di Felice Mometti
Dopo l’entusiasmo si sta facendo strada la preoccupazione. Zohran Mamdani, che ha vinto le primarie democratiche per il Sindaco di New York lo scorso 24 giugno, ce la farà a non farsi fagocitare dalla macchina finanziaria-elettorale chiamata partito Democratico? Un altro caso alla Alexandria Ocasio-Cortez, passata dall’essere un icona della sinistra al ritagliarsi uno spazio di mediazione politico-istituzionale nell’élite del partito Democratico sarebbe troppo da sopportare. Soprattutto per le migliaia di volontari che hanno sostenuto la campagna di Mamdani. Il Comune di New York è innanzitutto una società finanziaria che gestisce un bilancio di 116 miliardi di dollari e un debito di 112 miliardi. E’un’agenzia immobiliare con un patrimonio edilizio di svariate decine di miliardi di dollari, un apparato di controllo e repressione di 36 mila poliziotti in servizio – che si occupano dal traffico, all’intelligence al cosiddetto ordine pubblico – che fanno largo uso dell’intelligenza artificiale e di software predittivi. Il Comune di New York è un’azienda con 300 mila dipendenti e, infine, un’istituzione rappresentativa dei cittadini. Questo è anche l’ordine delle priorità che si ricava guardando la governance dell’intera area metropolitana. New York è la città più sindacalizzata degli Stati Uniti ma è anche la città in cui legame tra il partito Democratico e i maggiori sindacati non si limita alla concertazione: si può parlare una di vera e propria commistione. E’ la città con il costo della vita di gran lunga più alto degli Stati Uniti con il 25% della popolazione che vive in stato di povertà, più di 2 milioni di persone. Questo il quadro in cui alla fine dell’anno scorso è iniziata la campagna di Mamdani per diventare sindaco. Di origine indiana, nato in Uganda, figlio di un docente universitario e di una regista, musulmano sciita, naturalizzato americano nel 2018. Eletto deputato dello Stato di New York nel 2020 nelle file del partito Democratico e iscritto ai Democratic Socialists of America (DSA).
La crisi dei DSA e la candidatura di Mamdani
La fallimentare strategia dei DSA della “rottura sporca” mediante la “lotta di classe nelle istituzioni” che consisteva nel accumulare forze nel partito Democratico attraverso l’elezione di propri candidati nelle istituzioni a qualsiasi livello – dal consiglio scolastico di quartiere al Senato – per poi rompere con i democratici su posizioni di sinistra, ha avuto come esito la perdita del 30% degli iscritti e della metà degli attivisti. Nonché lo scioglimento della Squad, il piccolo gruppo di deputati dei DSA alla Camera dei Rappresentanti, imploso dopo le divisioni sul voto alle principali leggi economiche dell’amministrazione Biden, sulla solidarietà allo sciopero dei ferrovieri, sul sostegno al movimento degli studenti universitari contro l’occupazione israeliana della Palestina e il genocidio in corso a Gaza. Mamdani è stato, ed è nonostante tutto, un convinto sostenitore di questa strategia. Anzi, per uscire dalla crisi, ritiene che sia necessario un approfondimento della stessa facendo leva sui volontari che si sono impegnati nella sua campagna, stabilendo l’equazione che il sostegno elettorale corrisponda a una lotta sociale se non di classe. Più o meno in linea con le teorie di Bernie Sanders già smentite nel 2016, dopo la sua campagna nelle primarie democratiche contro Hillary Clinton, dove non ha saputo o voluto porsi il problema dell’organizzazione politica dei più di 150 mila volontari che lo hanno sostenuto. Una parte dei quali poi sono entrati nei DSA, allora piccola organizzazione avulsa dalle lotte sociali. I volontari della campagna di Mamdani, che secondo i dati forniti dal suo staff hanno raggiunto la cifra di 40 mila, fino ad ora hanno svolto un ruolo di mero supporto alla sua candidatura. Non rappresentano (ancora?) un processo di politicizzazione sociale.
Chi ha votato per Mamdani ?
