di MARIO GANGAROSSA
È difficile spiegare a chi non ha vissuti quel periodo cosa significò, per noi che fummo giovani negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, “l’eroica lotta del popolo Vietnamita”.
La vittoria dei contadini indocinesi contro l’imperialismo yankee.
La più grande sconfitta militare dell’imperialismo Usa.
Le scene dell’ambasciata americana assediata. Gli elicotteri gettati in mare per far posto a chi scappava. La bandiera a stelle e strisce ammainata.
E a sconfiggere quella che ci appariva come una “tigre di carta” non era una banda di esaltati integralisti imbottiti di anfetamine, ma “l’esercito popolare” guidato “dai comunisti di Ho Chi Minh”.
Molti di noi ci credettero.
Si, ci credevamo che “il popolo unito” avrebbe sconfitto l’imperialismo a stelle e strisce, l’unico che ci appariva tale, in una visione del mondo campista ante litteram.
Ci credevamo che “le guerre di liberazione nazionale” avrebbero aperto la strada alla costruzione del SOCIALISMO.
Che la “campagna avrebbe accerchiato (e soffocato) la città”.
Che “i popoli oppressi” avrebbero scelto la strada “obbligata” e “naturale” della rivoluzione sociale.
Bastava solo una piccola spinta e l’avvenire sarebbe stato indubbiamente radioso.
La lotta antimperialista era “di per se” lotta per il socialismo.
Dentro l’alleanza “democratica e popolare” fra la borghesia nazionale e tutte le altre classi non esisteva conflitto.
Non esisteva lotta di classe.
Coloro che non ci credevano se ne stavano chiusi nelle loro fortezze ideologiche “a difendere i principi” e attendere che le masse facessero le loro esperienze e imparassero a loro spese.
Quei pochi che ci provavano a andare contro la corrente dominante non avevano voce sufficiente per superare quella dei tromboni che imponevano il loro spartito con le buone o con le cattive.
E poi erano SEMPRE “traditori del popolo” e delle sue “genuine aspirazioni nazionali”.
Noi il deserto lo abbiamo attraversato da soli. Abbiamo imparato dai nostri errori.
E quegli errori ci ricordano quanto è stata lunga è difficile quella traversata.
E a quegli errori siamo affezionati perché senza quelli non saremmo stati quelli che siamo.
Sono passati 50 anni. A Saigon si preparano i festeggiamenti per ricordare la vittoria di un lontano aprile quando gli imperialisti si dimostrarono delle “tigri di carta”…
… Poi mi capita di leggere un paio di dati sull’economia del Vietnam ormai stato sovrano, non più sotto il giogo dell’occupazione militare statunitense.
Oggi gli Usa rappresentano il secondo partner commerciale, dopo la Cina, del “Vietnam socialista”.
Il suo principale mercato estero che assorbe quasi il 30% delle sue esportazioni.
Qualche dazio e qualche sanzione ben assestata e l’economia del paese va a rotoli.
Un funzionario doganale può fare più danni di quanti ne fecero le portaerei yankee.
Un freddo dato statistico e tutta la costruzione teorica, e un pezzo della nostra vita politica, va al macero.
E allora penso alle tante volte che siamo scesi in piazza con le bandiere del Vietnam, alle manganellate, alle notti in questura.
Alla nave americana assediata nel porto di Palermo, ai gradini del cinema dove davano i “Berretti verdi”.
Alla mia prima manifestazione “politica” in 7 davanti la Standa.
A Jeffrey Miller, giovane dimostrante americano ammazzato durante una manifestazione contro la guerra, e a Mary Vecchio la sua ragazza di 14 anni accanto al suo corpo sul selciato.
E ai tanti di cui si è persa la memoria perché chi li fotografò non vinse un premio Pulitzer.
E poi ai giovani che oggi generosamente scendono in piazza al grido di “Palestina libera”.
Anche a quei compagni e a quelle compagne che su questa pagina mi hanno accusato delle peggiori infamie e dei peggiori tradimenti.
E ai cattivi maestri che hanno segnato la mia gioventù.
Gli stessi di oggi.
Col loro armamentario di analisi e di citazioni che erano già vecchie 50 anni fa.
Le lotte nazionali hanno prodotto il capitalismo e non certo il socialismo.
Dappertutto.
La borghesia, qualsiasi colore assume, è tale solo in quanto si adegua alle leggi del mercato. Ne è l’interprete più conseguente.
Vive del capitale e non del lavoro ed è alle sue leggi che obbedisce.
L’imperialismo sconfitto militarmente ha mille modi per riprendersi la scena e ritornare ad riconquistare il suo ruolo dominante. A fare profitti e a governare la vita dei proletari.
E io, io ho imparato che individuare il nemico che marcia alla tua testa è la cosa più difficile da fare.
A volte ci impieghi una intera vita.
E quando ci riesci spesso non hai più la forza per combatterlo.
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