Quando ho iniziato a leggere l’inquietante (e documentatissimo) libro di Andrea Palladino e Antonella Barranca (Il ritorno del Reich, ed. Round Robin, settembre 2022) l’ho fatto più per “senso del dovere” che per vero interesse. Infatti non ho mai provato vero interesse per quella “polvere d’umanità” (così la chiamava Trotsky) che costituisce il nucleo fondante dell’estrema destra, dai “centoneri” zaristi russi a cavallo tra XIX e XX secolo ai fascisti mussoliniani, dai nazisti hitleriani ai falangisti spagnoli, dai francesi dell’OAS ai neofascisti che ho combattuto (non solo ideologicamente) nei miei anni ’70 da studente. Ho sempre considerato il mio antifascismo come un necessario, naturale accessorio del mio radicale anticapitalismo, e non il fulcro della mia attività politica. Solo negli ultimi anni (in particolare dopo il varo del governo Meloni a guida neofascista, meno di tre anni fa) ho prestato un po’ più d’attenzione a questo vero e proprio immondezzaio della Storia. Leggendo questo libro immaginavo che ci avrei trovato ben poche novità, per un vecchio marxista internazionalista come me. Mi sbagliavo. La mia presunta conoscenza, a grandi linee, delle attività e del “pensiero” dell’estrema destra, era, appunto, in gran parte presunta. E troppo “a grandi linee”. Se la prima parte, dedicata alla fuga e/o al riciclaggio di molti gerarchi nazisti dopo la loro sconfitta nel 1945, non è stata certo una sorpresa (pur non conoscendo tutti i particolari così ben documentati da Palladino e Barranca), lo sono state di più le altre parti, dedicate ai neofascisti italiani, francesi e russi (con l’immancabile Aleksandr Dugin in testa).

Certo, è risaputo che fuga e riciclo di molti gerarchi nazisti fossero stati favoriti dal Vaticano e, un po’ più tardi, dagli Alleati (soprattutto britannici e nordamericani). La “Via dei Topi” di cui parla il libro, è stata anche una “Via dei monasteri” (in particolare francescani – povero Francesco d’Assisi!-). Seguire le vicende dei Priebke (arrestato dagli inglesi, fugge dal campo di prigionia il 31/12/1946, ospitato dal vescovo di Rimini, per poi arrivare a Vipiteno, dove vivrà indisturbato con la famiglia fino all’ottobre del ‘48) dei Kappler (uno dei pochi condannati, nel ‘48, e di cui ricordavo la vergognosa fuga nel ’77), dei Barbie (il boia di Lione), Bickler, Eichmann, Stangl (il boia di Treblinka), Mengele, Bormann, Malloth, Horst e Erna Petri, Wisch, Meyer, Hausser, Steiner, Grille, Kumm, Haas e centinaia d’altri si è rivelato un ottimo allenamento per abituarsi a non vomitare, dato il continuo voltastomaco creatomi da personaggi come il vescovo di Graz, Alois Hudal (grande protetto di papa Pacelli, alias Pio XII), capo della congregazione S. Maria dell’Anima (Roma), e della Fraternità Sacerdotale San Pio X, o padre Morlion, o l’arcivescovo di New York, cardinale Spellman, e altre centinaia di squallide figure di preti e frati che, tra Roma, il Sud Tirolo o il lago Maggiore hanno coperto la fuga, tra il 1945 e il 1948, di molti dei boia delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema e di molti altri massacri. E i cui “eredi” pare non mostrino alcun segno di “cristiano pentimento”, visto che a officiare i funerali del boia Priebke, nell’ottobre 2013, furono proprio i preti della Fraternità San Pio X. Anche sul ruolo degli Alleati “democratici” anglosassoni nel recupero, soprattutto dal 1947, di spie e gerarchi nazisti in funzione anticomunista non ho avuto sorprese, se non quella di vedere gli alleati “minori” (i francesi) scontrarsi con britannici, nordamericani e…italiani nel tentativo di catturare e processare gli assassini nazisti (Barbie in testa). E venire a conoscenza del ruolo chiave del CIC USA (430th Counter Intelligence Corps Detachment, fino alla fine del ’46 dedito alla “denazificazione”), con personaggi come padre Morlion, trait d’union tra nazisti, Vaticano e spionaggio yankee, è stato per certi versi illuminante. Così come la scoperta del Net Project Los Angeles a fine 1947, con nazisti e membri dei servizi italiani (U. Caputo e A. Barletta in particolare, ex agenti dell’OVRA), che ancora in maggio ‘47 escludeva i membri delle SS, salvo cambiare idea poco dopo. Fra i membri Pino Romualdi ( uno dei fondatori del MSI) e il già conosciuto vescovo Hudal. Le destinazioni finali delle fughe dei gerarchi mi erano note, in linea di massima: America Latina (Paraguay, Argentina e Cile in primis), molto meno quelle verso i paesi arabi (Egitto e Siria soprattutto). Mi ha relativamente sorpreso sapere qual è stato il terzo “pilastro” della fuga dei nazisti, e cioè la Croce Rossa, in particolare la delegazione di Roma, guidata nel dopoguerra immediato dallo svizzero filo-nazista Hans Wolf de Salis., che concesse circa 50 mila salvacondotti, in gran parte a criminali di guerra, tra il marzo 1945 e l’ottobre 1948. Il che mi conferma nella mia pratica istintiva di non donare nulla alla CRI.

