Nella foto Ernest Mandel and Ernesto Che Guevara a Cuba nella primavera del 1964
Trent’anni fa, esattamente il 20 luglio 1995, moriva Ernest Mandel. Aveva 72 anni. Fu un rivoluzionario che lasciò il segno in diversi campi: attivismo politico, analisi economica e teoria politica. Se è difficile lasciare un segno in uno qualsiasi di questi campi, è ancora più difficile lasciare un segno in tutti. Ed Ernest Mandel, leader della Quarta Internazionale, fece proprio questo. Mandel è stato senza dubbio uno dei trotskisti più eminenti della seconda metà del XX secolo, se non il più eminente. A trent’anni dalla sua morte, lo ricordiamo riproducendo un articolo di Gustavo Buster, coeditore della rivista Sin Permisto. Segnaliamo inoltre che nella sezione “Pagine di marxismo” troverete tra i “quaderni scaricabili” tre testi di Ernest Mandel.
di Gustavo Buster, da Sin Permiso
Ernest Mandel (1923-1995), marxista rivoluzionario, storico, economista e, soprattutto, leader della Quarta Internazionale, è stato uno di quegli uomini che hanno lasciato il segno perché, in un periodo di grande incertezza, ha ritenuto suo dovere proporre risposte, anche se solo come “ipotesi di lavoro rivoluzionaria”. La sua influenza in Spagna, sulla generazione di militanti e giovani intellettuali del tardo franchismo, è stata considerevole, soprattutto tra coloro che oggi compongono il comitato editoriale di Sin Permiso.
Nel trentesimo anniversario della sua morte, stiamo vivendo circostanze storiche molto diverse da quelle delle precedenti commemorazioni e dal contesto rivelato dai necrologi immediatamente successivi alla sua scomparsa. Disponiamo inoltre dell’eccellente biografia di Jan Willem Stutje, che consente una comprensione completa della vita, dell’attivismo e dell’opera intellettuale di Mandel, con tutte le loro complessità e contraddizioni, così come di quelli di altri leader contemporanei delle varie correnti della Quarta Internazionale.
Nel 1995, il consolidamento egemonico del neoliberismo, il crollo del cosiddetto “blocco socialista” e la prima guerra in Iraq segnarono una di quelle svolte storiche, cambiamenti fondamentali nell’equilibrio di forze nella lotta di classe, a cui Mandel fece riferimento nella sua teoria delle onde lunghe che, a partire dal 1991, chiuse ogni orizzonte immediato nella lotta per il socialismo. Mandel, nel suo “Situation et avenir du socialism” del 1990, la riassunse così:
“La crisi del socialismo è soprattutto la crisi della credibilità del progetto socialista. Cinque generazioni di socialisti e tre generazioni di lavoratori hanno vissuto con la certezza che il socialismo fosse non solo possibile, ma necessario. La generazione attuale non ne è convinta.”
In un discorso al Terzo Forum di San Paolo del 1992, guidato dal principio gramsciano del “pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”, Mandel ribadì questo tema:
Questa crisi di credibilità del socialismo spiega la principale contraddizione della situazione mondiale: le masse continuano a lottare in molti paesi su una scala più ampia che mai. L’imperialismo, la borghesia internazionale, non sono in grado di schiacciare il movimento operaio come fecero negli anni ’30 e all’inizio degli anni ’40 in Europa, Giappone, nelle grandi città e in molti altri paesi. Ma le masse lavoratrici non sono ancora disposte a lottare per una soluzione globale anticapitalista e socialista, ed è per questo che siamo entrati in un lungo periodo di crisi globale, di disordine globale in cui nessuna delle due principali classi sociali è vicina a conseguire la sua vittoria storica. Il compito principale dei socialisti-comunisti è ripristinare la credibilità del socialismo nella coscienza e nella sensibilità di milioni di uomini e donne. Ciò sarà impossibile se non avrà come punto di partenza le principali preoccupazioni di queste masse. Qualsiasi modello alternativo di politica economica deve includere queste proposte, che devono essere quelle che aiutano le masse nel modo più concreto ed efficace a lottare con successo per i loro diritti. Possiamo formularli in modo quasi biblico: eliminare la fame, vestire gli ignudi, fornire a tutti un alloggio dignitoso, salvare la vita di coloro che muoiono per mancanza di possibili cure mediche, generalizzare il libero accesso alla cultura attraverso l’eliminazione dell’analfabetismo, universalizzare le libertà democratiche, i diritti umani, eliminare la violenza repressiva in tutte le sue forme.
