I paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che hanno accolto altri cinque stati (Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Indonesia e Iran), si sono incontrati a Rio de Janeiro il 6 e 7 luglio 2025. L’Arabia Saudita era presente, ma non ha aderito ufficialmente come paese membro. Erano presenti anche i rappresentanti di altri 20 stati considerati “partner”.
Mentre il presidente degli Stati Uniti intensifica le azioni unilaterali sia sul fronte militare che commerciale, i paesi BRICS difendono il multilateralismo e il sistema delle Nazioni Unite, in crisi. Difendono anche il modo di produzione capitalista, produttivista-estrattivista, che sfrutta il lavoro umano e distrugge la natura.
I paesi BRICS rappresentano metà della popolazione mondiale, il 40% delle risorse energetiche fossili, il 30% del PIL globale e il 50% della crescita. Hanno le risorse per cambiare il loro modello di sviluppo capitalistico orientato all’export, ma non vogliono farlo.
È necessario esprimere una visione chiaramente critica dei BRICS. Questa posizione non ci impedisce in alcun modo di denunciare, in primo luogo e con la massima fermezza, il governo degli Stati Uniti, nonché i suoi alleati europei e indo-pacifici (Giappone, Australia, ecc.), per le loro politiche imperialiste. Questa politica si esprime palesemente attraverso il loro sostegno allo stato di Israele, responsabile del genocidio in corso a Gaza e dell’aggressione militare contro i paesi vicini. Israele è il braccio armato degli Stati Uniti nella regione. Senza il sostegno incrollabile di Washington e la complicità dell’Europa occidentale, il governo neofascista israeliano non sarebbe in grado di continuare il genocidio.
Da parte loro, i paesi BRICS non stanno adottando alcuna misura concreta come gruppo per impedire efficacemente il proseguimento dei massacri e del genocidio. Nella serie di domande e risposte che pubblichiamo qui sotto, Eric Toussaint, storico e politologo, portavoce del CADTM International (Comitato per l’abolizione del debito illegittimo), analizza la dichiarazione finale del vertice dei BRICS pubblicata il 6 luglio 2025 e le politiche pratiche dei BRICS e delle istituzioni da essi create. Questo articolo fa parte di una serie che affronta la politica internazionale dei BRICS in merito alle loro relazioni con Israele e al genocidio commesso dal governo israeliano. Il Refrattario pubblicherà nelle prossime settimane gli altri articoli della serie, che saranno dedicati alla posizione dei BRICS su altre questioni internazionali, come gli attacchi degli Stati Uniti e di Israele contro l’Iran, gli Houthi, l’invasione dell’Ucraina, la NATO, il sistema finanziario internazionale, il dollaro, la Nuova Banca di Sviluppo, il G20, la crisi ecologica e altro ancora.
di Eric Toussaint, da cadtm.org
È vero che i paesi BRICS non condannano il genocidio in corso a Gaza?
Sì. Nella dichiarazione finale del vertice BRICS, pubblicata il 6 luglio 2025, i paesi BRICS non usano il termine genocidio per descrivere ciò che sta accadendo a Gaza. I paesi BRICS criticano l’uso della forza da parte di Israele nei punti da 24 a 27 della loro dichiarazione, ma non usano mai i termini “genocidio”, “pulizia etnica” o “massacro”. Ciò che colpisce è anche che la parte della dichiarazione del 6 luglio 2025 riguardante Gaza è quasi identica a quanto si trova nella dichiarazione finale del precedente vertice dei BRICS tenutosi a Kazan, in Russia, nell’ottobre 2024. È come se le prove del genocidio, che aumentano ogni giorno, non giustificassero ancora l’uso chiaro di questo termine.
È vero che i paesi BRICS non propongono sanzioni contro Israele?
Sì, è vero: nella loro dichiarazione finale, i paesi BRICS non hanno proposto sanzioni contro Israele. Non hanno proposto di violare i vari accordi che li vincolano allo stato di Israele. Eppure, il genocidio e i massacri in corso di Gaza in cerca di cibo giustificano e richiedono un’azione che vada oltre le proteste dei BRICS e di altri stati.
Le proteste espresse dai paesi BRICS sono state del tutto insufficienti nell’ottobre 2024 al vertice di Kazan e lo saranno ancora di più nel 2025. Solo i governi e gli organismi multilaterali possono intraprendere le azioni concrete e forti richieste. Certamente, le manifestazioni di piazza, le occupazioni di spazi pubblici e università e le iniziative legali delle organizzazioni civiche sono fondamentali, ma non possono sostituire l’azione degli stati e delle istituzioni internazionali.
- Per un contesto sul genocidio in corso a Gaza e sulle responsabilità delle potenze occidentali, leggere: Gilbert Achcar, Gaza o il fallimento dell’Occidente.
I paesi BRICS stanno adottando misure concrete contro il governo israeliano?
I paesi BRICS, nel loro insieme, non stanno attuando misure concrete contro il governo israeliano, come boicottaggi o embarghi. È vero che il Sudafrica ha preso l’iniziativa di presentare un ricorso contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, il che è positivo, ma le sue pratiche sono in contrasto con questa azione legale. Il Sudafrica, infatti, intrattiene relazioni commerciali con Israele, in particolare consentendo alle aziende sudafricane di esportare regolarmente carbone in Israele via nave.
Dall’inizio del genocidio, si stima che 17 spedizioni abbiano trasportato 1,6 milioni di tonnellate di carbone per alimentare la rete elettrica israeliana. Centinaia di persone hanno partecipato a proteste, indette dalla Palestine Solidarity Campaign, da gruppi comunitari nelle aree carbonifere e da attivisti per il clima, contro Glencore il 22 agosto 2024 e il 28 maggio 2025 (una giornata mondiale di mobilitazione) e contro il suo partner locale African Rainbow Mineralsil 5 aprile 2025; l’azienda è gestita da Patrice Motsepe, cognato del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa.
I paesi BRICS intrattengono relazioni commerciali con Israele?
Oltre all’Iran, i paesi membri dei BRICS intrattengono relazioni commerciali con Israele. Oltre al Sudafrica, Russia, Brasile, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Cina continuano a vendere carburante (petrolio, gas, carbone, ecc.) a Israele. Si tratta di un aiuto significativo per il governo israeliano, che ha bisogno di diversificare le proprie fonti energetiche per proseguire lo sforzo bellico e il normale funzionamento del paese, e per impedire che il malcontento della popolazione israeliana raggiunga proporzioni incontrollabili.
