Ricordare le stragi fasciste all’ombra del governo Meloni
di Fabrizio Burattini
Il contesto di un governo a guida postfascista non è certo il migliore per ricordare quel che avvenne esattamente 50 anni fa a Brescia, a piazza della Loggia, dove una bomba neofascista esplose nel bel mezzo di una manifestazione sindacale uccidendo otto lavoratrici e lavoratori.
Quella strage si collocò in un momento estremamente difficile e complesso. La recentissima tragica conclusione, nel settembre dell’anno precedente, dell’esperienza cilena aveva spinto tante e tanti giovani militanti ad accantonare l’ottimismo e l’entusiasmo rivoluzionari che li avevano animati nel corso degli anni precedenti. Non si trattava ancora del “riflusso” che si manifestò solo qualche anno dopo, ma è certo che la sinistra era impegnata in una situazione di ripensamento.
La direzione del PCI aveva saputo capitalizzare sul piano elettorale l’ascesa sociale ma, nel solco della politica del cosiddetto “arco costituzionale”, la stava indirizzando verso una prospettiva di “unità nazionale”. Il suo leader, ancora oggi tanto osannato, Enrico Berlinguer aveva elaborato, sull’onda del sanguinoso fallimento dell’esperienza dell’Unidad Popular di Salvador Allende, il progetto del “compromesso storico”.
La vicenda cilena era stata il primo significativo contraccolpo reazionario in risposta all’ondata democratica e sociale della fine degli anni Sessanta. La vittoria di Pinochet aveva rincuorato i reazionari di tutto il mondo e anche in Italia i primi mesi del 1974 erano stati contrassegnati da numerosi episodi di violenza fascista, che avevo ricordato anche con un articolo pubblicato (su anticapitalista.org) in occasione del 46° anniversario della strage di Brescia.
In quei mesi si svolgeva la campagna per il referendum popolare volto all’abrogazione del divorzio, di fronte al quale il paese si era diviso verticalmente tra reazionari e progressisti, con da un lato l’esplicita alleanza “antidivorzista” tra la DC di Amintore Fanfani e il Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante (nella cui orbita si muoveva una costellazione di gruppuscoli apertamente neofascisti) e dall’altro il variegato schieramento che andava dai partiti laici liberali alla sinistra extraparlamentare.
I risultati del referendum del 12 maggio (con la vittoria del No all’abrogazione con il 59,26% dei voti, a fronte di una partecipazione di oltre l’87% degli elettori) sconfessarono sonoramente la demagogia secondo cui nel paese ci sarebbe stata una “maggioranza silenziosa” contraria alla trasformazione civile, democratica e sociale per la quale si stavano battendo ampi movimenti di massa, i movimenti che avevano o avrebbero negli anni successivi imposto, oltre al divorzio, lo Statuto dei lavoratori, le nuove norme sulle pensioni, la fine delle gabbie salariali, una più efficace scala mobile delle retribuzioni, le 150 ore per la formazione, il nuovo diritto di famiglia, l’abolizione della censura, il diritto di aborto, l’eliminazione del “delitto d’onore”, la riforma sanitaria, ecc.
Ma naturalmente non fu una sconfitta elettorale a tacitare e paralizzare l’azione dei reazionari. E’ in questo contesto che scoppiò la bomba a piazza della Loggia.
I neofascisti erano in azione fin dal dopoguerra ed era evidente la loro diffusa presenza in alcuni corpi dello stato, in particolare in alcuni corpi repressivi: nei carabinieri, il cui comandante generale Giovanni de Lorenzo fu il protagonista nel 1964 di un tentativo di colpo di stato, seguito dai falliti golpe del 1970 dell’ex repubblichino Junio Valerio Borghese, e del 1974 dell’organizzazione “Rosa dei venti”, collegata a numerosi ambienti delle Forze armate, e poi le trame di Gladio e della loggia segreta P2, tutte portate avanti con solidi appoggi negli apparati dello stato.
Negli anni Settanta, la voglia di rispondere all’ascesa democratica, politica e sociale del 1968-69 rianimò ulteriormente l’attivismo terroristico stragista dei neofascisti.
Le prime loro azioni furono iniziative terroristiche accompagnate da montature per incolparne la sinistra più estrema, in particolare gli anarchici: la bomba al padiglione Fiat alla Fiera di Milano dell’aprile 1969, la bomba alla Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana sempre a Milano (17 morti, il 12 dicembre 1969), quella sui binari in Calabria dove era in corso una rivolta guidata dall’estrema destra (6 morti nel luglio 1970), quella a Peteano contro i carabinieri (3 morti nel maggio 1972), quella lanciata da Gianfranco Bertoli alla questura di Milano (4 morti nel maggio 1973). In alcune di queste occasioni il tentativo di incriminare gli anarchici inizialmente ebbe successo, anche grazie alle connivenze degli apparati statali e alla copertura di gran parte dei mass media, sempre pronti ad indicare l’efferatezza del “mostro anarchico”, ma le macchinazioni vennero rapidamente sbugiardate dalle indagini dalle controinchieste militanti e della stessa magistratura che ne rivelarono la matrice neofascista e le complicità degli apparati “di sicurezza”.
