di Mario Gangarossa
Quando Togliatti morì avevo undici anni, servivo messa all’oratorio in cotta bianca e in un latino appena orecchiato e in quell’oratorio ci giocavo al pallone.
I suoi funerali li vidi qualche anno dopo, proiettati sulla parete di una saletta in una sezione del Pci.
Quel vecchio documentario l’ho rivisto in questi giorni.
Mezzo milione di persone, che a quei tempi spostarsi non era così facile.
Molti piangevano, salutavano a pugno chiuso, qualcuno si faceva il segno della croce velocemente quasi a vergognarsi.
Un abbraccio corale e collettivo.
L’intera classe operaia che si stringeva attorno a quella bara.
Dovreste vederlo anche voi, è un ottimo strumento educativo.
Serve a farci capire la distanza siderale che c’è fra le chiacchiere degli intellettuali, delle avanguardie, dei filosofi e dei “tifosi” e il mondo reale.
E serve anche a capire che la ricostruzione di una prassi rivoluzionaria è opera complessa e difficile che ha bisogno di lunghi anni di lavoro dentro la classe, vivendone le contraddizioni, le illusioni, i limiti.
Combattendo accanto a loro, ritornando a esserne parte.
Vivendo dentro il conflitto sociale che è l’unico mezzo attraverso il quale le masse imparano.
Perché sono loro a “fare la storia” e non le piccole conventicole di “rivoluzionari” che si fanno le pulci a vicenda sul sesso degli angeli.
Quelle facce di quel lontano funerale le ho riviste ai funerali di Bergoglio.
A me non frega niente parlare del Papa, il fatto che mi sia simpatico al contrario di altre autentiche fetenzie che la storia della Chiesa cattolica ci ha ammannito, è un fatto irrilevante.
E non ho bisogno delle lezioncine dell’ultimo filosofastro da social per capire che non esistono Papi “conservatori” e Papi “progressisti”.
E che l’unico obiettivo che ogni Papa si pone è la conservazione dell’istituzione di cui è sovrano.
E non mi interessa nemmeno discutere coi cattolici, come non mi interessa discutere con gli islamici, con gli ebrei e con chi accidenti volete delle loro credenze, delle loro ideologie.
Sul piano delle idee è una lotta persa in partenza.
E’ come mettersi a strillare ai funerali di Togliatti: “coglioni ma che fate! guardate che è lui il nemico, è lui che vi ha tradito”, per finire in manicomio con la camicia di forza.
A me interessa capire qual’è il disagio, quali sono i bisogni di quel popolo che va ai funerali di un Papa, questo Papa e non un altro, in questo momento storico, e non ai tempi di Pio XII.
Se il bisogno di pace, di pane, di uguaglianza, di libertà, il bisogno di abbattere i muri e non affondare i barconi lo ha intercettato la Chiesa cattolica è perché non c’è stato nessun altro che lo ha fatto.
E invece di starsela a menare sul suo ruolo, sulla sua cattiva fede, a ripetere che si, però, il Papa è sempre un nemico, dovremmo interrogarci perché non siamo noi a intercettarli quei bisogni.
Perché con tutta la nostra “coscienza e consapevolezza” non siamo capaci di intercettarli, noi, i bisogni di quel popolo.
Siamo fantasmi, anzi no, che i fantasmi fanno paura e noi facciamo solo ridere.
Siamo dei fantasmini, delle mezze calzette, dei patetici Casper.
Poi c’è chi ne ha coscienza e l’umiltà di ammetterlo e chi è ancora convinto di essere il “comunista” che “dirige” il “movimento reale”.
Quali risposte diamo noi ai bisogni reali dei proletari, delle donne e degli uomini, dei vecchi e dei bambini che vanno ai funerali delle loro icone?
I post in cui spieghiamo (a noi stessi) che sono dei coglioni?
E’ tutto qui il sunto delle mie riflessioni.
Una classe allo sbando e in disordinata ritirata da almeno cent’anni ha bisogno di caporali che ne riorganizzino le fila.
Che costruiscano punti e momenti di riaggregazione.
Non di generali guasconi che pianificano immaginarie battaglie con eserciti che esistono solo nelle loro fantasie letterarie.
Scopri di più da Brescia Anticapitalista
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.