Il bel film della Cortellesi ha ricordato ai molti smemorati quanto è recente il diritto di voto femminile in Italia, e non solo in Italia. Ancora oggi le donne non possono votare (o possono farlo con molte limitazioni, legate all’età, al reddito, essere proprietarie di una casa, ecc.) in un certo numero di paesi, come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Brunei…e la Città del Vaticano. D’altra parte in questi stati dittatorial-medievali neppure i maschi hanno diritto al voto deliberativo, visto che non esistono veri organi legislativi elettivi e sono vietati i partiti politici (e i sindacati). Qual è stato il primo grande paese al mondo a concedere il diritto di voto alle donne senza limitazioni? Gli/le smemorat* forse si stupiranno, ma fu la Russia rivoluzionaria dei Soviet, nel 1917. In realtà la Nuova Zelanda l’aveva preceduta (1893), così come l’Australia (1902), ma in Nuova Zelanda non poterono candidarsi fino al 1920, e in Australia il diritto fu garantito solo per i “coloni” (e le “colone”) bianche: le/gli aborigen* australian* erano esclus* (e lo furono fino agli anni ’60). Anche i piccoli paesi scandinavi precedettero la Russia dei Soviet: la Finlandia (facente parte dell’Impero russo, ma autonoma) già dopo la rivoluzione del 1905, la Norvegia nel 1913 e la Danimarca nel 1915, mentre la Svezia lo fece solo nel 1921. Durante il “biennio rosso” seguito alla rivoluzione russa molti paesi capitalisti “avanzati” seguirono l’esempio dei Soviet russi. Le canadesi “bianche” (ma non le donne del Quebec e le/i nativ*) ottennero il voto nel 1917, così come le estoni e le armene. Nel 1918 lo ottennero le austriache, le tedesche, le lettoni, le lituane, le georgiane, le azerbaigiane e le polacche. Anche le britanniche e le irlandesi “proprietarie” lo ottennero in quell’anno, ma solo nel 1928 i due paesi lo estesero a tutte le donne maggiorenni. Nel ’19 ottennero questo diritto le bielorusse, le olandesi, le lussemburghesi e le “bianche” della Rhodesia (futuro Zimbabwe) e del Kenya. Nel 1920 le cecoslovacche e le nordamericane (esclus* le/ i nativ*). Durante gli anni Venti e Trenta del XX secolo molti paesi approvarono il suffragio universale femminile: dalla Moldavia all’Ecuador, dal Brasile alla Birmania, dall’Uruguay alle Filippine, dal Turkmenistan alla Spagna repubbli-cana (diritto perso nel ’39 con la vittoria dei franchisti). L’ondata più grande fu quella seguita alla fine della seconda guerra mondiale: la maggior parte degli stati che non l’avevano ancora fatto (tra i quali l’Italia e la Francia) lo concessero tra il 1945 e il 1948. I “ritardatari” (o ritardati?) lo fecero negli anni ’50, come l’India (1950, mentre il Pakistan, stranamente, lo aveva già concesso al momento dell’indipendenza, nel ’47), il Nepal, la Grecia (1952), il Perù, il Nicaragua, l’Etiopia e la maggior parte dei residui paesi latinoamericani e del Medio Oriente (in seguito alle rivoluzioni repubblicane, come nell’Iraq del ’58). Ancora peggio per chi lo concesse negli anni Sessanta (come San Marino!!!), l’Iran, il Marocco, l’Afghanistan, il Sudan (oltre ovviamente ai paesi africani diventati indipendenti in quegli anni). Un caso particolare rappresenta uno dei paesi che viene considerato tra i “più avanzati” del mondo: la Svizzera. Solo nel 1971 le donne elvetiche hanno ottenuto il diritto pieno di voto! E il vicino, piccolo e ricchissimo Liechtenstein riconobbe il diritto di voto femminile solo nel 1984! Peggio della Svizzera sono stati solo alcuni paesi arabi, come la Giordania (1974), il Kuwait (1985), l’Oman, il Bahrein e il Qatar (dopo il 2000!). Il problema è che in questi paesi (a parte, forse, la Giordania), come in quelli menzionati all’inizio, il diritto di voto è puramente consultivo e formale anche per i maschi, visto che sono vietati i partiti politici ed i parlamenti. Non che votare garantisca davvero il poter cambiare le cose, lo sappiamo. Ma certamente il non poter votare è stato (ed è tuttora per le saudite, le afghane, ecc.) un segnale certo di esclusione dai diritti minimi di cittadinanza.

FG


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