Questa strategia terroristica (che venne definita la “strategia della tensione”) si perpetuò per oltre un altro decennio (agosto 1974, bomba sul treno Italicus, 12 morti; agosto 1980, bomba alla stazione di Bologna, 85 morti; dicembre 1984, bomba sul treno a San Benedetto Val di Sambro, 17 morti).
Questo solo per ricordare gli episodi più feroci e cruenti. Voglio qui ricordare anche l’incursione nel gennaio 1979 di Valerio Fioravanti alla guida di un manipolo dei “Nuclei armati rivoluzionari” nella sede di via dei Marsi, a Roma, condivisa tra i trotskisti romani dei GCR e la redazione di Radio Città Futura, che si concluse con tre compagne gravemente ferite a colpi di mitra, il corteo missino dell’aprile 1973 guidato dall’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa durante il quale fu lanciata una bomba che uccise un poliziotto, gli omicidi di Claudio Varalli e di Giannino Zibecchi a Milano nell’aprile 1975 da parte di militanti neofascisti, ecc.
Nel maggio 1974, a Brescia, i fascisti, con la loro bomba in piazza della Loggia, agirono direttamente ed esplicitamente contro il movimento sindacale e contro la sinistra, autoaccusandosi così esplicitamente del gesto sanguinoso.
La risposta di massa a quella strage fu grande. Molte sedi missine vennero devastate e chiuse dalle manifestazioni antifasciste (Milano, Roma, Napoli, Bologna, Genova, Bergamo, Perugia), ma gli apparati della Cgil e del PCI corsero ai ripari, tentando di isolare i settori più radicali e classiti dell’antifascismo, e colsero l’occasione per accelerare la loro iniziativa in direzione della costruzione di una “unità nazionale”, come ha ricordato dettagliatamente dieci anni fa Felice Mometti nel suo articolo in occasione del quarantennale, recentemente ripubblicato su bresciaanticapitalista.com.
Oggi, dopo i quasi 80 anni di plateale tradimento di tutte le promesse sociali, democratiche e progressiste della Costituzione repubblicana, dopo trent’anni di controrivoluzione neoliberale, dopo i ripetuti tentativi di “pacificazione nazionale”, dopo la distruzione di qualunque seppur contraddittoria forma di partecipazione popolare alla politica, dopo decenni di passività sindacale e di accettazione tacita o esplicita di tutte le peggiori controriforme, di smantellamento di tutte le conquiste imposte dai movimenti di massa, di acquiescenza nei confronti della devastante frammentazione sociale, la cultura antifascista rischia di ridursi ad un residuato storico, tanto che una larga parte dell’elettorato, perlomeno di chi si è voluto esprimere con il voto, ha espresso la propria preferenza per gli eredi diretti del fascismo. D’altra parte la legittimazione dei (post?)fascisti come forza di governo è stata imposta fin dal 1993-94 da Silvio Berlusconi, fino a trasformarli nel primo partito del paese.
Le responsabilità di quella che fu la sinistra italiana le abbiamo segnalate e illustrate a più riprese e non finiremo mai di ridenunciarle. Le pessime esperienze dei governi di centrosinistra e di quelli tecnici di questi ultimi anni hanno finito l’opera, vanificando, nell’occasione delle elezioni del 25 settembre 2022, anche gli inutili appelli al “voto antifascista” di Enrico Letta e del suo PD.
Oggi, la presidente del consiglio Giorgia Meloni, a chi le chiede notizie sul suo “antifascismo”, si trincera descrivendo l’antifascismo degli anni Settanta come responsabile della morte di alcuni neofascisti (Primavalle, Acca Larentia, ecc.) ma rimuove (con la complicità di un sistema informativo che asseconda questa comoda rimozione) il dato di fatto che quell’antifascismo fu la risposta alla sanguinaria aggressione dei gruppi neofascisti contro il movimento democratico e progressista degli anni Settanta.
L’antifascismo militante degli anni Sessanta e Settanta non fu una partita gladiatoria tra due fazioni contrapposte: fu sempre la risposta alle azioni criminali dei neofascisti, con un’ispirazione antifascista di massa che il movimento operaio e giovanile aveva non solo come orientamento politico, culturale e ideale, ma che aveva preso le mosse da atti criminali dei missini e degli altri gruppi neofascisti, come l’uccisione a Roma nell’aprile 1966 dello studente Paolo Rossi sulla scalinata della facoltà di Legge della Sapienza appunto ad opera di militanti del MSI.
In questo nuovo e inquietante contesto, la cultura e la mobilitazione antifasciste sono completamente da ricostruire e a questo scopo poco servono le rievocazioni resistenziali, se non si discostano da una sempre più vuota “unità antifascista” e se non acquistano un serio carattere di classe.