Nel 2005, dopo la seconda guerra in Iraq, la contraddittoria ma certa restaurazione del capitalismo in Cina, la ripresa dalla recessione seguita allo scoppio della bolla tecnologica del 2001-2003, e con un movimento di alter-globalizzazione che sembrava aver esaurito gran parte del suo slancio iniziale, le prospettive apparivano ancora più cupe per la speranza socialista, nonostante i nuovi processi di rifondazione democratico-repubblicana “bolivariana” in America Latina. Tutto sembrava indicare che stessimo attraversando una nuova fase di recupero del saggio di profitto, che annunciava una nuova ondata di crescita dell’economia capitalista e caratterizzava il clima intellettuale del decimo anniversario della morte di Mandel. Il titolo di uno dei principali contributi, scritto da Miguel Romero, la persona più vicina a Mandel in Spagna, non avrebbe potuto essere più significativo: “Ernest Mandel: la misión del enlace” (Ernest Mandel: il compito di creare un collegamento). (questo testo non esiste ancora in italiano, qui il testo in spagnolo)
La situazione era cambiata di nuovo nel 2015, in vista del ventesimo anniversario della sua morte, soprattutto dopo la Grande Recessione del 2007-2009, la più grande dell’economia capitalista globale, e dopo aver assistito al fallimento dell’intervento imperialista in Afghanistan e Iraq. Nonostante tutte le difficoltà e la debolezza organizzativa e di coscienza del movimento operaio ereditata dal periodo precedente, come conseguenza dell’imposizione delle politiche neoliberiste degli anni Ottanta e Novanta – un fattore essenziale che Mandel una volta chiamò ironicamente “il coefficiente di Mandel” – la prospettiva era cambiata. Il fallimento della gestione neoliberista e monetarista della Grande Recessione ha fatto sì che la crisi del Covid e la successiva inflazione abbiano consentito una significativa svolta verso il mantenimento della domanda e dei posti di lavoro con l’emissione di debito.
Questo tardo post-keynesianismo ha avuto effetti contraddittori, come applicazione di un “male minore”da cui Mandel aveva messo in guardia in uno dei suoi ultimi articoli (qui in inglese). Negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, ha contribuito ad attenuare le conseguenze di una profonda recessione economica che avrebbe potuto avere effetti tragici sulle classi lavoratrici, pur non riuscendo a impedire l’aumento della povertà nei settori più precari. Ma il blocco della globalizzazione neoliberista ha fatto precipitare quasi un terzo dei paesi, soprattutto quelli meno sviluppati, nell’inferno della gestione del debito estero.
La seconda vittoria elettorale di Trump, l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin e il genocidio di Netanyahu a Gaza hanno definitivamente gettato l’umanità in una nuova era di regressione e barbarie. Le speranze riposte nel programma minimo di emergenza per la lotta al cambiamento climatico, sancito dall’Accordo di Parigi, dall’Agenda 2023, dal programma di riforma delle Nazioni Unite per ripristinare il multilateralismo e dalla riforma del sistema finanziario internazionale per affrontare la gestione del debito, sono state tutte, per il momento, deluse.
Questo non è più un periodo di rivendicazione morale della speranza socialista, ma piuttosto un periodo di urgente bisogno di una resistenza a lungo termine che consenta l’accumulo di esperienza organizzativa, sindacale e politica per la ricostruzione del movimento operaio e del progetto socialista. In altre parole, si tratta di riportare al centro del dibattito le immediate esigenze difensive dei lavoratori e dei popoli oppressi, nonché proposte di mobilitazione unitaria, analisi tattiche su come spostare l’equilibrio di forze a loro favore e rendere nuovamente credibile la necessità di una strategia socialista.