La carta vincente della campagna di Mamdani è stata l’aver messo al centro il nesso tra diritti sociali, civili e politici. Casa, cibo, trasporti, servizi di prima necessità non possono e non devono essere separati dalla libertà di parola e religiosa, dall’antirazzismo, dai diritti delle persone Lgbtq+, dalla tassazione dei grandi patrimoni, dalla lotta alle disuguaglianze. Un blocco di proposte veicolato da una comunicazione a due livelli: da una parte facendo un massiccio uso dei social media, soprattutto TikTok, Instagram e gli shorts su YouTube, e dall’altra con il più tradizionale porta a porta. Niente comizi o manifestazioni ma molti brevi video che raccontavano piccole grandi storie, a volte in modo empatico altre in modo ironico, sulle difficoltà e i drammi del vivere a New York, che non è solo Manhattan ma molto di più e di diverso. Puntando sull’efficacia, l’input emotivo, la viralità della comunicazione elettorale più che sulla partecipazione a un percorso anche politico. Facendo un raffronto tra le primarie del 2021 e quelle dello scorso giugno la partecipazione dei giovani, soprattutto bianchi e asiatici, tra i 18 e i 30 anni è notevolmente aumentata diventando il gruppo che ha deciso la vittoria di Mamdani. Un gruppo non certo omogeneo per reddito, professione, stile di vita ma che ha costituito il fulcro di una coalizione elettorale – che comprendeva anche settori della società newyorkese con un reddito mediano – insofferente a Trump e all’élite del partito Democratico, che fatica a vivere come prima in una città ormai eccessivamente costosa. Da non sottovalutare anche l’apporto ricevuto dall’alleanza con Brad Lander – anch’egli candidato e punto di riferimento dell’ebraismo di sinistra – nel round finale delle primarie. Mamdani è stato sconfitto da Andrew Cuomo nel Bronx e in una serie di quartieri afroamericani di Brooklyn. Ex governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, costretto a dimettersi nel 2021 in quanto molestatore seriale delle sue collaboratrici, è l’esponente di punta del settore finanziario-immobiliare newyorchese, candidato ufficiale del partito Democratico. Cuomo ha indirizzato la sua campagna più contro Mamdani, additato come pericoloso e incapace a risolvere i problemi degli strati più poveri di New York, che per una proposta di governo della città. In questo finanziato abbondantemente da Wall Street e sostenuto dai principali sindacati.
L’accerchiamento è già iniziato.
Ora, in vista delle elezioni di novembre, si gioca una partita a tre: Mamdani, Cuomo e Adams che si presenteranno come indipendenti. Il candidato ufficiale dei repubblicani, Curtis Sliwa, ha probabilità quasi nulle. Eric Adams, attuale sindaco, ex capitano di polizia eletto come democratico, con un passato da repubblicano e un futuro da trumpiano, travolto da scandali di vario tipo durante il suo mandato, è appoggiato dai sindacati di polizia e ha impostato la sua campagna sul binomio legge e ordine. A un mese dalle primarie la pressione su Mamdani da parte del partito Democratico, delle lobbies finanziarie e immobiliari, dei grandi media – su tutti il New York Times – è notevolmente aumentata. E Mamdani mostra evidenti segni di difficoltà. Ha confermato l’attuale capo della polizia, l’ereditiera miliardaria Jessica Tisch, sostenitrice dell’immunità totale degli agenti di polizia. E’ diventato vago sulla tassazione dei grandi patrimoni immobiliari e finanziari. Si è arrampicato sugli specchi alla richiesta di confermare la sua opinione di globalizzare l’intifada. Sta privilegiando gli incontri con l’establishment democratico, alla ricerca di consenso, piuttosto che dare una prospettiva politica alle migliaia di volontari che hanno fatto la sua campagna. Diverso l’approccio nei suoi confronti dei grandi sindacati. Tutti schierati con Cuomo e particolar modo contro Mamdani durante le primarie, hanno cambiato casacca alla velocità della luce ottenendo, per il sostegno, che dei loro funzionari siano integrati nello staff che gestisce la campagna elettorale di Mamdani. Nello scenario che si sta profilando ciò che stupisce, almeno dovrebbe, è la posizione del DSA. Secondo il comunicato del loro Comitato Politico Nazionale la vittoria alle primarie di Mamdani è frutto del movimento socialista della classe operaia guidato dai DSA di New York e per vincere anche le elezioni bisogna tesserarsi e diventare attivisti dei DSA. Dopo questo verrebbe da dire: sipario. Ma per fortuna i processi politici e sociali in atto a New York, e non solo, non sono incasellati in dogmatismi inutili e fuori dal tempo. Le giornate nazionali contro Trump, da febbraio ad oggi, hanno visto a New York le manifestazioni più partecipate insieme a quelle della costa ovest. La campagna verso le elezioni può assumere una dinamica di trasformazione sociale se la mobilitazione elettorale diventa politica. Se le varie migliaia di volontari diventano la base di un movimento sociale dotato di autonomia politica e organizzativa all’altezza della composizione di classe che la città esprime. Per stare con Mamdani si deve andare oltre Mamdani sindaco a prescindere del risultato elettorale.
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