Oggi, nel tardo pomeriggio, alcune centinaia di persone hanno partecipato al presidio (diventato poi corteo per le vie del centro storico) contro il decreto legge liberticida varato dal governo di estrema destra guidato dalla Meloni. Un decreto che riprende le abominevoli misure previste dallo sciagurato DDL 1660, incagliatosi in seguito alla palese incostituzionalità, rilevata in parte persino da Mattarella. Questo scivolare verso un regime autoritario che superi la stessa democrazia borghese liberale, un processo iniziato oltre trent’anni fa, con l’approvazione dell’antidemocratica legge elettorale “maggioritaria”, e proseguito durante i vari governi (in particolare quelli di destra, ovviamente) che subisce un vero salto di qualità. Non sfugge (almeno a chi ha un po’ di studi storici) la similitudine con il processo di fascistizzazione iniziato dal primo governo Mussolini oltre un secolo fa: modifica in senso antiproporzionale della legge elettorale (chi ricorda la “legge Acerbo” del 1923?), rafforzamento del ruolo dell’esecutivo a scapito del parlamento (il premierato sognato dalla Meloni, così simile alle leggi mussoliniane che, tra il 1923 e il 1925 – leggi “fascistissime” – fecero del governo (ed in particolare del suo capo, il “duce” di allora) l’arbitro unico della vita politica istituzionale dell’allora Regno d’Italia), rafforzamento degli strumenti repressivi (allora Guardia Regia e Carabinieri) attraverso un’impunità di fatto per i reati commessi da uomini in divisa (cui si aggiunge la milizia fascista, incorporata nello stato). I passi successivi, che porteranno all’instaurazione della dittatura aperta nel 1925/26 (scioglimento di partiti e sindacati d’opposizione, proibizione dello sciopero, ecc.) probabilmente non saranno necessari, visto l’atteggiamento remissivo e conciliante (al di là dei litigi “televisivi”) degli uni e degli altri, atteggiamento che fa apparire, al paragone, persino un Filippo Turati come un “leone” dell’opposizione al fascismo. Processo molto più lento oggi: allora ci misero quattro anni, oggi ce ne vogliono dieci volte di più. Un po’ per lo scarso livello del loro personale dirigente, un po’ perché non hanno la fretta che avevano i padroni e i fascisti dopo la “Grande Paura” del Biennio Rosso. Oggi, ancor più di allora, l’opposizione attiva a queste leggi antiproletarie ed antipopolari, è purtroppo appannaggio di una piccola minoranza di militanti, mentre il grosso del movimento dei lavoratori e della sinistra, quando non tace o dorme, si limita ad esprimere un pacato “dissenso” nelle aule parlamentari, sui media o sui social. A Brescia, in questi mesi, è sceso in piazza, ogni volta, un migliaio di persone, o poco più. Stasera eravamo meno della metà (per fortuna con numerosi giovani, piuttosto combattivi), anche perché il presidio è stato organizzato in quattro e quattr’otto per dare una risposta tempestiva. Certo, oggi non abbiamo i Bordiga, i Gramsci, i Serrati, i Malatesta, i Picelli. E neppure, udite udite, i Turati, i Salvemini, i Gobetti. Vero è che neppure lorsignori hanno i Mussolini, i Rocco, i Federzoni, i D’Annunzio. Si devono accontentare dei Salvini, delle Meloni, dei La Russa. Ci dobbiamo accontentare pure noi. E dobbiamo tenere duro. In attesa che i fatti (quelli sì hanno la testa dura) risveglino, con le manganellate di cui hanno nostalgia i nostri governanti, un assopito, atomizzato, sdrucito movimento operaio.

G. Beniamino


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