L’indebolimento della regolamentazione urbanistica è oggetto di una legge di riforma che si richiama al concetto truffaldino di rigenerazione urbana. Un modello che, dopo aver saturato le metropoli, si riverserà sulle medie e piccole città. Il caso Torino [Claudio Decastelli]

Le vicende giudiziarie legate alle operazioni edilizie e urbanistiche di Milano su cui sta indagando la magistratura riguardano quei casi in cui, nell’applicare da parte del Comune e dei privati il modello ‘di crescita’ che è stato da loro scelto per la città, sono state rinvenute violazioni delle leggi in conseguenza delle quali la collettività è stata danneggiata sia con forti e negative alterazioni del contesto urbano sia dai mancati incassi degli oneri spettanti al Comune medesimo, oneri che avrebbero dovuto servire all’ente per erogare servizi pubblici e mantenere efficiente la città stessa (cosa che è accusato di non avere fatto). 

Ci sono stati negli anni però molti altri di casi in cui lo stesso modello di sviluppo basato sull’edificazione eccessiva è stato applicato senza conseguenze giudiziarie, nonostante esposti ai tribunali amministrativi da parte di comitati di cittadin* (valutati però come non pertinenti).  E con risultati ugualmente dannosi per gli e le abitanti, che si sono trovati a dover vivere in una città costosissima non più sostenibile per chi ha i normali redditi da lavoro subordinato italiani, con le conseguenze di  vedere peggiorata decisamente la qualità della vita e di doversi  pure spostare e andare ad abitare dove gli affitti e i prezzi sono meno insostenibili, quindi in zone molto periferiche se non addirittura nei comuni della cintura. 

Il fatto che Milano sia diventata una città per ricchi grazie alle operazioni immobiliari e finanziarie non è quindi imputabile solo agli illeciti ipotizzati nelle indagini, ma è complessivamente il risultato delle scelte  urbanistiche fatte da sue varie amministrazioni, di centro destra e centro sinistra, che hanno agito per consentire agli investitori immobiliari privati, generalmente i grossi gruppi finanziari anche stranieri, le grandi trasformazioni del suo territorio che, sotto l’insegna ingannevole della ‘rigenerazione urbana’, hanno portato in città enormi quantità di nuove costruzioni e cemento, oltre che fiumi di denaro. Denaro che non è stato ridistribuito alla collettività, ma è finito nella tasche del sistema di potere economico/finanziario e di chi ne è fedele servitore, facendo invece diventare gli e le abitanti solamente consumatori la cui parte non abbiente è poi stata espulsa. 

La scelta di trasformare il territorio di una città in una fonte di guadagno per la rendita immobiliare speculativa oppure un ambiente favorevole a tutti gli abitanti è alla portata di tutte le amministrazioni comunali, dei loro sindaci, consigli e assessori all’urbanistica, basta che tutti questi soggetti istituzionali abbiano la volontà politica di farlo. Nei limiti dati dalle normative ovviamente, le quali però possono essere non solo aggirate come a Milano, ma anche legittimamente modificate in peggio, proprio come voleva fare il Parlamento con il decreto detto “Salva Milano” appoggiato dal centro-sinistra come nel centro-destra per sanare gli illeciti meneghini (e rendendoli così anche consentiti in tutta Italia). 

Oppure basta anche solamente usare nel modo opportuno gli strumenti urbanistici già a disposizione, a cominciare dai piani regolatori che stabiliscono i criteri secondo cui si può costruire, dove (e dove no), come si possono usare i terreni, che caratteristiche devono avere gli edifici a seconda dell’uso che se ne fa, quante e quali aree devono essere per uso pubblico o verdi. Purtroppo nell’elaborare normative e piani urbanistici si tende alla riduzione di regole e criteri, alla loro semplificazione allo scopo di renderli più elastici possibili e quindi più adattabili alle richieste di disporre della città e del suo territorio per gli usi che vengono richiesti: non da parte della cittadinanza o dell’amministrazione comunale, che non hanno o non destinano risorse economiche per trasformarli, ma da parte degli investitori privati, disponibili a spendere denaro per realizzare operazioni di edilizia o di altro tipo che portino loro sufficienti profitti e che per trovare convenienza vogliono avere  meno limitazioni possibili e maggiore libertà di realizzazione dei loro progetti, a prescindere dall’impatto sulle comunità di abitanti del città. 