- Leggi qui la cronaca di quanto avvenne quel giorno a Brescia pubblicata il giorno successivo dal quotidiano “Lotta continua”
A chi puo’interessare oggi la figura di G. Franco Bertoli……nel campo della galassia marxista??…. ma per chi fosse interessato veramente c’è sufficiente materiale al riguardo…….
E sopratutto oggi,dopo 50 anni le cose per i compagni che non si affidano alle veline di stato o giornalistiche, più o meno di potere…
La chiarezza e stata fatta ormai da circa trent’anni….(almeno fra molti libertari).
G. Bertoli nel suo, (seppur tragico atto), agi’ solo, senza collegamenti segreti – fascisti…..si prese la sua responsabilita individuale” da Anarchico ‘”individualista’ e pago con l’ergastolo nelle carceri italiane, non semi libero in sudamerica…..(.sotto copertura)….
Anche da compagni anarchici, inizialmente, fu sospettato e condannato, successivamente poi riabilitato, infine da molti, sepolto….
Il suo caso, seppur immerso in quegl’ anni bui, resta fuori dalle classiche trame servizio stato fasciste, che ‘quasi’ tutti sappiamo…..
Per un po’ di….. verita’ rivoluzionaria’…..buona ricerca….
Salud.
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Nel senso che non era legato al gruppo veneto di Ordine Nuovo? Che non frequentava la trattoria Allo Scalinetto di Venezia con Carlo Maria Maggi, Carlo Digilio e Marcello Soffiati? Che non era un informatore del SID? Illuminaci.
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Illuminati da te….compagno…
Nessuno lo farà altrimenti.
Tantomeno gli identikit questurini
Delle polizie politiche….. bianche,
nere e pure rosse, di ieri di oggi e
di domani.
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E anche stavolta nessuna “verità rivoluzionaria” come annunciato . Solo chiacchiere confuse.
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Se ha difficoltà a reperire qualche testo durante la ricerca, mi faccia sapere….
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Ecco vorrei dei testi e delle fonti
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Pronti…. Sono da lei, le agevolo la ricerca…..
questi penso siano ancora reperibili…..
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Non esiti a ricontattarmi…..
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Ma dai sei imbarazzante. Citi la paccottiglia scritta da Bertoli stesso che è stata smentita da
Saverio Ferrari in ” Le stragi di stato”
Aldo Giannulli ” La strategia della tensione”
Stefania Limiti “L’estate del golpe”
Ritenta sarai (forse ma non credo) più fortunato.
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…. Contro l’ignoranza controrivoluzionaria…..
Il compagno sentenza senza consulto, tipo Stalin….non solo….
Il primo libro non è scritto da Bertoli…..
Il secondo è un volume di 500 pagine…. Di corrispondenza carceraria con bonanno….
Bertoli scrisse su diverse riviste di aria libertaria…soppr. A rivista di Milano..
Suoi articoli furono poi raccolti
In un volume dal titolo:
‘Dalle profondita’ dell’ergastolo
edizioni senza patria.
Quest’altra info non è rivolta a lei che di G. Bertoli, oltre a non saper niente, non interessa neppure…figuriamoci poi di un Anarchico ladruncolo alcolizzato pure un po’ tossico… Penso che i servizi ‘deviati’ cercassero di meglio…
A 16 anni iscritto alla figc.giovani comunisti, più avanti si scrisse al partito comunista uscendo e nel 52.poi Anarchico….. Mai fascista.. come il ministero degli affari interni lo dipinse dopo il suo atto… E il gioco funziono maledettamente…tanto che per anni influenzo’ anche gli anarchici stessi…
A. Giannuli sicuramente molto più ‘competente del sottoscritto, forse anche di lei.., nel suo libro ‘Storia della strage di stato’, che ho letto e rivisto…
G. Franco Bertoli non lo cita neppure, neppure lo citano i camerati durante i loro processi….sempre nel libro….
Ma cosa importa…volevo solo portare qui qualche lumicino… Che fm spegne, (questi maledetti anarchici….., abbattiamoli come quaglie)…
Stia tranquillo fm, che(sembra un nome in codice della gpu russa) non ci riprovo, neanche se fosse la bella donzella d’orleans….
Le lascio l’ultima……
Adios.
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Ammetto che l’anarchico rossobruno ignorante e arrogante mi mancava. Al quale non passa per la mente che i libri che cita sono stati letti una ventina di anni e sono un’accozzaglia di cazzate smentite più volte. Nella sua lugubre mente popolata di fantasmi, lo squallido anarchico va in confusione e non distingue libri di Giannulli (La strategia della tensione) da quelli di Saverio Ferrari (Le stragi di stato). Infatti non è un caso che veda Stalin e la GPU dappertutto quando non ha argomenti e butta il pallone in tribuna: classico atteggiamento da adolescente capriccioso. colto mentre ruba la marmellata. Semplicemente patetico. Per coloro che hanno un briciolo di interesse – non parlo di verità rivoluzionaria o controrivoluzionaria, quella la lascio ai “rivoluzionari” da operetta e da tastiera – riporto un brano del libro di Saverio Ferrari ( non Giannulli !!!! capito anarchico rossobruno? Ne dubito) in cui parla di Bertoli
Il 17 maggio 1973, alle 10.57, alla fine di una cerimonia, tenutasi nel cortile della Questura di Milano, in occasione dello scoprimento di un busto commemorativo dedicato al commissario Luigi Calabresi, assassinato alla stessa data l’anno prima, presenti le massime autorità cittadine e il ministro dell’Interno, l’on. Mariano Rumor, veniva lanciata una bomba a mano che, battendo contro uno degli stipiti del portone d’ingresso, esplodeva tra la folla assiepata sul marciapiede: quattro i morti e 45 i feriti. In flagrante fu arrestato sul posto Gianfranco Bertoli che si proclamò anarchico. Disse di aver agito da solo per vendicare la morte di Giuseppe Pinelli. La bomba secondo il suo racconto, proveniva da un kibbutz israeliano e aveva viaggiato con lui fino a Milano.