In questo senso, il trentesimo anniversario della morte di Ernest Mandel mi sembra coincidere ancora una volta con uno di quei bivi dal cui esito dipenderà in larga misura il segno dei tempi futuri. Il nucleo della teoria delle onde lunghe di Mandel era la sua convinzione che, mentre sono le contraddizioni interne ed endogene del sistema capitalista a provocarne le crisi periodiche, la via d’uscita da queste crisi è conseguenza di fattori esterni ed esogeni e, in primo luogo, dell’esito concreto degli scontri sociali e politici della lotta di classe. La politica, nella sua accezione più “leninista”, a partire dal movimento operaio e dai movimenti di resistenza sociale, è quindi la priorità della sinistra e l’asse della sua ricostruzione.
La riformulazione dell’“ipotesi strategica” dopo la seconda guerra mondiale
Nonostante i suoi numerosi approcci teorici e studi sull’attualità, Mandel non fu in grado di fornire una risposta completa e coerente al problema della coscienza di classe, sebbene la incorporasse come elemento importante nella sua visione delle soluzioni esogene alle crisi economiche capitaliste nella sua teoria delle onde lunghe. Tuttavia, nel corso della sua vita politica, sviluppò quattro “ipotesi strategiche”.
Mandel (vedi qui nella sezione “Rivoluzionari/e”, la pagina dedicata a Ernest Mandel) iniziò il suo attivismo marxista rivoluzionario prima di compiere 20 anni, durante la Seconda guerra mondiale, nel Belgio occupato dai nazisti, con la prospettiva strategica sviluppata da Lev Trotsky, che nel 1938 riassunse il Programma di transizione della Quarta Internazionale e il nucleo dei suoi scritti del 1939-40 come segue:
La ciarlataneria di ogni genere, secondo cui le condizioni storiche non sarebbero ancora ‘mature’ per il socialismo, non è altro che il prodotto dell’ignoranza o di un’illusione consapevole. Le condizioni oggettive per la rivoluzione proletaria non solo sono mature, ma hanno anche iniziato a decomporsi. Senza una rivoluzione sociale nel prossimo periodo storico, la civiltà umana è minacciata di essere travolta da una catastrofe. Tutto dipende dal proletariato, cioè dalla sua avanguardia rivoluzionaria. La crisi storica dell’umanità si riduce alla direzione rivoluzionaria.
Nel Manifesto della Conferenza d’emergenza della Quarta Internazionale del 1940, che Mandel considerava in un certo senso il testamento politico di Trotsky, il problema della maturazione della coscienza di classe rivoluzionaria era inscritto in un processo storico:
Il mondo capitalista non ha più una via d’uscita, a meno che non si consideri tale una prolungata agonia. È necessario prepararsi a lunghi anni, se non decenni, di guerra, insurrezioni, brevi intervalli di tregua, nuove guerre e nuove insurrezioni. Un giovane partito rivoluzionario deve basarsi su questa prospettiva. La storia gli offrirà sufficienti opportunità e possibilità per mettersi alla prova, accumulare esperienza e maturare. Quanto più rapidamente si coalizza l’avanguardia, tanto più breve sarà il periodo di sanguinose convulsioni, tanto minore sarà la distruzione che subirà il nostro pianeta. Ma il grande problema storico non sarà risolto in alcun modo finché un partito rivoluzionario non si porrà alla testa del proletariato. Il problema dei ritmi e degli intervalli è di enorme importanza, ma non altera la prospettiva storica generale né l’orientamento della nostra politica. La conclusione è semplice: il compito di organizzare ed educare l’avanguardia proletaria deve essere portato avanti con un’energia decuplicata. Questo è precisamente l’obiettivo della Quarta Internazionale.
La sconfitta del fascismo e la fine della Seconda guerra mondiale inaugurarono una crisi politica e sociale in tutta Europa e in alcune parti dell’Asia tra il 1944 e il 1948, ma la sua portata fu limitata, soprattutto in relazione alle aspettative dei gruppi legati alla Quarta Internazionale. Nel 1979, in un’esposizione generale sulla strategia rivoluzionaria, Mandel fece il punto su questi limiti e sull’errore della prospettiva di Trotsky, che aveva tracciato un parallelo errato con l’immediato dopoguerra del 1918-1923. La debolezza della coscienza di classe nel 1944-1948 fu il risultato cumulativo di una rottura nelle tradizioni rivoluzionarie seguita a 20 anni di politiche collaborazioniste di classe da parte dei partiti socialdemocratici e stalinisti e all’isolamento marginale dei gruppi rivoluzionari, non di quattro anni eccezionali di “patriottismo” come durante la prima guerra mondiale.
