Lo stesso atteggiamento che teniamo nei confronti della guerra guerreggiata va mantenuto nei confronti della guerra commerciale fra nazioni che non è altro che il primo passo verso il conflitto armato.
DISERZIONE.
Schierarsi a favore della “propria” economia sotto attacco, dei “propri” prodotti e della “propria” industria, dei “propri” capitalisti, della “propria” borghesia, e la stessa cosa che schierarsi a favore dei “loro” eserciti e dei “loro” interventi militari.
E’ il nazionalismo, cacciato dalla porta che rientra dalla finestra.
È chiaro che ci sarà una crisi che colpirà pesantemente l’economia nazionale.
Ci sarà stagnazione che significa disoccupazione, inflazione che significa impoverimento generale di tutti le classi sociali.
Salari più bassi, quel poco di welfare sopravvissuto alle crisi precedenti cancellato.
È chiaro che le condizioni di vita delle classi dominate peggioreranno.
Ma la soluzione non è il corporativismo che lega in un tutt’uno indissolubile il padrone e la sua merce lavoro.
NESSUN SACRIFICIO PER LA GUERRA COMMERCIALE.
L’assistenza dello Stato ai capitalisti in crisi, quell’assistenza negata agli ammalati e ai poveri, ai migranti e ai pensionati, NOI non la paghiamo.
Che affoghi il capitale nelle sue irreversibili crisi, che si sciolga come neve al sole per la disperazione dei perdenti, degli “investitori”, dei giocatori di riffe sulla pelle di ha solo una tenda come casa.
E a volte nemmeno quella.
A dirla fuori dai denti, all’operaio non interessa “chi gli dà il pane”.
Quale è la nazionalità del padrone che lo sfrutta, su quale borsa si commerciano i suoi destini, non cambia la sua condizione di sfruttato.
Dove finisce il plusvalore estorto, il profitto, è una questione tutta interna alla classe degli estortori.
Nella loro concorrenza, nella loro gara a cannibalizzarsi a vicenda noi non parteggiamo per nessuno.
NOI IN GUERRA PER SALVARE I VOSTRI PORTAFOGLI NON CI ANDIAMO.
Il capitalismo è a un passo dal suo crollo non per merito di chi ha predetto la sua scomparsa, non per merito dei comunisti – che da 100 anni sono scomparsi dalla scena – ma per le sue “bronzee” leggi, quelle stesse che hanno permesso il suo irresistibile sviluppo.
Il problema per i proletari è come non essere coinvolti da questo crollo.
E c’è una sola strada, SEPARARE LA LORO SORTE da quella dei propri padroni, da quella della propria borghesia.
Il che fare di oggi è come venirne fuori senza lasciare sui campi di battaglia il proprio corpo e versare il proprio sangue.
E RIVOLUZIONARIO oggi, non è chi combatte per difendere un “capitale” che non gli appartiene ma chi opera per accelerarne il crollo.
Chi lavora per la DISTRUZIONE dello stato di cose presenti, non chi si affanna con pannicelli caldi a tenere in vita un cadavere che già puzza.
“Ci sono dei decenni in cui non accade nulla. E poi delle settimane in cui accadono decenni”.
Non è facile accorgersene per chi ci vive “dentro” dell’arrivo di quei giorni che sconvolgono l’esistenza umana di milioni di persone.
Per chi ha bisogno di continuare a credere che, come ieri, continua a “non accadere nulla”.
Ma il marxismo non è una opinione, un’idea.
E quel crollo lo ha previsto come ha previsto che non esiste nessuna altra possibilità “o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o la comune rovina delle classi in lotta”.
Non lavorare per la rivoluzione oggi significa accettare passivamente la barbarie.
Non ci sono “terze vie”.
E’ la lotta di classe. Che si sviluppa a prescindere che i suoi attori siano più o meno coscienti delle loro azioni.
Che ci siano o meno i comunisti.
E che fra le “mani invisibili” è l’unica che plasma la storia dell’umanità.
Il resto è solo cronaca.
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