IL FINTO ANARCHICO
Bertoli venne condannato all’ergastolo, ma le sue parole non furono mai credute da nessuna corte giudicante. Le indagini proseguirono. Sulla sua figura, per altro, non calò mai il silenzio. Molti anni dopo, nel 1991, il suo nominativo comparve anche negli elenchi di Gladio, nonostante il goffo tentativo del Sismi di manipolare i fascicoli e avvalorare la tesi di un’omonimia. Ma soprattutto su di lui si appuntarono, nel corso degli anni, i racconti di diversi testimoni, interni ai gruppi neofascisti, che lo dipingevano non come un anarchico ma come “un buon camerata”.
La svolta si ebbe con la decisione del giudice istruttore Antonio Lombardi che, dopo un lunghissimo supplemento d’inchiesta, rinviò a giudizio il 21 luglio del 1998 altre sette persone per concorso in strage.
La sentenza-ordinanza, con i nomi degli imputati, rovesciò totalmente la ricostruzione precedente. La strage era stata ideata e organizzata da Ordine nuovo, il gruppo neonazista fondato da Pino Rauti e Giulio Maceratini, per colpire l’on. Mariano Rumor, traditore agli occhi della destra eversiva per essere venuto meno alla parola data, nel dicembre del 1969, come presidente del Consiglio, rifiutandosi, dopo la strage di piazza Fontana, di proclamare, come richiestogli, lo stato di emergenza, sospendo l’attività dei partiti e del Parlamento.
La figura di Bertoli, in questo quadro, risultava solo come una delle pedine di un più vasto disegno. La sua vera natura affiorava in modo inequivocabile: finto anarchico, agente prima del Sifar poi del Sid.
Dagli archivi dei servizi segreti si acquisì anche il nome in codice, “Negro”, e la sigla: IR031.
LA ROSA DEI VENTI
Grazie alle indagini condotte dal giudice Antonio Lombardi, alla sentenza di primo grado, alle requisitorie svolte dal procuratore generale, Laura Bertolè Viale, nei due gradi di appello, ma anche alle stesse motivazioni conclusive della Corte di cassazione, che in più punti hanno confermato la ricostruzione delineata dagli inquirenti, si sono ora accumulati moltissimi elementi per definire il ruolo e le complicità di chi ispirò la strage e ne orchestrò l’esecuzione.
In estrema sintesi il quadro che emerge è chiarissimo. L’attentato di via Fatebenefratelli va collocato nell’ambito del tentativo golpista della cosiddetta Rosa dei Venti, promosso dallo stesso schieramento che aveva provocato la strage di piazza Fontana. Gianfranco Bertoli non è mai stato un anarchico, in strettissimi rapporti con la destra radicale veneta fin dagli anni Cinquanta (procurava armi già nel 1954 a un Fronte anticomunista costituito da ex-repubblichini), era divenuto un agente del Sifar prima e del Sid poi, restandovi attivo ancora negli anni Settanta. Aiutato ad espatriare in Israele dal colonnello dei carabinieri Renzo Monico (per conto del Sid e con la collaborazione di un informatore del Mossad israeliano), operò in Francia (mantenendo rapporti con il gruppo neofascista de “La Catena”) e in Germania (dove sembrerebbe si rese anche responsabile di un attentato con armi e bombe nel 1972). Nello stesso periodo (giugno 1972-maggio 1973), rientrò clandestinamente più volte in Italia, nonostante figurasse ufficialmente in Israele, dove tra altro riceveva e incontrava noti neonazisti di Ordre nouveu. Addestrato nel covo di Ordine nuovo di via Stella a Verona, un paio di mesi prima dell’attentato, giunse a Milano accompagnato da altri camerati, che lo attesero, quella mattina del 17 maggio in piazza Cavour, a poche centinaia di metri dalla questura, a bordo di un’auto per consentirgli la fuga. Per lui era già stata stanziata anche la quota di un grosso finanziamento, messa a disposizione da alcuni industriali (tra gli altri, Piaggio e Miralanza).
L’obiettivo vero della bomba di via Fatebenefratelli era l’allora ministro dell’Interno Mariano Rumor.
