di Gianni Sartori
Risale a circa un mese fa che – dopo una serie di notizie altalenanti – la conferma che la giornalista turca, di origine curda, Zehra Kurtay (53 anni, in Francia come rifugiata dal 2007) era stata raggiunta da un OQFT (obligation de quitter le territoire français) con l’obbligo di “togliere il disturbo” entro 30 giorni. Per la militante della sinistra radicale (socialista, antifascista e antimperialista) questo comportava il rischio concreto di venir espulsa verso la Turchia, subire l’arresto, il carcere a vita, la tortura (senza escludere la possibilità di diventare l’ennesima desaparecida).
Niente di nuovo naturalmente. Negli ultimi anni sono stati numerosi i rifugiati politici (in genere curdi, spesso in Francia da diversi anni) che si son visti escludere dal diritto d’asilo.
In una intervista di qualche tempo fa, spiegando la sua situazione, Zehra Kurtay aveva raccontato di quanto le mancasse il suo paese natale dove “avrei voluto poter vivere”: Recentemente era deceduta sua madre che “non vedevo da 18 anni e che è morta senza che potessi partecipare ai suoi funerali”.
Per il suo impegno politico e giornalistico (con il giornale turco denominato, in francese, Le Combat) in Turchia (che definisce un “paese con una storia di massacri”, in riferimento sia a quello storico contro gli Armeni che a quello degli ultimi decenni contro i Curdi) era stata incarcerata varie volte. La prima nel 1994.
Dopo la sua prima detenzione aveva fondato “La voce di Gazi” (giornale diffuso nel quartiere popolare di Gazi a Istanbul) diventando in seguito redattrice di Kurtulus. Picchiata durante una perquisizione del giornale, in seguito viene nuovamente rinchiusa nel carcere di Ümraniye. Dove, nel 2000, prenderà parte allo sciopero della fame di circa 200 detenuti di estrema sinistra in questa e di altre prigioni. Contro la riforma carceraria e l’introduzione delle prigioni di “tipo F”.
Era ormai giunta al sessantesimo giorno di digiuno, quando i militari e e polizia intervengono in forze per prelevare le detenute e rinchiuderle nelle nuove celle (in pratica di isolamento) appena costruite.
Coloro che cercano di opporsi, di resistere, vengono letteralmente massacrati. Cinque vittime nel suo carcere, una trentina in totale.
Zehra Kurtay è tra quelli che nonostante tutto proseguono nella protesta. Al 181° giorno di digiuno subisce l’alimentazione forzata (per Amnesty International una forma di tortura, condannata dal diritto internazionale).
Si calcola che tra il 2000 e il 2007 almeno 600 prigionieri (tra cui anche Zehra Kurtay) abbiano subito gravi conseguenze per la loro salute (soprattutto danni neurologici con conseguente disabilità) a seguito dell’alimentazione forzata.
Rimessa provvisoriamente in libertà, nonostante gli evidenti handicap (si muove son difficoltà, deve essere sempre accompagnata…) quattro anni dopo il governo decide che deve tornare in prigione.
Ma prima che ciò avvenga i suoi familiari riesconoa farla espatriare con un passaporto falso. Arrivata in Francia nel 2007 ottiene lo status di rifugiata. Cinque mesi dopo viene arrestata per la frequentazione di una associazione culturale ritenuta vicina a gruppi rivoluzionari turchi (in particolare il THKP-C).
Sottoposta a inchiesta penale dal 2008 al 2012, viene infine condannata a cinque anni nel carcere di Fleury-Mérogis.
Quando, a dieci anni dal suo arrivo in Francia, le viene tolto lo status di rifugiata, reagisce protamente.
Con sit-in e raccolta-firme quasi quotidiani per tutto il 2019 davanti all’Ofpra (Office français de protection des réfugiés et apatrides) nel quartiere di Strasbourg-Saint-Denis a Parigi.
Dal 3 luglio di quest’anno Zehra Kurtay è nuovamente in sciopero della fame per protestare sia contro l’estradizione in Turchia che contro l’imperialismo francese.
Nella sua “tenda della resistenza”, posizionata alla Porte de Saint-Denis (boulevard Saint-Denis, 75010 Paris dove ha esposto lo striscione “S’il y a injustice et oppression, il y aura résistance) ha ricevuto la solidarietà di una ventina di delegazioni e di singoli militanti di sinistra. Ma ha dovuto subire anche intimidazioni da parte della polizia e il 30 luglio è stata insultata e minacciata da alcuni esponenti dell’estrema destra.
Gianni Sartori
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