Esamineremo brevemente le relazioni tra i diversi paesi membri dei BRICS e Israele.
Qual è il ruolo della Cina nelle relazioni commerciali di Israele?
La Cina è la principale fonte di importazioni di Israele. La Cina effettua investimenti significativi in Israele. La Cina ha esportato beni per un valore di 13 miliardi di dollari in Israele nel 2022, 16 miliardi di dollari nel 2023 e 19 miliardi di dollari nel 2024. La crescita è destinata a continuare nel 2025. Il volume potrebbe facilmente superare i 20 miliardi di dollari se non verranno imposte restrizioni o boicottaggi. I dati citati provengono da Israel Imports from China e dall’agenzia di stampa statale cinese Xinhua. La Cina rimane la principale fonte di importazioni di Israele nel 2023. Fonti cinesi riportano che nel 2023 la Cina è stata la principale fonte di importazioni di Israele per il quarto anno consecutivo. Gli Stati Uniti si sono classificati al secondo posto. Nel 2024, la posizione dominante della Cina è stata confermata.
I prodotti ad alta tecnologia dominano i beni scambiati tra Israele e Cina: apparecchiature elettriche/elettroniche (importazioni ed esportazioni), macchinari industriali e prodotti ottici e medicali sono tra le principali categorie oggetto di scambi. Il deficit commerciale di Israele con la Cina è molto significativo. Israele importa molto di più dalla Cina di quanto esporti verso la Cina. Il deficit commerciale di Israele con la Cina è aumentato notevolmente negli ultimi anni, superando i 10 miliardi di dollari nel 2024.
Va notato che, se consideriamo i paesi dell’UE nel loro complesso, l’UE è il principale fornitore di Israele, con circa 26 miliardi di dollari di esportazioni verso Israele nel 2024. In realtà, ogni paese dell’UE rifornisce Israele separatamente, con la Germania in testa in termini di esportazioni verso Israele con circa 6 miliardi di dollari. Per questo motivo, la Cina può essere considerata il principale fornitore (con 19 miliardi di dollari di esportazioni dalla Cina verso Israele nel 2024), e gli Stati Uniti il secondo fornitore (con poco più di 9 miliardi di dollari di esportazioni verso Israele nel 2024).
Tra i beni di consumo venduti dalla Cina a Israele ci sono droni che non erano originariamente destinati all’uso militare, ma che vengono convertiti in armi dall’esercito israeliano per uccidere civili palestinesi. Ciò è dimostrato da un’inchiesta condotta dal media indipendente israeliano +972 Magazine, che indica che questi droni sono prodotti dall’azienda privata cinese Autel Robotics (con sede a Shenzhen), che produce i droni EVO. Ecco un estratto di quanto rivelato:
L’esercito israeliano ha armato una flotta di droni commerciali di fabbricazione cinese per attaccare i palestinesi in zone di Gaza che intende spopolare, come rivela un’inchiesta di +972 Magazine e Local Call. Secondo interviste a sette soldati e ufficiali che hanno prestato servizio nella Striscia, questi droni sono azionati manualmente dalle truppe a terra e vengono spesso utilizzati per bombardare civili palestinesi, compresi i bambini, nel tentativo di costringerli a lasciare le loro case o impedire loro di tornare nelle aree evacuate. I soldati usano più comunemente i droni EVO, prodotti dall’azienda cinese Autel, che sono principalmente destinati alla fotografia e costano circa 10.000 NIS (circa 2.500 sterline) su Amazon. Tuttavia, con un accessorio fornito dall’esercito, noto internamente come “iron ball”, una granata a mano può essere fissata al drone e sganciata con la semplice pressione di un pulsante per farla esplodere al suolo. Oggi, la maggior parte delle compagnie militari israeliane a Gaza utilizza questi droni. S., un soldato israeliano che ha prestato servizio nell’area di Rafah questo Un anno fa, ha coordinato attacchi con droni in un quartiere della città che l’esercito aveva ordinato di evacuare. Durante i quasi 100 giorni in cui il suo battaglione ha operato lì, i soldati hanno condotto decine di attacchi con droni, secondo i rapporti giornalieri del suo comandante di battaglione esaminati da +972 e Local Call. Nei rapporti, tutti i palestinesi uccisi erano elencati come “terroristi”. Tuttavia, S. ha testimoniato che, a parte una persona trovata con un coltello e un singolo incontro con combattenti armati, le decine di altre vittime uccise – una media di una al giorno nella zona di combattimento del suo battaglione – erano disarmate. Secondo lui, gli attacchi con droni sono stati effettuati con l’intento di uccidere, nonostante la maggior parte delle vittime si trovasse a una distanza tale dai soldati da non poter rappresentare alcuna minaccia.
In un articolo pubblicato su Euro-Med Monitor, una ONG indipendente con sede a Ginevra, in Svizzera, nel febbraio 2024, era già stato denunciato l’uso da parte dell’esercito israeliano di droni prodotti da AUTEL Robotics. Questa ONG, che si dedica alla documentazione delle violazioni dei diritti umani in Medio Oriente, Nord Africa ed Europa, aveva invitato le aziende cinesi, tra cui AUTEL, a rispettare il diritto internazionale:
Nelle regioni colpite da conflitti armati, le aziende corrono un rischio maggiore di diventare complici di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. Di conseguenza, le aziende che operano in tali contesti devono esercitare una maggiore due diligence per mitigare efficacemente questi rischi più elevati. Più specificamente, quando un prodotto viene utilizzato in modo improprio in modi che contraddicono gli obblighi internazionali e i valori non violenti dell’azienda, in particolare per scopi militari che portano alla commissione di crimini internazionali e gravi violazioni dei diritti umani, l’azienda deve agire con decisione. Dovrebbe adottare misure immediate per cessare o impedire il suo contributo e utilizzare la leva finanziaria per mitigare il più possibile l’impatto residuo.
L’esercito israeliano sta utilizzando anche droni civili di un’altra azienda cinese nella sua guerra contro la popolazione palestinese a Gaza. Questi droni sono prodotti da DJI (Da-Jiang Innovations) , un’azienda cinese privata con sede a Shenzhen (Cina) e leader mondiale nella produzione di droni civili e professionali.