Se a Milano l’accusa è che tutto è stato realizzato manomettendo le regole di gestione dell’edilizia esistenti, a Torino invece si parla, da parte degli amministratori comunali responsabili, di essere pronti,  con un nuovo piano regolatore, a cogliere le occasioni di investimento da parte dei privati, rendendo meno rigide le regole e prevedendone addirittura deroghe in casi ritenuti di pubblica utilità,  programmando la struttura della città non sui bisogni di chi la abita ma per facilitare l’arrivo di capitali e di nuovi consumatori che ne rendano redditizio  l’arrivo. 

Il pericolo che si inneschi quindi anche a Torino con il prossimo piano regolatore il meccanismo sperimentato a Milano, su una diversa scala e con obiettivi diversi dall’edilizia di lusso, vista la crisi la provocata, è stato sollevato dai comitati di cittadine e  cittadini impegnati in varie vertenze contro il comune per l’uso fatto del territorio e del verde urbano,  a fine 2024 proprio in occasione dell’inizio della crisi politica milanese a seguito dei primi provvedimenti giudiziari, quando venne reso noto il coinvolgimento anche di colui che stava costruendo, in modo non sufficientemente trasparente, il nuovo piano regolatore torinese, l’assessore alla urbanistica del Comune di Torino Paolo Mazzoleni,  nelle vesti di progettista di alcuni degli immobili oggetto dei provvedimenti giudiziari stessi. 

Su iniziativa del comitato che da inizio 2024 segue in modo critico il percorso che sta portando alla presentazione del nuovo piano regolatore da parte dell’assessore, i comitati hanno chiesto più volte al sindaco Lo Russo e al consiglio comunale se nonostante l’implicazione in indagini per reati urbanistici in un’altra città l’assessore  rappresentasse ancora la volontà della Città nel progettare urbanisticamente la Torino del futuro. Nessuna risposta è arrivata, come nessuna risposta era arrivata ai comitati milanesi quando questi sollevavano, anche con manifestazioni, il problema delle scelte urbanistiche del comune che devastavano in modo radicale grosse porzioni di Milano  per realizzare operazioni di speculazione. In quella città la posizione dei comitati è diventata più rilevante nel momento in cui la magistratura si è messa in moto a seguito degli esposti di privati cittadini, a Torino non risultano (ancora?) situazioni analoghe  e quindi le critiche dal basso non trovano amplificazione nella cronaca degli avvenimenti giudiziari, se non per il coinvolgimento ripetuto in quelle di Milano dell’assessore Mazzoleni,  ritenuto esponente di un modello urbanistico come quello milanese che molti danni ha già prodotto e che non si vuole vedere esportato a Torino per mezzo del nuovo piano regolatore. Coinvolgimento che è stato giudicato irrilevante però del Partito Democratico e dai suoi alleati di Giunta, come anche da quasi tutta l’opposizione in consiglio comunale ad eccezione dei 5 Stelle. E che non ha mai portato a discuterne in sede istituzionale.

L’indebolimento della regolamentazione urbanistica è però in questo momento oggetto discussione anche a livello nazionale, dove è in corso quella su una legge di riforma che si richiama al concetto truffaldino di rigenerazione urbana. E se ne parla anche a livello di Regione Piemonte, la quale con la legge Cresci Piemonte ha introdotto deroghe al ribasso nelle tempistiche per la concessione dei pareri da parte degli enti competenti in caso di trasformazioni urbanistiche legate al PNRR e a investimenti, anche privati, superiori ai 5 milioni, riducendo in questo modo le tempistiche per la concessione dei permessi ma anche il tempo per le verifiche sulla regolarità dei piani urbanistici e dei progetti presentati dai privati. Il Comune di Torino aveva chiesto anche modifiche che tagliassero i tempi per l’approvazione di un nuovo piano regolatore, volendo portare a termine quella per Torino entro la fine del suo mandato, ma la Regione non ha ritenuto di intervenire anche su quell’aspetto.

Lo sfruttamento del territorio delle città per permettere di ricavarne profitti, anche a danno della loro vivibilità da parte dei cittadini e delle cittadine, è una prospettiva non per quelle più grandi, che ormai sono giunte al punto di saturazione, ma per le medie e anche più piccole, in cui c’è ancora spazio per avviare attività speculative da spacciare come opportunità per la collettività. Perché ciò accada non è strettamente necessario però che vengano compiuti reati, è sufficiente modificare le leggi urbanistiche a tutti i livelli e renderle più tolleranti, o per meglio dire efficienti: anche su questo va quindi tenuta molto alta l’attenzione.


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