Dietro a Bertoli, dunque, non solo Ordine nuovo, ma una rete ben più vasta e articolata, con il reparto D del Sid, diretto da Gianadelio Maletti, in funzione di controllore.
Sullo sfondo di questa vicenda anche i rapporti di Bertoli con i servizi segreti italiani e israeliani.
Ma procediamo con ordine.
STRATEGIA GOLPISTA
Il collegamento tra Gianfranco Bertoli e i golpisti della Rosa dei Venti era già emerso nel 1973 nell’inchiesta padovana, avviata dal giudice Aldo Fais e proseguita da Giovanni Tamburino, che appurò gli stretti rapporti tra Bertoli e Sandro Sedona, conosciuto in carcere a Venezia fin dal lontano 1963, ed Eugenio Rizzato, ex-repubblichino, con funzioni di cassiere proprio all’interno della Rosa dei Venti.
Questo progetto eversivo, una prosecuzione dei tentativi messi in atto al tempo del golpe Borghese, traeva, con ogni probabilità, la propria denominazione dal simbolo della Nato, una rosa dei venti, appunto.
In esso confluirono le strutture parallele di Ordine nuovo e di Avanguardia nazionale, ma soprattutto diverse decine di alti graduati delle Forze armate, tra cui quattro generali e un sotto-capo di Stato Maggiore. Si parlò anche di intese con gli incursori della Tiseo Tisei, con settori di paracadutisti, ufficiali della Finanza e della Nato. Dietro le quinte: il Sid, la massoneria con Aliatta di Montereale e l’immancabile Licio Gelli.
In un nastro con la registrazione, nel marzo 1974, di un colloquio tra il capitano del Sid Antonio Labruna ed Attilio Lercari, amministratore della Piaggio e finanziatore di Ordine nuovo, è anche emerso come in una cena avvenuta a Milano, al ristorante Savini, fra la fine di giugno e gli inizi di luglio del 1973, lo stesso Lercari ebbe a dichiarare ad Amos Spiazzi, un ufficiale dell’esercito poi indagato e processato per la Rosa dei Venti: “Aspettavamo l’azione Valtellina, l’attentato a Rumor e non c’è stato nessun attentato a Rumor, noi aspettavamo i disordini di Milano e i disordini non sono venuti fuori”.
In una copia, ora agli atti, a conclusione della trascrizione, Sandro Romagnoli, allora tenente-colonnello del Sid, annotò: “È probabile che Lercari si riferisce al fatto che la morte dell’agente Marino (ucciso a Milano da una bomba a mano lanciata nel corso di una manifestazione promossa dall’Msi e dalla “Maggioranza silenziosa”, n.d.a.) e l’attentato Bertoli non abbiano conseguiti i risultati previsti, cioè caos e interventi delle Forze armate”. Un appunto che dimostra come il Sid fosse a conoscenza della strategia golpista e della complicità tra i gruppi di estrema destra e i finanziatori genovesi.
Veniamo ora a Bertoli.
UN “BUON CAMERATA”
In via Fatebenefratelli Gianfranco Bertoli non era solo. Lo dissero subito diversi testimoni presenti che lo videro in compagnia di “altri due individui”, vicino a lui “nonostante vi fossero ampi spazi vuoti sul marciapiede”. Tutti, per altro, sostennero che Bertoli non gridò affatto “Viva Pinelli!” al momento del lancio della bomba, ma solo dopo che fu immobilizzato.
Da notizie provenienti da informatori dei carabinieri e del Sid, interni a Ordine nuovo (tra gli altri, Guido Negriolli e Gianfranco Belloni), si venne anche a sapere che ad attenderlo in piazza Cavour, poco distante dalla questura, era pronta una Lancia Flavia, con a bordo una ricetrasmittente, di proprietà di Sandro Rampazzo, un altro neofascista coinvolto nella Rosa dei Venti.
Per l’attentato Bertoli avrebbe anche dovuto ricevere un compenso. L’annotazione di una somma destinata a tale Robert, altro nome dietro il quale Bertoli usava celare la propria identità, è infatti comparsa in un documento sequestrato a Rizzato.
Ma ciò che più conta è che, da numerosissime testimonianze provenienti ancora una volta da neofascisti e informatori dei servizi, l’appartenenza di Bertoli agli ambienti dell’estrema destra è risultata assolutamente confermata. A sostenerlo, tra gli altri: Gianfranco Belloni (che ha addirittura asserito di contatti tra Bertoli e Clemente Graziani, uno dei dirigenti massimi di Ordine nuovo); Vincenzo Vinciguerra, condannato per la strage di tre carabinieri a Petano, il 31 maggio 1972, che ha affermato che Bertoli fosse nulla più che un infiltrato nei gruppi anarchici; Martino Siciliano, ordinovista e amico di infanzia di Delfo Zorzi, che ha identificato Bertoli come un uomo di Maggi; Carlo Digilio, l’armiere di On, che ha raccontato dello stupore per averlo sentito definire anarchico dalla televisione e dai giornali; Pietro Battiston, de La Fenice di Milano, che ha confermato come Carlo Maria Maggi parlasse di Bertoli come di “un buon camerata”.