Come ha scritto Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, nel suo rapporto intitolato Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, pubblicato nel giugno 2025:
20. Laddove le entità aziendali continuino le loro attività e relazioni con Israele – con la sua economia, il suo esercito, i suoi settori pubblico e privato collegati al territorio palestinese occupato – possono essere ritenute colpevoli di aver consapevolmente contribuito a: violazione del diritto palestinese all’autodeterminazione; annessione di territorio palestinese, mantenimento di un’occupazione illegale e quindi al crimine di aggressione e alle violazioni dei diritti umani ad esso associate; crimini di apartheid e genocidio, e altri crimini e violazioni accessori. Sia le leggi penali che quelle civili di varie giurisdizioni possono essere invocate per ritenere le entità aziendali o i loro dirigenti responsabili di violazioni dei diritti umani e/o crimini di diritto internazionale.
21. È pertanto dovere delle autorità del paese in cui hanno sede queste società e delle società stesse evitare qualsiasi forma di complicità con le autorità israeliane. Questo vale per la Cina come per il resto del mondo. Spetta pertanto alle autorità dei paesi in cui hanno sede queste aziende, e alle aziende stesse, evitare qualsiasi forma di complicità con le autorità israeliane. Tale obbligo si applica sia alla Cina che al resto del mondo.
- Aderisci all’appello Gaza, non alimentiamo l’«economia del genocidio»
La Cina sta investendo in Israele?
La Cina ha effettuato investimenti significativi in due porti israeliani di importanza strategica, il porto di Haifa e il porto di Ashdod, entrambi situati sul Mar Mediterraneo. La società cinese China Harbour Engineering Company, una sussidiaria di China Communications Construction Company, ha modernizzato e sviluppato il terminal portuale di Ashdod. Questo progetto ha aumentato la capacità delle strutture portuali e migliorato le infrastrutture per far fronte alla crescita del commercio internazionale. Il porto di Ashdod è uno dei principali hub commerciali di Israele. La sua modernizzazione ha rafforzato la sua posizione strategica nella regione, facilitando gli scambi commerciali tra Cina e Israele, in particolare nel contesto della Belt and Road Initiative (BRI).
China National Offshore Oil Corporation (CNOOC), un’altra importante azienda cinese, ha acquisito una partecipazione significativa nel terminal container di Haifa nell’ambito di una partnership con il governo israeliano. Questo progetto, come quello di Ashdod, ha permesso a Israele di attrarre investimenti per il miglioramento delle sue infrastrutture portuali. Nel caso delle strutture del porto di Haifa, gli investimenti cinesi vengono in parte realizzati attraverso la collaborazione con aziende indiane. Oltre ai porti, le aziende cinesi stanno investendo anche in altri settori infrastrutturali, come i trasporti, l’energia e l’alta tecnologia. Ad esempio, sono attualmente in fase di sviluppo progetti nei settori delle tecnologie di trasporto intelligenti, dell’intelligenza artificiale, della sicurezza informatica e delle telecomunicazioni con la partecipazione di importanti aziende cinesi come Huawei e ZTE.
Quali sono i rapporti tra i governi russo e israeliano?
È noto che Vladimir Putin e Netanyahu hanno una buona opinione l’uno dell’altro, nonostante la Russia critichi pubblicamente le politiche israeliane in Medio Oriente. Finora, Putin non ha denunciato il genocidio in corso a Gaza in nessuna delle sue dichiarazioni. Tuttavia, ha usato molto spesso il termine “genocidio” per giustificare l’invasione dell’Ucraina e l’annessione di parte del suo territorio. Nel suo discorso del 24 febbraio 2022, in cui giustificava l’“operazione militare speciale” in Ucraina, Putin ha dichiarato:
Il nostro obiettivo è proteggere le persone che sono state sottoposte al genocidio da parte del regime di Kiev per otto anni. Ci impegneremo a smilitarizzare e denazificare l’Ucraina. Inoltre, in una successiva intervista con Tucker Carlson del 9 febbraio 2024, Putin ha affermato che L’Ucraina, sotto il controllo occidentale, ha condotto una guerra contro il suo stesso popolo nel Donbass. Bambini, donne, anziani vengono uccisi ogni giorno. Non è forse un genocidio?
Va inoltre notato che il 1° luglio 2025, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, pochi giorni prima di recarsi al vertice dei BRICS a Rio, ha dichiarato:
Siamo lieti di constatare che il leader del nuovo governo israeliano, il primo ministro Benjamin Netanyahu, ha espresso due volte il suo sostegno a una soluzione a due stati per il problema palestinese nell’ultimo mese. Auspichiamo che questa posizione sia supportata da misure concrete. Da parte nostra, continueremo a facilitare la ripresa dei colloqui, sia attraverso canali bilaterali che in diverse sedi internazionali, in primo luogo nel formato del Quartetto per il Medio Oriente di mediatori internazionali. È necessario monitorare la situazione nella Striscia di Gaza, dove la popolazione continua a sperimentare gravi difficoltà umanitarie. Vi è una forte richiesta di misure volte a revocare o almeno ad allentare il blocco.
Come si evince da questa dichiarazione, Sergey Lavrov non condanna il genocidio in corso e il suo atteggiamento nei confronti del primo ministro fascista Benjamin Netanyahu è positivo, il che è totalmente inaccettabile.
Israele dipende ancora parzialmente dalla Russia per cibo (cereali) ed energia (petrolio, gas, carbone), nonostante le tensioni geopolitiche. Israele esporta prodotti ad alto valore aggiunto in Russia: prodotti agricoli, apparecchiature mediche, prodotti chimici ed elettronici. Israele ha un deficit commerciale significativo con la Russia. Nel 2023, il volume degli scambi è diminuito a seguito delle sanzioni imposte alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, ma è ripreso nel 2024. Il volume degli scambi ha raggiunto i 3,5 miliardi nel 2022, è sceso a 2,6 miliardi nel 2023 ed è risalito a 3,9 miliardi nel 2024.
In pratica, Israele non sta applicando sanzioni occidentali alla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina, così come la Russia non sta applicando sanzioni a Israele nonostante il genocidio in corso.
Va notato che dall’invasione dell’Ucraina nel 2022, centinaia di milioni di dollari (circa 300 milioni di dollari al trimestre) sono stati trasferiti in Israele tramite conti di oligarchi o nuovi migranti. Va anche notato che circa 500 soldati israeliani con passaporto russo hanno preso parte alle operazioni nella Striscia di Gaza tra ottobre 2023 e marzo 2024, nove dei quali sono stati uccisi. Le autorità israeliane hanno fornito queste informazioni. Per l’anno 2025, non disponiamo di informazioni precise sui numeri, ma è noto che i soldati israeliani che partecipano al genocidio hanno la doppia nazionalità, russa e israeliana. Le autorità russe non criticano i russi mobilitati nell’esercito israeliano, compresi quelli impegnati a Gaza.
