Riprendiamo qui due recenti interventi di Pina Fioretti, infaticabile attivista della causa palestinese: l’uno per Cultura è Libertà, l’altro per Pagine esteri, che mostrano alcuni aspetti poco noti della straordinaria capacità di resistenza del popolo palestinese, e non tacciono la terribile difficoltà di far pervenire aiuti a Gaza. Di Pina Fioretti apprezziamo anche, molto, la messa in guardia da forme di “solidarietà” con Gaza, in campo culturale, intrise di logiche orientaliste. (Red.)
Sumud è una parola araba molto usata in Palestina. Può essere tradotta con perseveranza, tenacia, o c’è chi suggerisce “resilienza”. Una parola che a me non convince; userei sumud, spiegando che anche questa è una forma di resistenza. Ma leggete l’articolo di Pina Fioretti per saperne di più…. (A.Me)
Haneen Koraz è un’animatrice digitale, formatrice ed educatrice di Gaza. Già nel 2021, in un articolo
apparso su Qanat Al ‘Alam, si parlava del suo progetto di formazione di animazione digitale destinato a un gruppo di giovani donne di Gaza con disabilità uditive. Il progetto mirava a far acquisire competenze
grafiche e digitali per permettere alle corsiste di poter lavorare. Al tempo stesso la creatività che veniva
sollecitata durante la formazione, diventava un mezzo per far ascoltare le voci di donne. Sotto la guida di Haneen le ragazze riuscirono a realizzare due cortometraggi tra il 2020 e il 2021: uno sul linguaggio dei segni e l’altro in difesa del loro diritto al lavoro a Gaza, dove il tasso di disoccupazione nella Striscia
raggiungeva il 49%. Le corsiste sostenevano che l’obiettivo della realizzazione dei loro cortometraggi fosse quello di ispirare le persone con problemi di udito a raggiungere i propri obiettivi, superando sia gli ostacoli quotidiani causati dall’embargo e dall’occupazione israeliana, sia quelli determinati dalla disabilità.
Dall’ inizio dell’attacco genocida di Israele su Gaza, Haneen Koraz, come molti artisti della Striscia, dopo un primo momento di smarrimento, ha ricominciato a produrre arte e a renderla un mezzo per resistere e ritrovare speranza.
Mentre scrivo di Haneen, mi vengono in mente le parole di un’altra giovane artista digitale di Gaza uccisa dalle bombe israeliane lo scorso 18 ottobre, Mahaseen Al Khatib, che sui suoi canali
social aveva scritto: “In questa situazione difficile, resto un’artista digitale e trovo conforto e resilienza nella mia arte…pixel e colori”.
Sulla sua pagina fb, nel marzo scorso Haneen ha scritto: “Non so se sopravviverò o no..! Ma quello che so è che cercherò di recuperare la mia passione e l’arte. La guerra, la paura del buio non mi fermeranno”.
Haneen Koraz è a Gaza, dove tutte le infrastrutture sono state bombardate con armi di distruzione
tecnologicamente avanzate che prima di sorvolare il cielo della Striscia vengono prodotte e transitano
anche in territorio italiano ed europeo rendendoci di fatto complici di questo genocidio. Sotto le bombe
sono morti quasi 200mila palestinesi (se si considera il numero delle vittime rimaste sepolte sotto gli edifici bomardati) e qualche giorno fa, Joseph Borrell, capo della diplomazia dell’Unione Europea, arrivando al vertice dei ministri degli Affari Esteri a Bruxelles, aveva dichiarato: “Non ci sono più parole per definire quello che sta accadendo a Gaza, le ho finite. Il 70% dei morti a Gaza sono donne o bambini, l’età più comune delle vittime sono bambini sotto i 9 anni”. Proprio ai bambini e alle donne che cercano di sopravvivere a Gaza, sfollati di aree del nord e del sud della Striscia, Haneen Koraz e il suo staff offrono laboratori di drammaturgia, animazione, narrazione e spettacoli dal vivo. Un lavoro incredibile di creatività e determianzione, portato avanti con competenze professionali tali da produrre cortometraggi animati degni di essere presentati a festival internazionali. Tutto questo lavoro per portare sorrisi tra i bambini di Gaza, per coltivare il sumud palestinese, la miglior risposta ai piani di pilizia etnica di Israele.