Anche Ettore Malcangi, a lungo latitante a Santo Domingo insieme a Carlo Digilio, ha definito Bertoli “un camerata”. Giuseppe Albanese, detenuto per reati comuni nel carcere di Volterra, dove dopo la strage fu rinchiuso anche Bertoli, ha, dal canto suo, verbalizzato di aver raccolto dallo stesso la confidenza della sua appartenenza all’ambiente neofascista del Veneto facente capo ad Amos Spiazzi e che, dopo l’attentato, “un gruppo di camerati” avrebbe dovuto aiutarlo nella fuga.
Dopo il suo arresto, in un servizio fotografico realizzato con il teleobiettivo, pubblicato sulla Domenica del Corriere del 24 febbraio del 1974, Bertoli fu anche ritratto passeggiare e parlare cordialmente con Franco Freda nel cortile del carcere di San Vittore. Giovanni Ferorelli, un altro neofascista delle Sam (le Squadre d’azione Mussolini), poi in On, a sua volta a San Vittore, ha anche ricordato come Freda “ci disse che bisognava portare rispetto a Bertoli perché era un uomo da considerare di destra”.
Da una rogatoria del 1992, si è appreso, infine, che durante il soggiorno in Israele, avesse ospitato i fratelli Jemmy, militanti di Jeune revolution, gruppo legato a Ordre nouveau.
Un’appartenenza, quella di Gianfranco Bertoli al neofascismo che data da lontano. Quantomeno dal 1954, quando entrò in rapporti con reduci della Rsi di Venezia.
NEL SIFAR E NEL SID
Gianfranco Bertoli fu però soprattutto un uomo in mano ai servizi segreti, certamente dal 1954 al 1960, come testimoniato dall’ammiraglio Mario Casardi, che sostituì Vito Miceli al vertice del Sid, a fine luglio del 1974.
Nel Sifar, per altro, Bertoli operò non solo come agente, ma anche come reclutatore, consentendo proprio nel 1954 l’ingresso fra le sue fila dell’amico Giorgio Sorteni, lo stesso con cui aveva venduto armi agli ex-repubblichini del Fronte anticomunista di Venezia (traffico intercettato dai carabinieri). Il giudice istruttore Antonio Lombardi ha anche recuperato presso gli archivi del Sismi il nome in codice che venne dato dal Sid a Sorteni, “Sergio”, ma soprattutto l’appartenenza di Bertoli al servizio ancora fino al giugno 1971, quando il finto anarchico ormai si trovava, dal febbraio dello stesso anno, in Israele. Bertoli fu dunque “appoggiato”, come agente, momentaneamente in difficoltà per condanne per reati comuni (rapine e altro), in Israele, dove entrò senza controlli, senza visita medica, senza attese, con un passaporto privo delle firme e dei bolli regolamentari. Un passaporto intestato a Massimo Magri, mentre le lettere di presentazione, essenziali per entrare in un kibbutz, erano a nome di Roberto Magri.
In questo quadro l’espatrio dall’Italia, nel gennaio del 1971, apparentemente organizzato dagli anarchici, in realtà portato a termine grazie all’intervento di alcuni confidenti della polizia, dai carabinieri e dai servizi segreti italiani, oltre che da Rolando Bevilacqua, collaboratore del Mossad.
Il Sid, non casualmente, pochi giorni dopo la strage alla questura, inviò subito in Israele il capitano Vitaliano Di Carlo per svolgere indagini su Bertoli, con l’impegno di riferire solo a Maletti personalmente. D’altro canto, che Bertoli continuasse a essere operativo, uscisse ed entrasse da quel paese, lo hanno provato diverse testimonianze: fu visto dal turista Santolo Serra a Parigi nell’agosto del 1971; dai fratelli Sorteni a Mestre nella primavera del 1972; per ben due volte a Recco nel 1973 dal testimone Giuseppe Borrelli. Alloggiò anche all’Hotel Du Rhonne a Marsiglia dal 10 al 20 novembre del 1971 consegnando alla reception il passaporto intestato a Massimo Magri che aveva al momento dell’arresto. Martino Siciliano ricorda, a sua volta, che Mariga, un altro uomo di On, gli disse di aver visto Bertoli a Spinea nella seconda metà del 1972 e nei primi mesi del 1973.
Viene a galla, dunque, in questa vicenda un ruolo anche di Israele. Bertoli fu, infatti, ospitato in un kibbutz, come agente del Sid fuggito dall’Italia. Gli venne consentito di uscire e rientrare in incognito, oltre che di incontrare e ospitare esponenti di Ordre nouveau. Vicende che rimandano alla storia, assai poco nota, della presenza in Ordine nuovo di una “corrente” filoisraeliana, facente capo all’avvocato Carlet di Venezia. Non sembri paradossale, in questa organizzazione l’antisemitismo convisse con chi giudicava Israele “un bastione dell’Occidente”. Rapporti che portarono, secondo le testimonianze di Carlo Digilio e Martino Siciliano, a campi paramilitari con istruttori israeliani nella bergamasca, ma soprattutto in Libano, dove all’inizio degli anni Settanta una ventina di militanti ordinovisti, tra loro Delfo Zorzi, venne addirittura addestrato.