Qual è la situazione degli scambi commerciali tra India e Israele?
Gli scambi commerciali tra India e Israele sono in crescita e si attestano intorno ai 10 miliardi di dollari. L’India fornisce a Israele prodotti petroliferi, diamanti e altre pietre preziose, prodotti chimici e farmaceutici, nonché armi (inclusi i droni).
Israele fornisce armi (missili), munizioni e sistemi di difesa all’India. Secondo Moneycontrol.com, uno dei principali siti web finanziari indiani, il commercio di armi tra Israele e India è aumentato di 33 volte in 10 anni, tra il 2015 e il 2024, raggiungendo i 185 milioni di dollari nel 2024. La rivista New Internationalistscrive nel numero di gennaio 2025:
Aziende indiane come Adani-Elbit Advanced Systems India, Premier Explosives e l’azienda statale Munitions India stanno fornendo attivamente droni e armi a Israele, mentre quest’ultimo continua la sua guerra genocida contro la popolazione di Gaza. Ad aprile, attenta a non compromettere questi accordi, l’India si è astenuta da una risoluzione ONU per il cessate il fuoco che includeva richieste di un embargo sulle armi contro Israele. Israele, a sua volta, ha continuato a fornire ininterrottamente equipaggiamento militare all’India, un impegno significativo, dato che Israele ha ritardato di oltre 1,5 miliardi di dollari le esportazioni di armi verso altri paesi dall’ottobre 2023. Dall’ascesa al potere del primo ministro Narendra Modi nel 2014, l’India è diventata un attore chiave nel commercio di armi di Israele. Essendo il maggiore importatore di armi al mondo, il paese dell’Asia meridionale è diventato l’acquirente più affidabile di Israele, rappresentando il 37% delle sue esportazioni totali di armi.
Non vi è alcuna indicazione della volontà di modificare la posizione filo-israeliana del primo ministro indiano (era presente di persona al vertice dei BRICS a Rio nel luglio 2025). India e Israele sperano di concludere un accordo di libero scambio entro la fine del 2025. Secondo il Times of Israel del 18 febbraio 2025:
Israele e India stanno cercando di firmare quest’anno un atteso accordo di libero scambio, in seguito alla decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di riorganizzare i piani per una rotta commerciale tra Stati Uniti e India che passerebbe attraverso Israele.
Per quanto riguarda la posizione dell’India sulla Palestina, si è verificato un significativo cambiamento a favore di Israele, soprattutto dopo l’elezione di Narendra Modi. Ha rotto con la tradizione nel 2017, diventando il primo primo ministro indiano a visitare Israele senza visitare anche la Palestina. Il governo Modi ha evitato di criticare direttamente Israele, in particolare durante i bombardamenti di Gaza (2014, 2021, 2023, 2024 e 2025) e le violenze commesse dai coloni in Cisgiordania. All’interno del paese, la solidarietà con la Palestina è sempre più attaccata, denigrata o delegittimata dalla destra indù, in particolare nel clima politico e ideologico plasmato dal partito induista Bharatiya Janata Party (BJP) di Modi.
Quali sono i rapporti del Sudafrica con Israele?
Non c’è dubbio che sia molto positivo che il governo sudafricano abbia presentato un ricorso contro Israele il 29 dicembre 2023 presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG), il tribunale delle Nazioni Unite responsabile della risoluzione delle controversie tra stati. Pretoria accusa Israele di aver violato la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio con il suo attacco militare a Gaza.
Il ricorso del Sudafrica espone le sue accuse in quello che denuncia come il contesto più ampio della condotta di Israele nei confronti dei palestinesi durante i suoi 75 anni di apartheid, i suoi 56 anni di occupazione belligerante del territorio palestinese e i suoi 16 anni di blocco della Striscia di Gaza. Nella sua decisione del 26 gennaio 2024, la Corte ha ordinato a Israele di adottare misure per prevenire atti di genocidio nella Striscia di Gaza, pur non accogliendo la richiesta del Sudafrica di imporre a Israele la sospensione delle sue operazioni militari a Gaza. Da allora, Israele ha comunque continuato il genocidio del popolo palestinese a Gaza e ha inasprito il blocco degli aiuti umanitari.
Nel gennaio 2025, il Sudafrica ha contribuito a istituire il Gruppo dell’Aja per coordinare le misure legali e diplomatiche contro la politica di Israele a Gaza. Secondo la dichiarazione inaugurale, gli impegni principali sono esigere il rispetto degli ordini della Corte internazionale di giustizia e dei mandati di arresto della Corte penale internazionale (CPI) contro i leader israeliani, vietare il trasferimento di armi o carburante (per scopi militari) che potrebbero essere utilizzati nel conflitto e bloccare l’accesso ai porti per le navi che trasportano equipaggiamento militare in Israele. I paesi fondatori del gruppo sono: Sudafrica, Colombia, Belize, Bolivia, Cuba, Honduras, Malesia, Namibia e Senegal. Una riunione di emergenza si è tenuta a metà luglio 2025 a Bogotà.
Per quanto riguarda i BRICS, nessuno dei quattro stati fondatori (Brasile, Russia, India e Cina) ha finora aderito alla denuncia del Sudafrica, mentre 15 stati vi hanno aderito in un modo o nell’altro. Dei cinque paesi BRICS, solo il Brasile, molto tardi, ovvero nel luglio 2025, ha annunciato la sua intenzione di aderire in futuro alla denuncia contro Israele. Se consideriamo i dieci paesi che costituiranno i BRICS nel 2025, solo l’Egitto ha finora aderito alla denuncia.
Da parte del Sudafrica, la relazione più deplorevole, profondamente incoerente con la sua giusta denuncia contro Israele, è il fatto che continua a commerciare con quel paese, in particolare fornendo carbone. Secondo alcune fonti, il 15% del carbone consumato da Israele proviene dal Sudafrica. Patrick Bond, professore universitario in Sudafrica, ha regolarmente denunciato le forniture di carbone sudafricano a Israele. Secondo Bond, la principale argomentazione avanzata dalle autorità di Pretoria per giustificare la continuazione della fornitura di carbone a Israele è che ciò violerebbe le norme dell’OMC. Bond risponde che questa argomentazione è del tutto infondata, dato che negli ultimi anni un numero considerevole di stati ha violato le norme dell’OMC senza alcuna ripercussione. Inoltre, porre fine agli scambi commerciali con Israele sarebbe indubbiamente un’azione legittima per il Sudafrica.