Non vi fu alcuna crisi prerivoluzionaria nella Germania sconfitta e le ondate rivoluzionarie in Francia, Italia e Grecia – a differenza di Jugoslavia e Cina – furono reindirizzate dai partiti comunisti di questi paesi nel quadro dell’“unità nazionale democratica” e della divisione dei blocchi concordata a Yalta da Stalin, grazie, tra le altre cose, al prestigio dell’URSS per il suo contributo decisivo alla sconfitta del nazismo.
Pur accettando il quadro generale dell’ipotesi strategica elaborata da Trotsky nel 1938-1940, ratificata in termini generali alla Prima Conferenza Europea della Quarta Internazionale nel 1946, sotto la guida di Michel Raptis “Pablo”, Mandel dovette confrontarsi e rispondere ai suoi limiti in due aree essenziali di analisi: la natura dello stalinismo dopo la Seconda Guerra Mondiale e l’accumulo di forze politiche tra i rivoluzionari. Fu questo che gli permise di uscire dall’impasse strategica.
Nel primo tema, la cui principale sede di discussione fu il Secondo Congresso Mondiale della Quarta Internazionale del 1948, Mandel utilizzò tutte le leve interne della teoria di Trotsky sulla degenerazione dello stato sovietico – il declino storico della coscienza di classe dopo il 1924, la burocratizzazione e la deriva nazionalistica del Partito Bolscevico – per preservare il dilemma storico della sua instabilità sociale ed economica tra un nuovo avanzamento nel processo di costruzione del socialismo o la restaurazione del capitalismo. Pur respingendo la possibilità di una “rivoluzione dall’alto”, Mandel riconobbe le diverse situazioni storiche dei paesi dell’Europa centrale e orientale nel loro processo di assorbimento politico da parte del sistema sovietico burocratizzato. Tuttavia, confutò sia l’analisi dell’URSS come capitalismo di stato “totalitario” – una tesi di origine menscevica adottata dalla socialdemocrazia europea e da settori della sinistra comunista antistalinista – sia l’analisi di un nuovo modo di produzione collettivista-burocratico.
Questa flessibilità, basata sull’analisi concreta di ogni caso all’interno del dilemma storico descritto da Trotsky, gli permise di affrontare positivamente sia il processo rivoluzionario in Jugoslavia e Cina, sia, più tardi, a Cuba e in Vietnam. Ma questa stessa flessibilità lo portò negli anni Novanta, in un’epoca segnata dall’egemonia del neoliberismo, a un frustrante ottimismo sulle possibilità di riforma socialista nell’URSS di Gorbaciov.
Fronte Unico e sciopero generale in Belgio
Il secondo tema, le tattiche di intervento dei piccoli gruppi rivoluzionari dopo la Seconda Guerra Mondiale, era molto più contraddittorio, ma il processo di valutazione e correzione gli permise un approccio diretto al problema della coscienza di classe e della ricostruzione di una strategia socialista. L’ipotesi strategica di una crisi economica e sociale che avrebbe impedito una nuova egemonia politica capitalista e la quasi inevitabile guerra tra Stati Uniti e URSS – che era la riformulazione della visione di Trotsky del dopoguerra difesa da Pablo e dalla dirigenza della Quarta Internazionale – raccomandava una rinnovata riproposizione della politica degli anni Trenta di “entrismo” di piccoli gruppi rivoluzionari marxisti nei maggiori partiti socialdemocratici o comunisti.
Nell’estate del 1950, un’ondata di scioperi travolse il Belgio francofono in seguito al ritiro del Partito Socialista dal governo di coalizione e alla richiesta popolare non solo dell’abdicazione di Leopoldo III, accusato di aver collaborato con i nazisti, ma anche dell’istituzione di una repubblica. La crisi politica fu risolta dal Partito Popolare Cattolico con l’incoronazione del principe Baldovino, ma la crisi sociale non fece che aggravarsi.
