di Gianni Sartori
In Siria, mentre i russi bombardano le milizie jihadiste di al-Nuṣra, gli USA quelle sciite a Deir ez-Zor e altre in arrivo dall’Iraq, Israele colpisce Hezbollah… la Turchia, ovviamente, non smette di bombardare le SDF e le YPG. Senza trascurare nel frattempo di reprimere a Istanbul le manifestazioni in sostegno del Rojava.
Il blocco di tagliagole (altro che “ribelli” come si ostinano a definirli i media) denominato Hayat Tahrir al-Sham (HTS) è sorto nel 2017 dal riciclo di Jabhat Fattah al-Sham, a sua volta derivato direttamente dal Fronte al-Nusra (ossia da al-Qaeda) e costituisce un’eterogenea coalizione composta da jihadisti, Fratelli musulmani e altre formazioni minori (tra cui il Fronte Ansar al-Din, Liwa al-Haqq, Jaysh al-Sunna e il Movimento Nour ad-Din al-Zenky).
Di sicuro non ha tutti i torti Basar al-Assad quando denuncia l’intervento di potenze straniere nell’evidente “tentativo di ridisegnare la mappa della regione”. Forze che avrebbero (hanno) fornito addestramento e supporto tecnologico alle milizie jihadiste così da garantirne l’efficienza e la rapidità nell’offensiva in atto.
Apprendisti stregoni che forse non sanno (o magari lo sanno benissmo e se ne fregano) a cosa potrebbe andare incontro la Siria in caso di vittoria delle milizie jihadiste fautrici del Califfato.
Mentre HTS prosegue l’avanzata verso Hama, l’altro blocco costituito dall’Esercito Nazionale Siriano (ANS, da non confondere con il governativo Esercito Arabo Siriano – SAA), con il sostegno dell’artiglieria turca, bersaglia le SDF e le YPG (Yekîneyên Parastina Gel).
Al momento sarebbe sorto anche qualche contenzioso tra i due gruppi proxy di Ankara.
Mentre HTS intendeva rimettere in funzione la centrale elettrica di Aleppo (con un atteggiamento, diciamo così, più “sociale”), l’ANS prosegue nella sua attività preferita: saccheggiare e portar via tutto il possibile.
Al momento l’ANS si starebbe concentrando nella regione di Manbij scontrandosi appunto con gruppi dell’SDF (sigla che oltre ai curdi raccoglie diversi gruppi di combattenti, tra cui i siriaco-cristiani). Oltre ad assediare i quartieri curdi di Aleppo.
A migliaia gli sfollati dalle zone di Sheba/Tall Rifaat tentano di raggiungere le regioni del Rojava attraverso un precario corridoio umanitario e nel freddo intenso.
Quanto alle SDF, avrebbero anche preso il controllo dell’ultima postazione tenuta in precedenza dall’esercito governativo a est dell’Eufrate, una fascia intorno a Deir ez-Zor in cui sorgono una mezza dozzina di insediamenti.
Ormai si contano a decine sia le vittime “morte ammazzate” che i feriti (la maggior parte gravemente). Ma aumentano anche i problemi sanitari, soprattutto tra le migliaia di sfollati, dovuti al freddo intenso, alla fame e mancanza di acqua potabile.
Come spiegava in un comunicato il Consiglio di Salute del Nord e dell’est della Siria. Chiedendo “solidarietà di fronte all’aumento della crisi umanitaria nelle regioni dell’Amministrazione Autonoma” e invitando tutte le istituzioni sanitarie e contribuire “in coerenza con i nostri valori morali e il senso di responsabilità umanitaria”.
Questo per quanto riguarda il quadro provvisorio curdo-siriano in data 3 dicembre.
Nel frattempo in Turchia, a Istanbul, veniva repressa una protesta per l’attacco portato dalle milizie jihadiste contro i curdi del Rojava. La manifestazione era indetta da organizzazioni della società civile (sindacati, pacifisti, democratici, esponenti del Partito dell’Uguaglianza e la Democrazia dei Popoli…) che si erano riunite a Şişhane (un quartiere del distretto di Beyoğlu). La dura reazione delle forze dell’ordine era scattata quando i presenti avevano scandito lo slogan ”Bijî berxwedana Rojava” (Viva la resistenza del Rojava). Le persone arrestate sarebbero più di una cinquantina.
Gianni Sartori
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