Come scrive infatti Francesca Albanese, relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, al paragrafo 89 del suo già citato rapporto intitolato “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”:
“I conglomerati minerari ed energetici estrattivi, pur fornendo fonti di energia civile, hanno alimentato le infrastrutture militari ed energetiche di Israele, entrambe utilizzate per creare condizioni di vita calcolate per distruggere il popolo palestinese.”
Va notato che questo rapporto fondamentale è stato reso pubblico alla fine di giugno 2025, prima del vertice dei BRICS. Tuttavia, la dichiarazione finale del vertice dei BRICS, resa pubblica il 6 luglio 2025, non ne fa alcun riferimento.
Bond ha compilato un corposo dossier sul gruppo di armamenti sudafricano Paramount Group, guidato da Ivor Ichikowitz, denunciando la stretta collaborazione tra questa azienda, Israele e gli Emirati Arabi Uniti (EAU). Bond condanna in particolare la collaborazione del Paramount Group con l’azienda di armamenti israeliana Elbit. Il suo dossier intitolato “Il commercio tra Sudafrica e Israele include armamenti?” è stato pubblicato il 21 dicembre 2024.
Va notato che il capo del Paramount Group, Ivor Ichikowitz, ha condannato la denuncia del Sudafrica contro Israele. Ha scritto sulla rivista Fortune:
La posizione più recente del Sudafrica, apertamente ostile a Israele e molto favorevole ad Hamas, culminata nel trascinare lo stato di Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia (ICJ), avrebbe potuto benissimo portare alla punizione del Sudafrica e all’esclusione dall’AGOA (l’African Growth and Opportunity Act, la legge statunitense del 2000 per la collaborazione e l’assistenza economica e commerciale nei confronti dei paesi dell’Africa subsahariana, ndt), una prospettiva che incombe ancora sulle relazioni tra Stati Uniti e Sudafrica.
Bond, vari movimenti sudafricani e numerosi attivisti chiedono alle autorità di Pretoria di imporre sanzioni a Israele, vietando le esportazioni di carbone verso quel paese e interrompendo tutte le relazioni commerciali.
Quali sono le relazioni commerciali del Brasile con Israele?
Il volume degli scambi commerciali tra Brasile e Israele ammonta a poco meno di 2 miliardi di dollari. Il Brasile importa da Israele più di quanto esporti. Il Brasile esporta petrolio greggio in Israele, che rappresenta un quarto delle sue esportazioni verso quel paese. Esporta anche carne, che rappresenta circa il 20% delle sue esportazioni, e soia geneticamente modificata, che rappresenta anch’essa il 20%. Il resto include pollo kosher, armi, ecc.
Ciò implica che tra Brasile e Israele esista un commercio di armi?
Sì. Nel 2024, ad esempio, il Brasile ha esportato armi in Israele per un importo limitato (poco meno di 2 milioni di dollari), ma si trattava di munizioni da guerra. Nel 2024, il Brasile ha importato armi da guerra da Israele per poco meno di 9 milioni di dollari. Il Brasile, quindi, mantiene un commercio di armi nonostante il genocidio e, soprattutto, continua a cooperare in modo significativo nel campo della tecnologia della difesa, principalmente con l’azienda israeliana Elbit Systems e la sua controllata brasiliana Ares Aeroespacial e Defesa.
Va notato che Elbit System è esplicitamente menzionato nel rapporto e compare nell’elenco delle aziende produttrici di armi che collaborano direttamente al genocidio, secondo Francesca Albanese, relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati. Francesca Albanese afferma quanto segue al punto 31 del suo rapporto:
Punto 31. Il complesso militare-industriale è diventato la spina dorsale economica dello stato. Tra il 2020 e il 2024, Israele è stato l’ottavo esportatore di armi al mondo. Le due principali aziende israeliane produttrici di armi – Elbit Systems, fondata come partenariato pubblico-privato e successivamente privatizzata, e la statale Israel Aerospace Industries (IAI) – sono tra i primi 50 produttori di armi a livello mondiale. Dal 2023, Elbit ha collaborato strettamente alle operazioni militari israeliane, integrando personale chiave nel ministero della Difesa, e ha ricevuto il Premio Israeliano per la Difesa 2024. Elbit e IAI forniscono un approvvigionamento interno fondamentale di armamenti e rafforzano le alleanze militari israeliane attraverso l’esportazione di armi e lo sviluppo congiunto di tecnologia militare.
Aggiunge al punto 33:
33. Anche droni, esacotteri e quadricotteri sono stati onnipresenti macchine di morte nei cieli di Gaza. I droni, in gran parte sviluppati e forniti da Elbit Systems e IAI, hanno volato a lungo accanto a questi aerei da combattimento, sorvegliando i palestinesi e fornendo informazioni sugli obiettivi. Negli ultimi due decenni, con il supporto di queste aziende e collaborazioni con istituzioni come il Massachusetts Institute of Technology (MIT), i droni israeliani hanno acquisito sistemi d’arma automatizzati e la capacità di volare in formazione a sciame”.
La collaborazione militare tra Brasile e Israele attraverso Elbit e la sua controllata ARES è consolidata. Ad esempio, Ares ha fornito al Brasile stazioni di armi telecomandate (RCWS, REMAX) nell’ambito di un contratto del valore di circa 100 milioni di dollari. La cooperazione va oltre gli scambi fisici, con trasferimenti di tecnologia, coproduzione e addestramento tramite Elbit/Ares.
Inoltre, nell’aprile 2024, sotto la pressione del ministero della Difesa, il programma brasiliano VBCOAP (obice semovente corazzato) ha selezionato il sistema autocarrato ATMOS-2000 da 155 mm (Tatra T-815 6×6) sviluppato da Elbit Systems come vincitore di una gara d’appalto che coinvolgeva anche il Caesar (Francia), l’SH-15 (Cina) e lo Zuzana 2 (Slovacchia). Il contratto iniziale prevedeva l’acquisizione di 36 obici: due unità dovevano essere consegnate entro 12 mesi per la valutazione tecnico-operativa in Brasile. I restanti 34 sistemi saranno consegnati annualmente fino al 2034. Il valore totale del contratto è stimato tra i 150 e i 200 milioni di dollari, o addirittura 210 milioni di dollari secondo alcune fonti.
