(Brescia: la destra che controlla il Consiglio provinciale ha approvato oggi, lunedì 4 agosto 2025 e in seduta straordinaria, la mozione che impegna il Broletto “a intitolare un immobile o uno spazio pubblico alla memoria” del neofascista Sergio Ramelli. Il 30 luglio la stessa mozione, voluta strenuamente da Fratelli d’Italia, Fdi, non era passata per la mancanza del numero legale causata dall’uscita dall’aula di tutto il centrosinistra e di un paio di consiglieri di destra non meloniani, il sindaco di Concesio e la sindaca di Ospitaletto che non condividevano la proposta.
FdI ha però imposto al resto della maggioranza una seduta straordinaria proprio per rimettere ai voti il documento, revisionista, ottenendone oggi l’approvazione; per farlo Fratelli d’Italia ha commesso anche delle scorrettezze procedurali tra le quali, in ultimo, la decisione di fissare il consiglio senza convocare, come da prassi, la conferenza dei capigruppo; segno evidente della prova di forza identitaria del partito della presidente del consiglio Meloni.
Alla fine, su 17 consiglieri, in aula erano in 9; a favore in 8. Fuori l’opposizione, assente pure Laura Trecani di Lombardia Ideale, civica di centrodestra, mentre il leghista Agostino Damiolini della Lega – assente il 30 luglio – stavolta si è astenuto, restando però in aula e consentendo così di avere il numero legale.) da Radio Onda D’Urto
I fascisti, bisogno riconoscerlo, sono cocciuti e determinati. E, diversamente da molti, troppi compagni, hanno una buona memoria. Selettiva, certo, ma buona. È da mezzo secolo che rompono le scatole con la storia di Ramelli, il giovane militante neofascista milanese morto, alle fine d’aprile del 1975, in seguito alle botte ricevute durante un’aggressione effettuata da alcuni militanti di Avanguardia Operaia un mese e mezzo prima. Un tempo, quando il MSI-DN era relativamente emarginato, lo ricordavano con i saluti romani, i “camerata Ramelli, presente!”, le canzonacce del ventennio, ecc. ecc. senza che i media facessero eco alle lugubri cerimonie. Poi, dal 1994, quando la maggioranza di loro, guidata da Fini, saltò sul carro del cialtrone imbonitore per eccellenza, fondando Alleanza Nazionale e avendo accesso al governo, con iniziative, all’inizio in tono minore (troppo fresco il ricordo del periodo di emarginazione), poi sempre più rumorose, più “istituzionali”. Senza per questo rinunciare alle adunate col braccio teso, ma preferendo stavolta giacca e cravatta alla camicia nera. A partire dal 2001, ringalluzziti dai successi governativi, elettorali (tra il 12 e il 15% dei voti, senza contare le schegge dementi dell’ultradestra) e mediatici, hanno cominciato ad inondare d’immondezza pseudostorica mass-media, parlamento, consigli regionali, provinciali e comunali. Dalle foibe al “comunismo-che-ha-fatto-più-vittime-del-nazismo”, dal “duce che ha fatto anche cose buone” alla continua manfrina degli “italiani-brava-gente”, ecc. ecc. Uno dei loro chiodi fissi (che un po’ è anche il mio) è l’odonomastica. Non gli basta di avere ancora mezza Italia con strade, piazze, monumenti dedicati a gentaglia simile a loro (come Cadorna o Umberto I) e, in misura minore, a veri e propri assassini fascisti (vedi i “gloriosi” aviatori che bombardavano donne e bambini etiopi o spagnoli), ma pretendono sempre più (visto che ora sono LORO a governare) di inondare anche l’altra metà, quella “sana”, o comunque meno squallida della “loro” patria, con i nomi dei “camerati caduti”. Per ora non osano ancora intitolare una piazza a Benito Mussolini, il “caduto eccellente”. Ma hanno già intitolato qua e là a Giorgio Almirante, il fucilatore e fondatore del neofascismo post 1946. E che c’è di meglio di un diciottenne neofascista che, a quanto pare, al di là di manifestare in piazza la sua delirante adesione agli “ideali” razzisti, antiproletari e antidemocratici (vedi la manifestazione a Milano del 1973 in cui fu ucciso l’agente Marino) e di organizzare il Fronte della Gioventù (l’ala giovanile dei miserabili missini), non si era ancora sporcato le mani di sangue (rosso)? Certo, un anno prima un suo coetaneo e correligionario aveva messo una bomba in Piazza Loggia, dimostrando che si può cominciare da giovanissimi la carriera di assassino. Non sapremo mai cosa pensasse Ramelli degli assassinati in Piazza Fontana, in Piazza Loggia, sul treno Italicus. Non sapremo se approvasse il concetto di “non temere di spargere il sangue” pur di fermare il comunismo o se, per la tipica ignoranza preconcetta di chi, oltre al paraocchi, ha grossi problemi psicologici, credesse che a mettere quelle bombe fossero stati “altri”, non i neofascisti (coi servizi segreti, NATO, ecc.). Resta il fatto che era un convinto militante neofascista. Il che, ovviamente, non ne giustifica la morte, ancorché “preterintenzionale”. Ma non era un semplice diciottenne con delle idee “diverse da quelle dei comunisti”, tranquillo, pacifico, tollerante. Un militante fascista, nella Milano del 1975, quella che aveva visto Piazza Fontana, l’assassinio di Saltarelli e Franceschi, le aggressioni notturne contro i compagni quasi quotidiane sotto casa, sapeva perfettamente cosa stava succedendo. Pochi giorni prima della morte di Ramelli un neofascista, Braggion, uccideva un diciassettenne del Movimento Studentesco, Claudio Varalli. E il giorno dopo i carabinieri uccidevano un altro militante dell’estrema sinistra, Giannino Zibecchi. Quando muore Ramelli, erano appena stati sepolti. Il clima da “guerra civile strisciante” a Milano era quello. E gli attuali estimatori di Ramelli, se non sono completamente idioti (cosa che non escludo a priori) dovrebbero saperlo perfettamente. Il che giustifica il suo omicidio (preterintenzionale, ripeto)? Ovviamente no, come ho già detto e scritto più volte. Ma neppure quella riscrittura ad usum delphini, tipica di questi adepti del negazionismo/revisionismo storico, del Ramelli come povero ragazzo innocente e pacifico. Facciamo così, cari (nel senso di inutilmente costosi) consiglieri provinciali di destra. Dedicate pure uno spazio a Ramelli. Ma intorno mettiamoci le vie dedicate a Saverio Saltarelli, Roberto Franceschi, Antonio Marino, Claudio Varalli, Giannino Zibecchi e gli altri assassinati dai neofascisti (spesso in divisa) prima che Milano diventasse una città “da bere”.
Flavio Guidi
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Ramelli era comunque un picchiatore fascista che partecipava alle aggressioni conto giovani di sinistra. Il suo omicidio fu un errore di un gruppo di studenti di Avanguardia Operaia, che avevano come obiettivo reagire alle aggressioni e omicidi che i fascisti stavano compiendo quotidianamente, cui partecipava anche Ramelli. Peraltro Avanguardia Operaia, fece autocritica per quell’errore, quell’omicidio non voluto. Alcuni suoi dirigenti e i ragazzi responsabili pagarono con anni di prigione. Non sembra che i neofascisti per le migliaia di aggressioni e le decine di omicidi abbiano mai detto una parola di autocritica.
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