Insieme ad altri giovani artistii, Haneen Koraz coinvolge i bambini e le donne nella produzione di corti
animati impiegando metodologie didattiche diverse, dal cooperative learning allo storytelling, dal focus
group al laboratorio teatrale e tutto questo accade in un luogo in cui le scuole sono state completamente rase al suolo.
I soggetti delle narrazioni teatrali e dei workshop che diventano cortometraggi sono personaggi reali, sono gli stessi palestinesi di Gaza con le loro storie di quotidiana sopravvivenza. Ma sbagliate se pensate a storie drammatiche e tristi. Perché l’ironia, la voglia di strappare un sorriso propria dei bambini è coinvolgente e assecondarla diventa uno straordinario esercizio collettivo di forza, determinazione e speranza. Un esercizio di applicazione della resilienza a dispetto della morte che piove dal cielo. Sono nate così tante storie, alcune raccolte nel progetto “Wide Eyes” in collaborazione con l’artista Karim Stom e una di queste storie racconta di una giovane ragazza, sfollata dal nord di Gaza che trasporta il suo gatto nello zaino al posto del suo materiale scolastico.
Un corto decisamente comico è quello che racconta del problema dei ratti nelle tende e di come le famiglie si organizzano per risolvere il problema. Coordiantrici di questo progetto sono Hadeel e Suhair sotto la supervisione di Haneen Koraz.
Il momento più coinvolgente, nella produzione dei corti, è quello che vede bambini e ragazzi di Gaza
impegnati nelle registrazioni vocali dei personaggi che disegnano.
In questo lavoro immenso per ricchezza di contenuti e per il numero di donne e bambini che coinvolgono, Haneen Koraz collabora costantemente con altre due artiste: Shuruq Darwish e Nour Abdel Jawab. I loro workshop forniscono una dimensione creativa unica per esprimere esperienze ed emozioni, in questo modo bambini e ragazzi vengono incoraggiati a parlare, a sfogarsi su questioni difficili da affrontare, come possono essere i traumi bellici.
Come docente sono felice di condividere in questo articolo l’esperienza didattica ed educativa di Haneen Koraz. I suoi cortometraggi realizzati con i disegni e le voci di bambini/e e ragazzi/e di Gaza possono rappresentare una risorsa per trattare a scuola il tema della pace in assenza di pace.
Il maestro Franco Lorenzoni, nel suo “I bambini ci guardano” -Sellerio Editore, scrive:”Discutendo con tante amiche e amici che insegnano, so quanto sia difficile dare vita in questo tempo a piccole comunità capaci di ascolto reciproco. Eppure siamo chiamati a farlo. Siamo chiamati ogni giorno a costruire nelle nostre classi frammenti di partecipazione attiva e di democrazia, in una società che sembra sempre più incapace di appassionarsi alla discussione, al confronto ragionato e all’approfondimento serio dei problemi. La scuola deve essere un po’ meglio della società che la circonda, se no cosa ci sta a fare?”
A queste parole ho pensato quando ho scoperto il lavoro che Haneen Koraz sta svolgendo tra i bambini e gli adolescenti di Gaza che non hanno più scuole da frequentare. Ho pensato che i suoi cortometraggi
dovrebbero essere utilizzati dai docenti per lavorare con le classi sui diritti umani. Senza incorrere in
censure perché l’insegnameno non è solo un dovere ma anche un diritto sancito nella sua autonomia dalla nostra Costituzione.
Intanto i due cortometraggi “A day in tent” e “Grandmother wore us out” sono stati scelti per inaugurare
l’ottava rassegna cinematografica “Cinema senza Diritti” che si è tenuta a Venezia tra ottobre e novembre.

“A day in tent” (Una giornata in tenda) è stato realizzato durante i primi mesi di bombardamenti da 19 bambini sfollati da Gaza City e ospitati in una tendopoli eretta nel campo sportivo di Deir Al Balah. Sono stati sollecitati a raccontare la loro esperienza quotidiana di sfollati e il focus group li ha uniti e incoraggiati a esprimere le loro emozioni. Il bisogno di raccontarsi e costruire una narrazione collettiva è stato concretizzato attraverso uno storyboard fino alla produzione di personaggi a cui gli stessi bambini hanno dato la loro voce.
Il secondo corto “Grandmother wore us out” (Nonna ci ha sfiniti), ironizzando sul ruolo della nonna, mostra quanto sia difficile vivere senz’acqua, in situazione estremamente precarie.