Al momento della stesura di questo articolo, il progetto è stato “congelato” dall’ottobre 2024 a causa delle critiche del presidente Lula da Silva contro Israele e la guerra a Gaza. Tuttavia, non è stato firmato alcun decreto esecutivo che annulli il progetto. Dall’annuncio del congelamento del contratto, il ministero della Difesa brasiliano e il capo di stato maggiore dell’esercito hanno cercato di sbloccare il dossier e convincere il presidente a procedere con le consegne, in particolare le due unità prototipo per i test operativi. Alla fine di luglio 2025, il ministro degli Esteri brasiliano Mauro Vieira ha annunciato un inasprimento della posizione del Brasile nei confronti di Israele e la sospensione del commercio di armi con Israele.
Come si sta comportando l’Egitto, membro a pieno titolo dei BRICS, nei confronti della solidarietà con il popolo palestinese?
In primo luogo, va sottolineato che nel giugno 2025 le autorità egiziane hanno represso e impedito a migliaia di persone provenienti da decine di paesi diversi di viaggiare all’interno del paese per raggiungere il valico di frontiera di Rafah per esprimere la propria solidarietà al popolo palestinese, chiedere la fine del genocidio e sostenere la necessità di un cessate il fuoco. Il 10 giugno 2025, attivisti provenienti da oltre 50 paesi hanno lanciato la Marcia Globale per Gaza, un’iniziativa civile sostenuta da un’ampia coalizione internazionale per denunciare il blocco israeliano e chiedere l’apertura di un corridoio umanitario verso Gaza attraverso il valico di frontiera di Rafah.
Tuttavia, le autorità egiziane hanno impedito lo svolgimento della marcia, mobilitando fin dall’inizio una campagna mediatica diffamatoria contro gli organizzatori. La repressione si è intensificata con arresti (per strada, in hotel e nei ristoranti), confische di passaporti e distruzione di telefoni cellulari, e ai convogli è stato impedito di lasciare il Cairo. Violenze e detenzioni sono state segnalate anche a Ismailia, dove sono stati arrestati 200 attivisti. Sono state segnalate anche diverse espulsioni e respingimenti all’aeroporto.
Questa repressione riflette la crescente collaborazione tra Egitto, Israele e Stati Uniti, a scapito della solidarietà con la Palestina. Infatti, durante l’era di Gamal Abdel Nasser, l’Egitto rifiutò qualsiasi normalizzazione con Israele e continuò a criticare duramente gli abusi israeliani contro i palestinesi. Ma il suo successore, Anwar Sadat, firmò un trattato di pace con Israele nel 1979, sotto l’egida degli Stati Uniti. Considerato un tradimento dai palestinesi e dai popoli della regione, compresi gli egiziani, questo trattato aprì la strada a una crescente cooperazione militare, di sicurezza ed economica.
Sotto la presidenza di Abdel Fattah al-Sisi, questa normalizzazione si è intensificata a livelli senza precedenti, con la cooperazione in materia di sicurezza, la crescente dipendenza economica dal gas israeliano, il sostegno implicito al blocco di Gaza, il controllo rigoroso del valico di Rafah e lo smantellamento dei tunnel commerciali verso Gaza. Il regime continua a reprimere sistematicamente le manifestazioni filo-palestinesi, e persino gesti simbolici come sventolare una bandiera palestinese possono portare ad accuse di terrorismo.
Qual è lo stato attuale degli scambi commerciali tra Egitto e Israele?
Nel 2022, gli scambi commerciali tra Egitto e Israele sono stati stimati a circa 300 milioni di dollari, rispetto ai circa 330 milioni di dollari secondo un rapporto del 2021. Nel 2023, gli scambi sono aumentati del 56% rispetto al 2022, per un totale stimato di circa 468 milioni di dollari. Nel 2024, la crescita ha accelerato alla fine dell’anno, con un balzo del 168% nel quarto trimestre, ma il totale annuo esatto non è specificato. Il principale prodotto acquistato dall’Egitto da Israele è il gas naturale. Il gas israeliano rappresentava il 15-20% del consumo egiziano all’inizio del 2025 .
Esiste una collaborazione militare tra Egitto e Israele?
Sì, esiste una collaborazione militare segreta ma sostanziale tra Egitto e Israele, nonostante la loro storia conflittuale (guerre del 1948, 1967 e 1973). Dal 2007, Egitto e Israele hanno di fatto organizzato un blocco di Gaza (restrizioni alla circolazione di merci e persone, sorveglianza dei tunnel). Egitto e Israele conducono operazioni congiunte per distruggere i tunnel tra Gaza e l’Egitto (con l’assistenza tecnologica israeliana). L’Egitto ha acquisito sistemi di sorveglianza israeliani (inclusi i radar Elbit) tramite intermediari europei. Secondo il Wall Street Journal del 7 marzo 2024, Israele ha effettuato attacchi segreti contro armi in transito attraverso l’Egitto verso Gaza con il tacito consenso delle autorità egiziane. Gli Stati Uniti concedono 1,3 miliardi di dollari in aiuti militari all’Egitto, subordinatamente alla cooperazione del Cairo con Israele. Gli Stati Uniti stanno garantendo che questa condizione venga soddisfatta.
Quali sono i rapporti tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele?
Nel 2020, sotto l’egida del presidente Donald Trump, gli Accordi di Abramo hanno portato alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti.
Nel 2020, sotto l’egida del presidente Donald Trump, gli “Accordi di Abramo” hanno portato alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti (per maggiori informazioni sugli Emirati Arabi Uniti, vedere il riquadro). Il 29 agosto 2020, poche settimane dopo l’annuncio degli Accordi di Abramo, gli Emirati hanno abrogato la legge federale del 1972 che proibiva le relazioni economiche con Israele. Questa decisione ha legalizzato il commercio e gli investimenti bilaterali, l’importazione e la vendita di prodotti israeliani, la cooperazione scientifica, culturale e tecnologica, ecc. Prima di questa abrogazione, si erano gradualmente instaurate relazioni sempre più strette.
A seguito degli Accordi di Abramo, il 31 maggio 2022 è stato firmato l’Accordo di Partenariato Economico Globale (CEPA), entrato in vigore il 1° aprile 2023, con l’eliminazione o la significativa riduzione dei dazi doganali su circa il 96% delle linee tariffarie e sul 99% del valore degli scambi commerciali. Questo trattato mira ad aumentare il commercio bilaterale a oltre 10 miliardi di dollari entro cinque anni dalla sua conclusione. Il conflitto a Gaza ha ridotto la visibilità degli scambi commerciali nel 2024, ma questi sono rimasti attivi e in crescita. A riprova di ciò, si prevede che il volume degli scambi, che ha raggiunto i 2,5 miliardi di dollari nel 2022, raggiungerà i 5 miliardi di dollari nel 2025.
