di Gianni Sartori

L’ultima, per ora, terribile notizia diffusa direttamente dal SOHR (sigla in inglese dell’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo) martedì mattina 10 dicembre.

Miliziani che partecipano all’operazione (a supervisione turca) denominata “Alba di Libertà”, hanno assassinato decine di combattenti feriti del Consiglio militare di Manbij (CMM, alleato dei curdi) ricoverati nell’ospedale militare a nord della città. Ospedale che era stato posto sotto assedio impedendo l’evacuazione dei feriti. I video del massacro, girati dagli stessi jihadisi filo-turchi, sono stati poi diffusi, sfrontatamente, sulle loro reti sociali. Si tratterebbe sia di membri del cosiddetto Esercito Libero Siriano, sia di miliziani che sulle divise ostentavano simboli dell’Isis (senza che questo ne escluda l’appartenenza all’ANS).

A chi conserva un po’ di memoria storica viene in mente (oltre ai palestinesi tirati fuori dalle ambulanze e assassinati dai falangisti a Tell al-Zaʿtar nell’agosto 1976), l’analogo episodio che vide i combattenti curdi feriti massacrati nell’infermeria di un campo profughi (forse Atrush ?) dalle milizie turcomanne filoturche alla fine degli anni novanta. Evidentemente la Storia si ripete, da tragedia in tragedia.

Da segnalare che le insegne dell’Isis sono state documentate anche sulle divise di miliziani filo-turchi lungo la strada tra Arima e Manbij

Inoltre il canale di propaganda Habertürk ha trasmesso programmi in cui sulle immagini di miliziani che ostentavano divise con emblemi dell’Isis, appariva in sovraimpressione la scritta “L’esercito Nazionale Siriano ha completato l’operazione Manbij”.

Sempre secondo il SOHR, i miliziani filo-turchi si sono abbandonati al saccheggio e all’incendio delle abitazioni curde (sono circa 300mila le famiglie curde a Manbij). Inoltre hanno assassinato alcuni abitanti della città in base all’origine etnica.

Insomma, una preoccupante escalation, sia di combattimenti sul terreno che di attacchi aerei a cui l’opinione pubblica internazionale (penso ai movimenti, alla sinistra o a quello che ne rimane) dovrebbe reagire con la mobilitazione. Per prevenire quella che a tutti gli effetti si preannuncia come un’altra Gaza, con i curdi e le altre popolazioni minorizzate del Nord e dell’Est della Siria destinati alla medesima sorte (genocidio, pulizia etnica…) dei palestinesi. O qualche “campista” pensa ancora che Recep Tayyip Erdoğan sia meno feroce di Benjamin -Bibi – Netanyahu?

Nel frattempo (ma qui le versioni divergono) a Manbij i combattimenti tra MMC e ANS– se pur intermittenti – sarebbero ancora in corso, strada per strada (anche se ormai forse si tratta di sacche di resistenza).

In sintesi, le gang dell’Isis che le YPG avevano espulso dalla città nel 2016, vi hanno fatto ritorno sotto la copertura dell’Esercito Nazionale Siriano agli ordini di ufficiali turchi.

Nella zona di Kobanê (Aïn al-Arab) esercito turco e mercenari, dopo aver bombardato il ponte di Qaraquzak, hanno colpito anche la città di Sheyoukh e il villaggio di Zumgar.

Non ci sono al momento dati attendibili sulle inevitabili perdite umane, mentre è stato accertato che almeno dieci persone (in fuga verso l’Eufrate) hanno perso la vita nel bombardamento del villaggio di Zarfan.

E proprio sull’Eufrate sono in corso combattimenti che potrebbero risultare decisivi.

I mercenari jihadisti (ANS e altre fazioni) hanno attaccato la diga di Tishrin scontrandosi con le Forze Democratiche Siriane. Molti jihadisti hanno perso la vita e anche alcuni veicoli blindati dei filo-turchi sono stati distrutti dalle FDS.

Costruita lungo il corso dell’Eufrate negli anni novanta, la diga è alta 40 metri, con sei turbine idrauliche.

Oltre che la maggior via di rifornimento per Manbij, rappresenta uno dei principali punti di passaggio sul fiume. Praticamente un potenziale “trampolino” verso il nord-est della Siria da cui l’ANS potrebbe puntare direttamente su Kobanê.

Sulla tragedia incombente è intervenuto Il Presidente dell’Unione Patriottica Curda, Bafel Jalal Talabani. Dichiarando di “rispettare la volontà del popolo siriano e le decisioni che vorrà prendere per il futuro” , ma anche ricordando l’importanza del “rispetto e dei diritti dei curdi siriani”. Per riaffermare “l’incrollabile sostegno ai nostri fratelli e sorelle del Rojava”.

Un piccolo gesto poco più che simbolico (penso che nel Rojava ci si aspettasse di più). Sempre meglio comunque del comportamento degli esponenti del Partito Democratico Curdo (il clan Barzani) che coltivano le loro buone relazioni con Erdogan, nonostante abbia invaso parte del Bashur (il Kurdistan entro i confini iracheni governato dal PDK).

Gianni Sartori


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