Molto documentata la parte che riguarda i neofascisti italiani (molti più vetero che neo), con i nomi di Rauti, Delle Chiaie, Graziani (padre e figlio), Morsello, Fiore, Adinolfi, Giachini, Belsito, Di Luia, Di Scala, Gelli, Zorzi, Freda, Tuti, del prefetto Federico D’Amato, nominato nel 1962 capo della 6a sezione dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale dal dc Taviani, uno dei protagonisti della strategia della tensione (amico di Cossiga e di Gelli, ruolo chiave nei depistaggi dopo la strage di Bologna, ritenuto mandante strage con Gelli, U. Ortolani e M. Tedeschi con sentenza del 6/4/22) e molte altre canaglie e criminali legati sia al MSI che ai gruppi dell’estrema destra “extraparlamentare”, da Ordine Nuovo ad Avanguardia Nazionale, da Terza Posizione ai NAR, da Forza Nuova a Casa Pound e via vomitando. La parte finale del libro si è rivelata molto interessante. Riguarda i rapporti tra il neofascismo nostrano (soprattutto quello filo-nazista) e l’estrema destra panslavista e neozarista guidata dall’ineffabile Aleksandr Dugin, “filosofo” dell’euroasiatismo ultrareazionario filo-nazista (vedi, tra l’altro, la foto sul libro con la famigerata lampada delle SS regalatagli in Italia) invitato in Italia in più occasioni, alla fine dello scorso decennio*, dai nostri “gentiluomini” in camicia nera (o meglio bruna). Una parte del libro che consiglio vivamente ai troppi “compagni” che conosco e che ancora, ormai privi da tempo della bussola della lotta di classe e probabilmente ignari di certe “frequentazioni”, si bevono le fandonie sul “sovranismo”, sul “mondialismo”, sul “multipolarismo” ed altre amenità d’importazione “orientale”.

Giorgio Orbene

*In particolare al convegno del 4 novembre 2018 a Milano (Palazzo Reale), organizzato dal fior fiore del neofascismo milanese (tra cui l’esponente di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza, dal 2019 capo del gruppo parlamentare a Strasburgo, Roberto Jonghi Lavarini, il leghista Gianluca Savoini, leader dell’associazione Lombardia-Russia, Rainaldo Graziani (figlio di Clemente, uno dei fondatori di Ordine Nuovo nel ’65), ecc.

Bibliografia essenziale

S. Wiesenthal, “Justice, not vengeance”, Widenfeld & Nicholson, 1989

G. Caldiron, “I segreti del Quarto Reich. La fuga dei criminali nazisti e la rete internazionale che li ha protetti”, Newton Compton, 2016

G. Steinacher, “Les torts partagés de la Croix-Rouge internationale”, Perrin, 2018

J. Camaras, “Odessa al sur. La Argentina como refugio de nazis y criminales de guerra”, Planeta, 1995

J. Camaras- C. Basso-Prieto, América Nazi, Aguilar 2014

A report to the Assistant Attorney General”, US Department of Justice, 1988.

L. Marléne, Alexander Dugin, esquisse d’un euroasisme d’extreme droite en Russie post-sovietique, R.E.C. Est-Ouest, n.32, 2001. Stessa autrice, The Iuzhinskii Circle, etc., in The Russian Rewiew, 2015

A. Dugin, Il sole di Mezzanotte, Aurora del soggetto radicale, AGA, 2019

A. Shekhovtsov, Russia and the western far-right, Routledge, 2018.


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