Secondo Bloomberg, nel 2025 erano circa 600 le aziende israeliane che operavano negli Emirati Arabi Uniti e, secondo un rapporto della Camera di Commercio di Dubai (2023), più di 200 aziende emiratine hanno stabilito partnership o aperto attività in Israele dalla normalizzazione delle relazioni.
Esiste un commercio di armi tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti?
Sì, c’è stato un commercio di armi molto concreto tra Israele ed Emirati Arabi Uniti dalla normalizzazione del 2020. Riguarda principalmente sistemi antiaerei (SPYDER, Barak 8, Iron Dome), droni e tecnologie elettroniche e si basa anche sulla cooperazione industriale. Sebbene i contratti specifici rimangano segretati, il commercio ha subito un’accelerazione dal 2022, con una maggiore visibilità pubblica dal 2024-2025 attraverso fiere delle armi come l’IDEX, che si tiene ogni due anni. Alla fiera IDEX, tenutasi nel febbraio 2025, erano presenti 34 aziende israeliane del settore. L’azienda emiratina EDGE, specializzata in armamenti, collabora attivamente con aziende israeliane del settore, come Elbit, Rafael, IAI, RT e Thirdeye.
Esiste una collaborazione diretta tra le forze armate degli Emirati e l’esercito israeliano?
In effetti, le forze armate degli Emirati Arabi Uniti e l’esercito israeliano collaborano militarmente, nonostante nessuna delle due parti lo riconosca ufficialmente. L’ostilità di entrambi i paesi nei confronti dell’Iran e della sua influenza nella regione spiega in parte questa collaborazione. Lo stesso vale per i loro interessi comuni contro gli Houthi in Yemen.
Dall’inizio della guerra in Yemen nel 2015, gli Emirati Arabi Uniti hanno aumentato la loro presenza militare nella regione, in particolare sull’isola principale di Socotra, che ufficialmente fa parte dello Yemen. Gli Emirati Arabi Uniti hanno occupato l’isola, vi hanno allestito una base militare e collaborano con l’esercito israeliano sul campo. L’arcipelago di Socotra, situato al largo delle coste dello Yemen nell’Oceano Indiano, controlla rotte commerciali cruciali tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden. Circa 20.000 navi da trasporto transitano ogni anno nei pressi dell’arcipelago di Socotra, il 9% delle quali è coinvolto nell’approvvigionamento petrolifero globale.
Gli Emirati Arabi Uniti stanno inoltre collaborando con Israele, India e diversi paesi dell’UE (Italia, Germania, Francia, Grecia) a un progetto per la costruzione di una rotta terrestre che colleghi il Golfo di Dubai al porto di Haifa attraverso la Penisola arabica, passando per Riyadh in Arabia Saudita, al fine di evitare il passaggio attraverso il Canale di Suez per gli scambi commerciali tra Asia ed Europa. In un certo senso, questo è anche un mezzo per sviluppare un’alternativa alle nuove Vie della Seta sviluppate dalla Cina.
In cosa consiste la collaborazione militare degli Emirati Arabi Uniti con gli Stati Uniti?
È importante notare che gli Emirati Arabi Uniti sono l’unico paese membro dei BRICS ad avere una base militare statunitense permanente sul proprio territorio, il che è ovviamente legato alla sua politica di collaborazione con Israele. La presenza militare statunitense negli Emirati Arabi Uniti (EAU) è significativa, strategica e di lunga data, e fa parte di una cooperazione bilaterale in materia di difesa che si è rafforzata dopo la Guerra del Golfo del 1991. Vicino alla capitale degli Emirati Arabi Uniti, gli Stati Uniti hanno una base militare che ospita aerei da combattimento (F-22, occasionalmente F-35), velivoli da sorveglianza (AWACS, JSTARS), droni armati (MQ-9 Reaper), aerei da rifornimento, ecc. Questa base è un polo logistico chiave per le operazioni statunitensi nel Golfo Persico, in Iraq e in Siria, per il comando CENTCOM (Medio Oriente/Asia Centrale) e per la sorveglianza dell’Iran. Vi sono circa 2.000-3.000 militari statunitensi di stanza lì, in modo permanente o a rotazione.
Gli Stati Uniti hanno dispiegato sistemi di difesa missilistica, come i Patriot PAC-3, negli Emirati Arabi Uniti. Gli Emirati Arabi Uniti collaborano con la Quinta Flotta statunitense, con sede in Bahrein. Gli Emirati Arabi Uniti partecipano a esercitazioni navali congiunte e iniziative come la Cooperazione Internazionale per la Sicurezza Marittima nello Stretto di Hormuz. Gli Emirati Arabi Uniti garantiscono l’accesso ai porti emiratini alla flotta statunitense e ai suoi alleati.
Come si comporta l’Etiopia nei confronti di Israele? Esiste una cooperazione militare tra Israele ed Etiopia?
Nonostante il genocidio in corso a Gaza, la cooperazione militare tra Israele e l’Etiopia, membro a pieno titolo dei BRICS, continua. Secondo diverse fonti, Israele resta uno dei principali fornitori militari dell’Etiopia, in particolare attraverso la vendita di sistemi di difesa aerea, come lo Spyder-MR, progettato per proteggere la diga Grand Ethiopian Renaissancedagli attacchi aerei .
La cooperazione militare è continuata nonostante i cambi di regime ad Addis Abeba. Risale agli anni ’60-’90: Israele ha addestrato unità di paracadutisti e forze di controinsurrezione per l’esercito etiope (Divisione Nebelbal), ha fornito 150.000 fucili e bombe a grappolo e ha inviato consiglieri militari per addestrare la Guardia Presidenziale. Da novembre 2020, è in vigore anche un accordo di cooperazione tra il Mossad e il servizio di sicurezza etiope (NISS), che riguarda lo scambio di competenze e la controinsurrezione. A causa del genocidio in corso a Gaza, la partnership militare tra Etiopia e Israele è relativamente modesta, ma contribuisce in modo significativo alla strategia di sicurezza dell’Etiopia e all’influenza israeliana nell’Africa orientale. Ciò include la condivisione di intelligence, il coordinamento strategico e il rafforzamento delle capacità in Etiopia.
