partecipato soltanto a un paio di cose: una manifestazione per i fatti dell’aprile 1975 (Varalli, Zibecchi, Boschi, Miccichè…) e – ma qui forse mi confondo con l’anno prima, per Salvador – una a Venezia (Consolato spagnolo).
Rientrai nei ranghi (per quanto da battitore libero) solo nel 1981, alquanto scosso dalle vicende irlandesi, ossia lo sciopero della fame e la morte di Sands, O’Hara, Devine…(un contributo ulteriore dall’essermi ritrovato in ospedale come tardiva conseguenza delle resine, polveri e vernici inalate sul luogo di lavoro di cui dicevo).
Inoltre, se fino a qual momento avevo scritto solo volantini e ciclostilati, in seguito tentai di continuare la militanza anche giornalisticamente (fondamentale comunque l’incontro con la Lega per i Diritti e la Liberazione dei popoli, quella di Lelio Basso).
Questo per la vostra serie “ecchisenefrega ?” (cito Buttura).
Quanto ai memoriali nostalgici (v. sopra), ritengo che ricordare, anche se in maniera leggermente edulcorata, sia comunque sempre meglio che rimuovere.
Parlando del “68 lungo” (quindi almeno fino al giro di boa della meta dei settanta), va riconosciuto che qualcosa di rilevante era sicuramente accaduto. Quantomeno una generale presa di coscienza delle contraddizioni e soprattutto delle ingiustizie del mondo. Una conferma lapidaria – e non richiesta – ci venne poi data dallo Stato con la strage di Piazza Fontana. Per cui si passava bruscamente dal “Grande prato verde dove crescono speranze”, da Danilo Dolci e Barbiana, dai Nomadi e Bob Dylan…, bruscamente, alla guerra di classe (quella vera, messa in campo dal capitalismo imperialista).
E quindi?
E già…bella domanda.
Niente da fare, al momento non saprei cosa aggiungere. Colpa della “mancata rielaborazione” ?
Ci penso su e poi vi so dire.
Gianni Sartori
PS Una curiosità.
Dato il tono dell’articolo e dei commenti, era voluta la piccola “incongruenza” di aver utilizzato l’immagine del corteo (presumibilmente del ’77) in cui nel cordone di testa appare Walter Alasia (il sesto da sinistra, ma anche da destra) ?
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