Il lavoro di Haneen Koraz mette in evidenza le competenze di didattica digitale adottate a Gaza da molte insegnanti, artiste ed educatrici. Una realtà che è ignorata da molti white saviors impegnati a dare del sistema scolasico palestinese un’immagine ancora legata alla narrazione neocon. Persino nella tenda, dove il popolo palestinese è stato confinato da 76 anni, non si leggono raccontini, si creano lezioni di sumud per il mondo.
Per aiutare Haneen e i suoi studenti possiamo aderire a questa raccolta fondi:
https://www.gofundme.com/f/help-haneen-koraz-empower-voices-through-
art?attribution_id=sl:7c48cd74-d034-4ab2-88e1-
dcb39f3a0adc&utm_campaign=man_sharesheet_dash_ai&utm_content=amp1v1&utm_mediu
m=customer&utm_source=copy_link
E, rivolgendomi a docenti, soprattutto potremmo utilizzare questi brevi film animati a scuola.
GAZA. La Stampa cieca: una mostra artistica sulle mura dell’ospedale di Nuseirat
Pagine Esteri, 18 dicembre 2024. Meno di un mese fa si è conclusa a Venezia la mostra “Foreigners In Their Homeland”, proposta dal Palestine Museum US, una collettiva di 26 artisti tra i quali Mohammad Alhaj e Maisara Barud, entrambi di Gaza, che hanno partecipato con opere realizzate nella Striscia nel periodo compreso tra il novembre 2023 e il marzo 2024, praticamente sotto i bombardamenti. I due artisti sono di Gaza City e con le loro famiglie sono sfollati in altre zone. I disegni che hanno elaborato e che sono stati esposti a Venezia descrivono l’esodo forzato, lo sfollamento, la violenza dei bombardamenti, la condizione di nuovi profughi.
Di recente, Tommaso Montanari ha citato Mohammed Alhaj nel suo bellissimo e coraggioso articolo: “Muhammad e la Biennale degli internati di Gaza”. Il Rettore dell’Università per Stranieri di Siena mesi fa aveva formalmente invitato l’artista e la studentessa Aya Ashour che purtroppo restano segregati a Gaza come la maggior parte della popolazione superstite che sta cercando di sopravvivere ai violenti bombardamenti israeliani.

La mostra curata da Mohammed Alhaj sulle mura dell’ospedale di Nuseirat, a Gaza
In questi mesi sono rimasta in costante contatto con Alhaj che mi ha messo al corrente dei suoi spostamenti mentre cercava di rifugiarsi con la famiglia in luoghi più sicuri. Ho assistito impotente al suo smarrimento, alle sue paure e angosce. Chiunque abbia amici e contatti nella Striscia ha fatto la medesima esperienza.
All’inizio dell’attacco israeliano, Mohammad ha iniziato a registrare sulle sue pagine social le perdite dei suoi colleghi e colleghe, postando con dolore e rabbia le opere e i nomi di artiste e artisti uccisi dalle bombe. Successivamente, con fatica e anche con scetticismo, ha ricominciato a disegnare utilizzando il poco materiale a disposizione. Ciò che lo scoraggiava era l’atteggiamento della stampa e della politica mondiale che guardano indifferenti al genocidio che a Gaza stanno subendo. Qualche mese fa, durante una chiamata su whatsapp, mi ha chiesto se fosse possibile far entrare a Gaza materiale e strumenti per disegnare e dipingere. Ha precisato che era ben consapevole che ciò di cui tutti a Gaza hanno bisogno è il cibo e i medicinali e che si sentiva anche in imbarazzo nel fare quella richiesta: “Ma se noi artisti che stiamo sopravvivendo non ricominciamo a dipingere e a lavorare è come se ci fossimo già arresi, è come vederci già morti, sarebbe come consegnarci a chi sta decretando il nostro destino… in altre parole vogliamo resistere”.
Come si fa a far arrivare nell’inferno di Gaza colori e pennelli, tele e acrilici? Ho già i miei dubbi su come e cosa veramente entri a Gaza di tutti gli aiuti che stanno raccogliendo da più parti e di come e da chi questi vengano gestiti. Non me la sono sentita di dare seguito alla proposta di alcuni artisti italiani, ai quali avevo parlato della richiesta di Mohammed, che volevano lanciare una raccolta materiale. Troppe incertezze sull’esito, cioè sul far arrivare veramente l materiale a Gaza. Ho risentito Mohammed pochi giorni dopo confessando tutto il mio/nostro fallimento e gli ho riferito che era impossibile.