Gli scambi commerciali tra Israele ed Etiopia sono bassi, intorno ai 100 milioni di dollari all’anno. Tuttavia, le aziende israeliane sono sempre più interessate a investire nell’agricoltura etiope.
Va notato che Israele in questa regione intrattiene ottimi rapporti con il regime di Museveni in Uganda (rappresentato al vertice BRICS di Rio dal vicepresidente).
Quali sono i rapporti tra l’Indonesia e Israele?
L’Indonesia, il paese musulmano più popoloso al mondo e membro a pieno titolo dei BRICS, non intrattiene relazioni diplomatiche ufficiali con Israele, ma la realtà è ben diversa. Nel maggio 2024, un’indagine congiunta del quotidiano israeliano Haaretz, Amnesty International e Tempo ha rivelato che l’Indonesia aveva importato tecnologie di spionaggio e sorveglianza da Israele. L’indagine rivela che tra il 2017 e il 2023, l’Indonesia ha importato e implementato un’ampia gamma di spyware altamente intrusivi e altre sofisticate tecnologie di sorveglianza. Diverse aziende israeliane sono state identificate come fornitori indiretti: NSO Group (tramite Q Cyber Technologies SARL, Lussemburgo), che ha prodotto lo spyware Pegasus; Intellexa Consortium, noto per il suo software Predator; Candiru/Saito Tech; e Wintego Systems Ltd. Lo spyware acquisito dall’Indonesia, come Pegasus, Predator, ecc., è progettato per essere ultra-furtivo, infettare senza interazione esplicita e consentire la gestione di immagini, messaggi, chiamate, posizione, ecc. Tra coloro che hanno acquisito queste tecnologie figurano la Polizia Nazionale Indonesiana (Polri), l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Informatica e la Crittografia (BSSN) e, secondo alcuni resoconti dei media, il ministero della Difesa. Amnesty Internationalha avvertito che questi dispositivi rappresentano un grave rischio per i diritti civili, tra cui la libertà di espressione e la privacy.
A metà luglio 2025, l’Indonesia si è unita ufficialmente al “Gruppo dell’Aja” in occasione del vertice di emergenza tenutosi a Bogotà il 15 e 16 luglio 2025. È ora uno dei 13 paesi che si sono impegnati ad adottare misure concrete e coordinate per far rispettare il diritto internazionale in risposta al genocidio in corso a Gaza.
A parte questo, gli scambi commerciali tra Israele e Indonesia sono bassi, inferiori ai 200 milioni di dollari all’anno.
Tabella riassuntiva
Note
- Nessun uso ufficiale
- Relazioni storicamente sospese
- Il Brasile ha annunciato l’intenzione di associarsi alla denuncia nel luglio 2025
- Il Sudafrica ha presentato la denuncia nel dicembre 2023
Conclusione di questo primo articolo
Gaza e BRICS: rifiuto di condannare il genocidio e imporre sanzioni
Un’analisi dettagliata delle posizioni e delle pratiche dei paesi membri dei BRICS in risposta al genocidio in corso a Gaza rivela una flagrante contraddizione tra la loro retorica ufficiale – spesso incentrata sul diritto internazionale, sul multilateralismo e sulla sovranità dei popoli – e le loro azioni concrete, come nel caso dell’invasione russa dell’Ucraina o delle azioni degli Emirati Arabi Uniti. Come BRICS+, i dieci stati membri si rifiutano di designare come tale il crimine di genocidio perpetrato a Gaza, nonostante sia ampiamente documentato e denunciato da organismi internazionali e da Francesca Albanese, relatrice Speciale delle Nazioni Unite.
In effetti, i BRICS non hanno adottato misure congiunte incisive: nessuna sanzione, nessuna rottura delle relazioni diplomatiche o economiche, nessun embargo, nemmeno una sospensione simbolica della cooperazione con Israele. Al contrario, per la maggior parte di loro, le relazioni commerciali – in particolare nei settori strategici dell’energia, delle tecnologie di sorveglianza, delle infrastrutture e degli armamenti – sono proseguite e si sono persino intensificate nel 2024 e nel 2025. Il Sudafrica rappresenta certamente un’eccezione con il suo ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, ma questa azione molto positiva è compromessa dalla continuazione delle esportazioni di carbone verso Israele e da altre relazioni commerciali.
Questo doppio linguaggio diplomatico mette in luce una verità fondamentale: nonostante la loro retorica su un “ordine mondiale più giusto”, i paesi BRICS difendono principalmente i propri interessi geopolitici, economici e di sicurezza, spesso a scapito dei principi di giustizia internazionale. Questa realtà infrange le speranze di alcuni settori progressisti nella possibilità di un polo “alternativo” incarnato da questo blocco. Per coloro che a sinistra nutrono illusioni sulla volontà dei BRICS di prendere iniziative chiare a favore dei popoli, l’ultimo vertice e il loro atteggiamento come blocco nei confronti del genocidio a Gaza e delle loro relazioni con Israele dovrebbero aiutare ad aprire gli occhi.
Nella prossima puntata di questa serie di articoli, vedremo che i leader dei BRICS sostengono il modo di produzione capitalista che ci ha portato all’attuale disastro. I paesi BRICS sono favorevoli al mantenimento – e all’aumento dei contributi finanziari – dell’architettura finanziaria internazionale (con il FMI e la Banca Mondiale al centro) e dell’architettura commerciale internazionale (OMC, accordi di libero scambio, ecc.) così come esistono attualmente. I BRICS sostengono il cosiddetto “capitalismo verde” e si dedicano al greenwashing, ad esempio promuovendo i mercati del carbonio invece di ridurre le emissioni di gas serra, riduzione già insufficiente e in ritardo. Alcuni di loro, come la Russia, ricorrono all’aggressione militare contro altri popoli, come nel caso dell’Ucraina. Allo stesso modo, e più spesso di altri, gli Stati Uniti (e le potenze europee) lo hanno fatto ripetutamente in tutto il mondo.
L’autore desidera ringraziare Gilbert Achcar, Omar Aziki, Patrick Bond, Joseph Daher, Sushovan Dhar, Fernanda Gadea, Gabriella Lima, Jawad Moustakbal, Maxime Perriot e Claude Quemar per la loro revisione e i loro consigli. L’autore è l’unico responsabile delle opinioni espresse in questo testo e di eventuali errori in esso contenuti.
Scopri di più da Brescia Anticapitalista
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.