Dopo due anni di riorganizzazione con i trotskisti belgi sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale, Mandel aderì al PSB nel 1951 con l’intenzione di costruire al suo interno un movimento di sinistra. Ma quel movimento si stava già formando attorno ad André Renard, un dirigente sindacale di origini anarco-sindacaliste e una delle forze trainanti della nuova Federazione Sindacale Belga (ABVV). Nel 1954, Renard chiese l’aiuto di Mandel, allora direttore del quotidiano del PSB Le Peuple, per rivedere il programma di riforme strutturali dell’ABVV, originariamente redatto nel 1951 da Jacques Yerna. Il dibattito in commissione, guidato da Mandel, diede forma al processo di radicalizzazione sindacale verso il controllo operaio. Lo stesso Renard lo descrisse così:
Non si tratta più di riforme parziali. Affrontando i monopoli e le grandi imprese, l’ABVV combatte contro il capitalismo belga nel suo complesso. Chiedendo lo smantellamento dei “gruppi finanziari”, il suo obiettivo è lo smantellamento del capitalismo stesso. In questo modo, la lotta contro i cartelli non è altro che la forma che assume oggi la lotta per il socialismo.
Mandel fu anche autore di un opuscolo di 60 pagine, firmato da Renard e intitolato “Verso il socialismo attraverso l’azione”, che sarebbe diventato la base programmatica di una nuova corrente di sinistra all’interno del PSB, con André Renard in Vallonia e Camille Huysmans nelle Fiandre come suoi capi visibili. I giornali La Gauche (1956) e Links (1958), diretti da Mandel, divennero gli organi della nuova corrente.
Nel 1959, dopo oltre tre anni di lavoro organizzativo, iniziò una nuova fase nella radicalizzazione del movimento operaio belga, con la sconfitta del PSB alle elezioni del 1958 e una serie di scioperi e manifestazioni che chiedevano la nazionalizzazione delle miniere di carbone e del settore energetico. La tensione tra la dirigenza socialdemocratica del PSB, che cercava di riconquistare la propria base sociale per rientrare in un governo di coalizione con la destra, e la corrente di sinistra, che voleva attuare il suo programma di riforme strutturali e condizionare a questo il suo ritorno al governo, divenne evidente al congresso del PSB nel giugno 1958.
Il momento decisivo giunse nell’inverno del 1960, quando il governo conservatore-liberale di Eyskens attuò una dura politica di tagli alla spesa sociale e aggiustamenti fiscali. Per cinque settimane, uno sciopero generale di 700.000 lavoratori paralizzò il Belgio. Ma Renard e Mandel si scontrarono sull’esito politico e strategico di questo enorme movimento. Mandel voleva unificarlo in una grande manifestazione unitaria a Bruxelles che avrebbe esteso la natura massiccia del movimento vallone alle Fiandre. Renard, d’altra parte, concentrò la sua priorità sui negoziati con il governo che avrebbero consentito una soluzione federalista differenziata per i due settori nazionali del movimento, il che favorì inevitabilmente il radicalismo vallone ma lo condannò all’isolamento.
Due mesi dopo, Mandel pubblicò una valutazione politica del movimento e del suo intervento su Les Temps Modernes, la rivista di Sartre:
Non c’è bisogno di saggi trattati di strategia per capire che la classe operaia belga non era preparata a una lotta insurrezionale per prendere il potere il 20 dicembre […]. Il significato storico dello sciopero belga sta nel fatto che si tratta del primo sciopero generale nella storia del movimento operaio europeo che non ha come obiettivo fondamentale né rivendicazioni materiali né rivendicazioni politiche democratiche, ma cerca essenzialmente la riorganizzazione dell’economia su basi socialiste. Perché questo è, e nessun altro, il significato che centinaia di migliaia di scioperanti belgi hanno dato allo slogan delle “riforme strutturali” […]. Si potrebbe concludere che lo sciopero, date le specifiche condizioni di tempo e spazio, non poteva avere successo. Un’organizzazione meticolosa sarebbe stata senza dubbio preferibile a questo miscuglio di spontaneità, improvvisazione, una direzione incapace e un’alternativa superata dagli eventi… Ma tutti questi saggi consigli eludono un fatto incontrovertibile: che, nonostante tutte le difficoltà e le inadeguatezze, un milione di lavoratori belgi ha preferito, contro tutte le forze sociali conservatrici, scioperare per trent’anni. e due giorni piuttosto che sopportare l’austerità e la decadenza capitalista. Anche solo per questo […], valeva la pena lottare fino alla fine. E, anche solo per questo, rifarlo alla prima occasione.