La mostra curata da Mohammed Alhaj sulle mura dell’ospedale di Nuseirat, a Gaza
Ma Gaza ha “la sua pellaccia dura, agisce di spontanea volontà”, come scrive Mahmoud Darwish e come stanno dimostrando i palestinesi a Gaza. Resistono, con determinazione!
Così fa Mohammed Alhaj che invece ha deciso di lanciare un progetto, una serie di workshop coinvolgendo altri artisti fino a realizzare una mostra dal titolo “La Stampa Cieca: quadri che raccontano storie di resistenza a Gaza”. Il progetto rappresenta la conclusione del laboratorio artistico che ha coinvolto un ampio gruppo di studenti delle Belle Arti e giovani artisti nei loro diversi e attuali luoghi di sfollamento (Al-Nuseirat, Deir al-Balah e le zone costiere di Khan Younis), con il supporto del “Centro Abdel Mohsen Qattan”.
Domenica 16 dicembre la mostra è stata così inaugurata sui muri esterni dell’ospedale Al-Awda, nel nord del campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza. Una mostra di opere ispirate dal dolore palestinese che si trasforma in un messaggio di speranza che attraversa i confini. Mohammed ha condiviso le foto dell’inaugurazione, mi ha inviato i video dei workshop realizzati letteralmente tra le macerie.
L’arte racconta storie di resilienza e resistenza e questa mostra parla di storie di lotta quotidiana, di sogni dei bambini di Gaza che si rifiutano di spezzarsi. Alhaj ha descritto la tecnica eseguita basata sul disegno di linee e forme attraverso l’uso di strumenti simili a quelli della scultura su carta (tecnica di embossing) che produce un effetto tridimensionale. Il concetto alla base di “Stampa cieca” è l’oscurità della scena politica che vive la popolazione di Gaza da oltre un anno e che spera di rivedere la luce alla fine di questa terrificante aggressione militare. L’artista ha sottolineato che anche le opere affrontano le quotidianità vissute dai profughi palestinesi durante la guerra, rimangono cioè velate dalla nebulosità del contesto che li circonda. Si tratta di una metafora potente: per ammirare questi lavori artistici bisogna avvicinarsi molto. Ha evidenziato la necessità di accostarsi e osservare la scena da una distanza ravvicinata per comprendere il loro messaggio artistico, poiché vederlo da lontano fa perdere tutti i dettagli, proprio come accade nella situazione di Gaza, dove il mondo intero osserva da lontano senza cogliere i dettagli degli eventi in modo adeguato.

La mostra curata da Mohammed Alhaj sulle mura dell’ospedale di Nuseirat, a Gaza
Una delle artiste partecipanti è la giovane Widad Al-Kahlout che ha risposto all’annuncio di Alhaj e che ha dichiarato: “Questa opportunità è stata fantastica poiché noi artisti a Gaza siamo stati privati dello spazio artistico, siamo stati colpiti e penalizzati in tutti gli aspetti della nostra vita. Cerco di partecipare a qualsiasi progetto che supporti l’arte e gli artisti, e che mi dia lo spazio per esprimere me stessa attraverso la mia arte. La mostra Stampa cieca indica come sfruttare gli strumenti a nostra disposizione in un contesto di guerra, un contesto in cui molti materiali artistici necessari per la creatività e la realizzazione di opere non sono più reperibili ma è soprattutto il modo per dimostrare che la bellezza può emergere anche da profondo dolore”.

La mostra curata da Mohammed Alhaj sulle mura dell’ospedale di Nuseirat, a Gaza
L’artista Haitham Zaarab ha collaborato al workshop tenutosi a Khan Younis e per lui questo progetto “Vuole dimostrare al mondo che la creatività palestinese è più forte di ogni barriera e che Gaza continua a creare nonostante il dolore. Ancora una volta, il popolo palestinese dimostra di saper trasformare la sofferenza in una fonte di ispirazione e creatività, riflettendo la loro resilienza di fronte alle sfide”.
E mentre in Italia si spera che qualche grande museo possa raccogliere l’invito di Monatanari, ospitare cioè le opere degli artisti di Gaza, noi intanto ne ammiriamo alcune sulle pareti di un ospedale, luogo di sofferenza e dolore, che grazie a questo progetto artistico, almeno per qualche giorno, diventa spazio di creatività e vita.
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