IN VIA STELLA A VERONA
Carlo Digilio, confessò di aver frequentato per quattro o cinque giorni l’appartamento di via Stella a Verona, di proprietà di Marcello Soffiati, il capocellula di On, dove Bertoli, fu addestrato, un paio di mesi prima, a compiere l’attentato di via Fatebenefratelli a Milano, da Francesco Neami e Giorgio Boffelli, un ex mercenario, amico di vecchia data dello stesso Bertoli, che lo aveva segnalato a Carlo Maria Maggi per la sua abilità nell’uso delle armi.
Digilio disse anche di aver visto in via Stella due o tre bombe a mano, tipo ananas, reperite presso la base Nato di Verona.
Il suo racconto non è stato ritenuto pienamente attendibile dai giudici d’appello e della Corte di cassazione. Da qui le assoluzioni, per tutti gli imputati, seppur per insufficienza di prove.
È invece certo che Gianfranco Bertolì partì dal porto di Haifa l’8 maggio dopo aver ricevuto una lettera per un appuntamento a Marsiglia il 15 maggio. Che qui arrivò il 13 e si fermò tre giorni, alloggiando una sola notte all’Hotel Du Rhonne, non rientrando in albergo se non la mattina del 16 maggio, quando prese un treno per Milano, dove giunse alle ore 16 circa. Che a Milano tentò di contattare un esponente del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, non riuscendovi per la diffidenza suscitata, facendo invece visita al sindacalista della Cisnal e confidente della Polizia, Rodolfo Mersi.
Ciò che è da escludere è che in questo suo tragitto avesse con sé una bomba a mano, tanto più recuperata presso il kibbutz israeliano, dove, si è appurato, non ne esistevano.
È emersa invece la possibilità che l’ordigno gli fosse stato consegnato il giorno prima a Milano dalle vecchie Sam (le Squadre d’azione Mussolini), costituite da ex-repubblichini e attive fin dagli anni dell’immediato dopoguerra. A testimoniarlo Ettore Malcangi. A non escluderlo Marco Rebosio, che lo seppe, sembrerebbe, da Giuliano Bovolato, il capo milanese dell’organizzazione.
IL DISEGNO DI ORDINE NUOVO
La strage di via Fatebenefratelli non fu, in conclusione, un gesto individuale ed isolato. La personalità, certamente complessa e singolare, di Gianfranco Bertoli non deve trarre in inganno. Così il suo comportamento, meno indecifrabile comunque di quanto si pensi. Il suo silenzio sui mandanti, come la maschera di anarchico portata fino alla fine, gli salvarono, infatti, certamente la vita. La sua morte avvenne per malattia, il 28 novembre 2000, all’età di 67 anni.
I riscontri e le prove raccolte dicono con certezza che dietro la bomba alla questura si nascose un disegno eversivo. Citiamo un passo dalla sentenza del 22 febbraio 2005 della Corte d’assise di appello del tribunale di Milano, presidente Camillo Passerini: “L’ideazione e organizzazione di quell’attentato, sulla scorta di tutti gli elementi di prova fino a ora esaminati, non possono che essere attribuite all’organizzazione che è stata indicata da più fonti come la più interessata e l’unica, all’epoca, capace in concreto di atti violenti, vale a dire Ordine nuovo in particolare ai gruppi di quel movimento attivi nel Veneto”.
La I Sezione penale della Corte di cassazione, il 14 novembre 2005, ha, dal canto suo, ritenuto “indubitabile” che “l’attentato è stato voluto, organizzato e realizzato da Ordine nuovo”.
Che Bertoli fosse uno strumento pienamente cosciente di quella trama, per molti versi rimane, a tutt’oggi, un fatto secondario.
Saverio Ferrari “Le stragi di Stato”
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….. e se non basta : “Bertoli viene addestrato per diverse settimane nell’appartamento veronese di Marcello Soffiati, in via Stella, dove tutti lo chiamano Franco. Carlo Digilio, l’armiere di Ordine nuovo, viene convocato all’ultimo momento con il compito di contribuire a sorvegliarlo, preparandolo all’azione.” A mai più, “anarchici bertoliani”
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Dalle Fonti di acqua cristallina, si abbevera….. Il fascista rosso…..
Non esiste nessun compagno Bertoli niano….
La paccottiglia e tutta sua….
La menzogna e sempre del potere….di qualsiasi vestito indossi…..
Era meno intossicato Bertoli che lei…….., e si faccia una canna per relax…..
Addio…… per davvero……
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Argomenti zero, solo slogan infantili e tanta idiozia. Il rossobrunismo “dell’anarchico” difensore degli ordinovisti è diventato una patologia. Fatti vedere da uno bravo oppure torna nei tuoi ambienti insieme agli amichetti nazi-fascisti. Che ci fai qui?