L’esito politico dello sciopero generale fu l’ingresso della Sinistra Socialista nel governo di coalizione. Mandel resistette al richiamo irresistibile di una scissione dalla Sinistra Socialista di La Gauche/Linke, ancor più dopo la morte di Renard. Tuttavia, al Congresso del PSB del 1964, fu la Destra Socialdemocratica a decidere di espellere la Sinistra Socialista – e con essa Ernest Mandel – a causa della loro doppia appartenenza.
Maggio 68 e lo sviluppo di una strategia socialista
L’esperienza di costruzione di un movimento di sinistra all’interno del PSB e la partecipazione allo sciopero generale belga costituirono la base della nuova riflessione di Mandel sulla coscienza di classe e sull’”ipotesi rivoluzionaria” del periodo, che si sarebbe sviluppata dal 1965 al 1983:
Il dibattito sulla strategia socialista nell’Europa occidentale deve partire dall’ipotesi iniziale che nei prossimi dieci anni non vivremo né guerre nucleari globali né crisi economiche di estrema gravità paragonabili a quella del 1929-33.
Ciò che si prospettava erano la rivolta studentesca e lo sciopero generale in Francia nel maggio 1968, l’autunno caldo italiano del 1969, la primavera cecoslovacca e l’invasione sovietica del 1968, le rivolte studentesche nella Repubblica Federale di Germania, in Messico e in Giappone, l’offensiva militare del Tet in Vietnam, la rivoluzione dei garofani portoghese e la resistenza contro le dittature in Grecia e Spagna… La nuova prospettiva trovò la sua prima formulazione nelle tesi presentate al IX Congresso della Quarta Internazionale nel maggio 1969, in cui combinava l’analisi dei “tre settori” della rivoluzione mondiale: la nuova ascesa delle mobilitazioni sociali nei paesi imperialisti “come conseguenza del nuovo clima socio-economico”; lo sviluppo delle rivoluzioni anticoloniali iniziate a Cuba, Algeria e Vietnam; e la nuova prospettiva aperta in Cecoslovacchia per la rivoluzione politica nelle “democrazie popolari” sotto il controllo dell’URSS.
Ma l’analisi dell’economia capitalista e la formulazione finale della nuova strategia socialista seguirono percorsi paralleli. Il suo rifiuto del catastrofismo economico di fronte all’innegabile realtà di un nuovo, senza precedenti, sviluppo delle forze produttive del capitalismo lo costrinse a ripensare creativamente la teoria economica marxista in tre opere principali: Trattato di economia marxista (1962), La formazione del pensiero economico di Marx (1967) e Il tardo capitalismo (1972). Questo fu un lavoro di ampio respiro, accompagnato da altri lavori sulla situazione economica, in particolare sulla recessione del 1974-78, in La seconda crisi (1978, mai tradotto in italiano). Tuttavia, il più grande contributo di Mandel alla teoria economica marxista e all’interpretazione della storia economica fu “Long Waves of Capitalist Development: A Marxist Interpretation” (Le onde lunghe dello sviluppo capitalistico. Un’interpretazione marxista), pubblicato inizialmente nel 1980 e rivisto per la sua seconda edizione nel 1995, ma mai tradotto in italiano.
Come abbiamo già sottolineato, il problema centrale della teoria delle onde lunghe era quello di reintrodurre la lotta di classe e le sue conseguenze concrete, sia politiche che sociali, nell’analisi delle crisi e dell’accumulazione capitalistica. Mandel notò che la sua prima motivazione in tal senso era la critica di Roman Rosdolsky alla sua interpretazione della teoria delle crisi nel Trattato di economia marxista. Come coniugare il determinismo insito nei meccanismi dell’accumulazione di capitale, segnato dai limiti stessi di un sistema basato sulla ricerca del profitto, con il ruolo centrale della lotta di classe nei suoi concreti aspetti storici?
