di Jean-Christophe Attias*
Bibi. Ti prego, la terra si apra e ti inghiottisca vivo, tu, i tuoi alleati, i tuoi nemici.
Lo so: non sono niente, non sono nessuno. Non sono mai stato eletto in alcuna carica. Non è mia missione proteggere il mio popolo dalla morte e dall’illusione della vittoria. Non ho radici. E sotto i miei piedi, qualunque sia la terra che calpesto, quella terra scivola via. Sono un uomo che cammina e inciampa. Un uomo consumato dal dubbio, perseguitato dalla speranza, ossessionato dall’amore. Mi piacciono i libri. E sogno di essere un poeta. Sono un piccolo ebreo dell’esilio. Senza forza. Senza muscoli. Pallido ed esitante. Sensibile alla paura, alla vergogna. Tremante. Ma testardo. So, come Resh Lakish, che nuotiamo più lontano e più liberi, se spogliati dalle nostre armi e dalla nostra uniforme.
Bibi, se tu e i tuoi amici siete l’incarnazione compiuta e definitiva del sionismo, allora non c’è dubbio che il sionismo deve morire. Per il bene superiore degli ebrei e di altri. Se il sionismo è un territorio raso al suolo e un cumulo di rovine, se il sionismo è decine di migliaia di morti, feriti, mutilati e traumatizzati, allora il sionismo deve morire. Per il gran bene degli ebrei e di altri.
Bibi, tu non sei il successore dei Maccabei. I Maccabei sono morti. La loro eredità è dubbia. I nostri Saggi hanno sapientemente conservato solo un miracolo di luce. I tuoi veicoli corazzati, i tuoi soldati e le tue bombe finiranno come loro e le loro gesta: nell’ombra oscura della storia. Bibi, tu non sei il Giosuè dei tempi moderni. Non ho sentito che tu abbia attraversato il Giordano senza bagnarti i piedi. L’unica cosa in comune con lui: le tue conquiste sono fragili quanto le sue.
E tu non sei certamente Mosè. Mosè aveva lo sguardo chiaro. Vide la terra da lontano. Capì che era molto più un orizzonte che un territorio. E decise di morire da questa parte del mondo. Dalla parte dell’esilio. Di cui rimase per sempre figlio, profeta e principe. Il luogo della sua sepoltura rimane ancora oggi sconosciuto. Il tuo sarà il luogo d’incontro di assassini e bugiardi. Il suo volto brillava come il sole. Il tuo è spalancato e buio come una notte senza stelle che nessuna alba potrà mai illuminare.
Davide era re d’Israele. Tu sei solo il leader di un branco. Il servitore riconoscente di un golem dai capelli arancioni. Allo stesso Davide, poiché le sue guerre avevano macchiato le sue mani di troppo sangue, fu proibito di costruire il Tempio. Cosa diranno di te, delle tue mani, del sangue delle donne e dei bambini, delle lacrime dei padri e delle madri, cosa diranno di te, re del massacro e della distruzione, salvatore (fino a quando?) solo della tua persona?
Un giorno il Messia verrà, sì. Sarà un bambino, vestito di stracci, dal viso luminoso, i piedi nudi nella polvere, gli occhi dolci e lo sguardo penetrante. E maledirà te e i tuoi cari. Lo farà in arabo. In ebraico. In tutte le lingue dell’Esilio. E inviterà noi, uomini e donne sconfitti, noi traditori e unici veramente fedeli, inviterà noi, i nostri amici, i nostri avversari, a salire sul monte del Signore. Vedere finalmente la terra da lassù per quello che è e deve restare: un orizzonte e una condivisione. E tu e i tuoi non sarete altro che un minuscolo puntino ai piedi della montagna.
Allora prego che la terra si apra e inghiottisca te vivo, te, i tuoi alleati, i tuoi nemici, come ha inghiottito Cora, l’ingannatore, e il suo popolo.
Jean-Christophe Attias
Questo testo è stato pubblicato da Jean-Christophe Attias come post sulla sua pagina Facebook (https://www.facebook.com/jeanchristophe.attias?locale=it_IT) il 3 febbraio, ringraziamo l’autore per averci autorizzato la traduzione. La redazione di Rproject.it
*Jean-Christophe Attias docente di pensiero ebraico medievale presso Ecole pratique des hautes études / Université PSL. Ha recentemente pubblicato, con Esther Benbassa, Israël-Gaza. La conscience juive à l’épreuve des massacres (Textuel, 2024).
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