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La ceka ha emesso la sentenza….. A quando il colpo alla nuca?…..
Il rossobrunismo è di stampo marxista……, non Anarchico, coglione….. i fascisti rossi non sono solo stalinisti… Coglione….
Un ‘comunista’ marxista che pende dalle labbra dei fascio-servizi….
Proponi di togliere l’aggettivo libertario dal sito…, perché di libertari credo sinceri ne conosco solo uno, f. g., che saluto……..
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eddai su molla il crack fa male al cervello, caro liberta…riano
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Addio ‘compagno’ velina questurina……….
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Ho letto ora lo scambio di commenti. Vito se non ho capito male contesti la ricostruzione di Saverio Ferrari sul ruolo di Bertoli. Pensi che siano veline delle questure? Te lo chiedo perché ho letto un paio di libri di Ferrari sulle stragi e i neofascisti e mi sembravano libri ben documentati. Vorrei la tua opinione.
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Ciao, di s. Ferrari sulla vicenda di Bertoli e sottolineo.. (Che stiamo parliamo solo di quella vicenda) non ho letto nulla di suo sull’argomento, se non da (fm), lo cercherò e leggero’.., lo sentito parlare solo in radio… . Ma nel caso specifico,di G. Bertoli le fonti inquinate fin da subito da parte dei servizi fecero presa e rimasero…continuano a rimanere come fonti…. Per capire quei tempi bisogna prendere non solo un pezzo… Per conoscere meglio il personaggio Bisognerebbe leggere tutto quello che si ha disposizione, sopratutto chi lo conobbe, sia in galera che fuori…., chi ebbe con lui anni di corrispondenza con le migliaia di lettere….. E credo il suo racconto sempre più veritiero della voce della feccia fascista intrallazzata coi servizi…. Per molto tempo venne mal visto, successivamente tantissimi compagni libertari lo guardarono con occhi diversi…. Fu Anarchico su posizioni ‘individualiste’ prima e rimase tale dopo il tragico fatto..in galera come buona parte della sua vita precedente.. Dopo vari anni collaboro con testi anche su diverse testate anarchiche e i suoi scritti vennero pubblicati…in un volume..venne così diciamo riabilitato da molti compagni, questo quel che so….
Ed e’ per quello che ho voluto consigliare quei testi, naturalmente ai pochissimi interessati…., nel caso mai ci fossero…… . Per fm paccottiglia per molti altri no.
questo è il mio modesto, ( non solo mio) … parere di un operaio autodidatta….che non cerca il consenso di nessuno…..
In teoria avevo già chiuso…mi sembra di aver già dato abbastanza…….
Saluti libertari a quasi tutti.
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Ci sono due cose che non capisco che riguardano Bertoli. Perchè i servizi segreti avrebbero costruito menzogne su Bertoli accusandolo di essere legato agli stragisti di Ordine nuovo quando avevano preso un anarchico che ha lanciato una bomba durante la commemorazione di Calabresi gridando ” Viva Pinelli”. Quale occasione migliore per addossare la colpa agli anarchici? La strage di Bertoli alla questura di Milano è avvenuta il 17 maggio 1973, 5 mesi dopo la scarcerazione di Valpreda per decorrenza dei termini. Quale occasione migliore per confermare il coinvolgimento degli anarchici nelle stragi?
La rivista anarchica A nell’articolo del febbraio del 2001 sulla morte di Bertoli scrive “Bertoli non ha chiarito una serie di accuse di connivenza con l’estrema destra prima del suo attentato”. e che ha voluto essere sepolto con un crocefisso e la bandiera degli ultras del Livorno, i quali non avevano proprio la fama di essere dei libertari, anzi il contrario.
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https://www.edizionianarchismo.net/library/alfredo-m-bonanno-gianfranco-bertoli-carteggio-1998-2000#toc1
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Ho letto la prefazione di Bonanno, l’introduzione di Lombardi e un pò di lettere di Bertoli. A parte gli insulti e le beghe tra gruppi anarchici che non mi interessano, non ho trovato nulla sui motivi perchè i servizi segreti e le questure abbiano “costruito” un Bertoli vicino a Ordine Nuovo. La versione di Bertoli sulla provenienza della bomba che ha lanciato mi pare inverosimile. Posso sbagliarmi. Ma dire che la bomba l’ha presa a un soldato israeliano mentre era in Israele (frequentava l’esercito israeliano nel 1973 dopo la Guerra dei Sei giorni ?) . Poi ha preso una nave da Israele fino a Marsiglia, poi il treno fino a Milano sempre con la bomba addosso, mi sembra poco credibile. Scusa Vito ma non ho trovato chiarezza nel carteggio che hai consigliato.
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Beppe lascia perdere, quello è un disco rotto e ripete cose come un pappagallo. Non ha argomenti se non il solito atteggiamento da coglione rossobruno
p.s Bertoli sepolto con un crocefisso e i colori degli ultras del Livorno? Praticamente un catto-stalinista 😉
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