L’interpretazione classica del marxismo nella Seconda Internazionale aveva privilegiato una lettura determinista ed evoluzionista della crisi del capitalismo, mentre la maturazione politica di Lenin e Trotsky si era basata sulla riaffermazione della politica come “rivoluzione contro il Capitale”, come avrebbe sottolineato Gramsci. Mandel riprese i dibattiti del Secondo Congresso dell’Internazionale Comunista per discutere ancora una volta delle onde lunghe dello sviluppo capitalistico, intese come grandi periodi storici caratterizzati da una maggiore o minore crescita delle forze produttive. In questa interpretazione, Mandel ha tentato di costruire un modello esplicativo multicausale della tendenza al ribasso del saggio di profitto. Un modello in cui i meccanismi interni del processo di accumulazione capitalistica provocano inevitabilmente crisi prima o poi, ma in cui il ripristino delle condizioni politiche, sociali ed economiche necessarie per un recupero del saggio di profitto dipende da fattori esterni e, in primo luogo, dal rapporto di forze nella lotta di classe tra capitalisti e salariati.
Fu questa visione globale che gli permise, negli anni Settanta, attingendo alle lezioni storiche del movimento operaio dal 1880 al 1905, al periodo rivoluzionario dal 1917 al 1924, all’ascesa dei Fronti Popolari e alla lotta contro il fascismo, ma anche alla sua esperienza personale in Belgio tra il 1951 e il 1964 e al Maggio 1968 in tutta la sua complessità internazionale, di tentare di ricostruire una strategia socialista. La sua migliore sintesi, a mio avviso, rimane “Marxismo Rivoluzionario Oggi” (1979).
Mandel dava per scontato che le condizioni di stabilità e crescita economica del dopoguerra si fossero esaurite, il che implicava un prolungato periodo di scontro di classe a seguito di successive, più lunghe e profonde crisi economiche. Il “coefficiente di Mandel”, il livello di coscienza di classe derivante dal periodo precedente, non era caratterizzato solo da una consolidata pratica del riformismo. Tuttavia, la possibilità del socialismo come alternativa al capitalismo rimaneva presente a causa delle successive rotture rivoluzionarie nel Terzo Mondo, sebbene l’assenza di democrazia politica e la gestione burocratica dell’URSS avessero eroso l’idea stessa di socialismo.
La lotta sindacale per il tenore di vita dei lavoratori poteva portare a scioperi generali e mobilitazioni sociali capaci di destabilizzare l’ordine democratico-borghese per periodi sufficientemente lunghi da consentire esperienze cumulative di massa, sia nella sfera della loro autorganizzazione sia in quella della loro unità e capacità manageriale all’interno delle istituzioni democratiche e parlamentari. Questa esperienza del fronte unico, dell’identificazione collettiva degli interessi di classe al di là della lotta sindacale e nel campo della rappresentanza politica, avrebbe consentito non solo una ristrutturazione della mappa dei partiti politici, ma anche una crescente crisi di legittimità dei fondamenti ideologici del sistema capitalista e avrebbe iniziato a porre alternative più stabili basate su sindacati, comitati e consigli operai e sulla mobilitazione per un governo di sinistra capace di attuare un programma di profonde trasformazioni sociali. È nel momento della reazione e della difesa di questa alternativa ancora riformista, ma con un rapporto di forze favorevole alla mobilitazione sociale della sinistra, che sorgono crisi rivoluzionarie e può essere sollevata la questione del potere, come accadde in Russia nel 1917, in Ungheria nel 1918, in Germania nel 1918 e nel 1923-24 e in Spagna nel 1936-37.
Nonostante le sue convinzioni “luxemburghiane” sulla capacità dei lavoratori di sviluppare una coscienza socialista in una crisi rivoluzionaria, Mandel ha sempre creduto che il ruolo del partito fosse decisivo nella costruzione di una tattica di fronte unico e nella definizione di compiti socialisti in un periodo di crisi rivoluzionaria. In questo senso, il suo “leninismo”era sempre presente nelle sue varie “ipotesi strategiche” e costituiva la giustificazione intellettuale della sua dedizione militante come leader della Quarta Internazionale.
L’imperativo morale della resistenza all’oppressione
Nel 1983, il periodo aperto dal Maggio 1968 era giunto al termine, e il dilemma di cui Mandel aveva parlato nella sua conferenza di Madrid del 1980 si era concluso con un sostanziale spostamento dell’equilibrio di potere a favore delle politiche neoliberiste. Quella stessa estate, l’incontro dei leader delle sezioni europee della Quarta Internazionale aprì una crisi terminale del “mandelismo” come ricostruzione della strategia socialista. Nonostante tutto, e forse per stabilire quel collegamento con il futuro di cui parlava Miguel Romero, Mandel mantenne il suo “ottimismo della volontà” contro ogni previsione, a volte al di là della realtà empirica, come accadde con la Polonia o con la crisi finale del cosiddetto “socialismo reale”. Riuscì comunque a produrre un’opera sostanziale come Potere e denaro: una teoria marxista della burocrazia (1992, mai tradotto in italiano), in gran parte una riflessione sugli ostacoli materiali e ideologici che avevano ostacolato lo sviluppo della coscienza di classe socialista nel XX secolo. Ma, come Trotsky nei suoi scritti successivi, Mandel si appellava sempre più all’imperativo morale della resistenza contro ogni forma di oppressione e sfruttamento. Le sue ceneri furono sepolte ai piedi del Muro dei Comunardi a Parigi.
Trent’anni dopo, tra le contraddizioni e gli incroci politici delle tre crisi successive dell’economia capitalista dal 2007 al 2008, la messa in discussione del sistema internazionale multilaterale emerso dopo la seconda guerra mondiale e una nuova ascesa dell’estrema destra, la sua eredità intellettuale e organizzativa è uno dei fattori positivi di quel “coefficiente di Mandel” a partire dal quale deve essere possibile ricostruire, con la convinzione della sua imperativa necessità, una strategia socialista per il XXI secolo.
da: https://andream94.wordpress.com/2025/07/23/ernest-mandel-a-trentanni-dalla-sua-morte/
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L’uomo ritratto nella foto con Guevara chiaramente non è Mandel. Come una semplice ricerca sul web potrebbe dimostrare.
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la foto è negli archivi, l’articolo è di https://forhumanliberation.blogspot.com/2024/03/3560-ernest-mandel-on-cuban-revolution.html
articolo in inglese pubblicato su: A Journal of Ecosocialism nel marzo 2024 scritto da: Jan Willem Stutje. Potrebbe essere un errore? Può darsi, ma sembra un Mandel senza occhiali, ogni tanto li toglieva, ci sono altre foto in cui non li ha, poche a dir la verità. Mandel è stato a Cuba su invito del Che, due volte per più settimane.
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Tra l’altro è poco probabile che i due si siano mai incontrati.
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sulla foto non so che dirti. Che si siano incontrati a Cuba durante il famoso dibattito sulle prospettive economiche, nel 1964, è un fatto accertato. Informati meglio. Tra l’altro Mandel e il Che condivisero molti punti di vista, opposti a quelli di Fidel e Bettelheim.
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guardando meglio la foto, che è un po’ sfuocata, potrebbe essere con occhiali con montatura leggera, come li portava da giovane, vedi foto su google. Il viso e la capigliatura sembrano proprio le sue. Non so perchè o non mi pubblica i commenti o me li triplica. Abbiate pazienza.
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Mea sulpa sull’incontro. Pensavo che il dibattito del 1964 si fosse svolto solo in forma scritta. Sulla voto invece ho ragione io. Al link qui sotto trovate la stessa foto ingrandita e con una risoluzione migliore. Se vi sembra Mandel senza occhiali… (tra l’altro Mandel nel 1964 aveva 41 anni. L’uomo in questione è sicuramente più giovane).
https://www.album-online.com/detail/en/ODhhMzc4MA/guevara-serna-ernesto-called-che-cuban-politician-rosario-argentina-1928-alb5751056
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