Oggi pomeriggio a Ghedi (tra il centro della cittadina e l’entrata alla base atomica) c’è stata una bella manifestazione. Bella non solo perché numerosa (circa 5 mila persone), colorata e combattiva, ma perché si è trattato di una manifestazione integralmente internazionalista, che non ha concesso nulla alle sirene guerrafondaie dell’uno (leggi NATO e dintorni) e dell’altro (leggi imperialismo russo e dintorni) schieramento contrapposti, in Ucraina innanzitutto, ma un po’ ovunque sul pianeta. Il grosso dei manifestanti era composto dai militanti del SICOBAS, in gran parte giovani lavoratori immigrati, ma erano presenti decine di organizzazioni politiche e sindacali (compresi noi di Brescia Anticapitalista e, tra i molti, anche una delegazione dell’opposizione di sinistra in CGIL, guidata da Eliana Como e Luca Scacchi). Presenti anche, come c’era d’aspettarsi, numerose bandiere palestinesi, mentre il corteo rispondeva allo slogan lanciato dal camion (e troppo spesso dimenticato anche a sinistra) di “PALESTINA LIBERA! PALESTINA ROSSA!” Il corteo era aperto da una delegazione di compagn* di Ghedi, che inalberavano bandiere della pace. Bandiere presenti anche lungo il corteo, ma immerse in un mare di bandiere rosse, sindacali e politiche, che non lasciavano dubbi sul carattere proletario e internazionalista dei partecipanti.
Giunti davanti alla base, presidiata da nugoli di poliziotti, carabinieri e soldati in assetto di guerra (con elmetti e fucili mitragliatori, come se temessero un assalto da parte dei manifestanti) e sorvolata da un fastidioso e minaccioso elicottero, si è tenuto il comizio, caratterizzato da numerosi, brevi interventi, tra i quali quello di un compagno di Brescia Anticapitalista, che ha ricordato le caratteristiche tecnico-militari della base atomica ITALIANA di Ghedi, aggiungendo quanto segue:
Scriveva Brecht, 84 anni fa, alla vigilia del peggior massacro della Storia, la II GM, in una semplicissima e bellissima poesia intitolata “La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente. ”
Una semplice verità, che, pagata sulla pelle, solo nell’ultimo secolo, di decine di milioni di esseri umani, dovrebbe essere sufficiente per bandire le guerre in tutto il pianeta, se la ragione fosse prevalente. O perlomeno dovrebbe essersi radicata nelle teste di quelli che Brecht chiama “la povera gente”, quella che non solo fa la fame dopo ogni guerra (e spesso anche negli intervalli tra una guerra e l’altra), ma anche quella che fornisce il 99% della carne da cannone. Perché non ci illudiamo, non pretendiamo da quelli che dalla guerra guadagnano (capitalisti, generali, governanti) che rinuncino ai loro sporchi profitti da pescicani di guerra, da parassiti dell’umana società. Ma ci piacerebbe vedere, nei milioni di poveracci mandati a massacrarsi a vicenda in nome delle patrie, di Dio, della “democrazia”, o di qualsiasi altro pretesto, un sussulto di dignità, un enorme, sonoro SIGNORNO’! Per capire, per disertare, per rivolgere le armi contro il nemico che marcia alla tua testa (sempre per citare Brecht) però ci vuole coscienza. Una coscienza che non nasce nello spazio di un mattino, ma che va costruita, innaffiata ogni giorno con la lotta e la cultura che solo l’internazionalismo conseguente può dare. E oggi, in un mondo in cui si viene arruolati e inquadrati in un “campo” imperialista o in un altro,con i media asserviti all’una o all’altra potenza che diffondono a tambur battente la loro immonda propaganda di guerra, eroicamente seduti dietro le loro scrivanie da teleschermo o da carta stampata, è sempre più difficile mantenere la rotta. E troppo spesso c’è gente, anche a sinistra, che si comporta come in un anfiteatro romano di venti secoli fa, urlando e tifando per una o per l’altra squadra di gladiatori, invece di incitare tutti i gladiatori di entrambe le squadre a smettere di uccidersi a vicenda e a rivolgere le armi contro i propri padroni. Sicuramente è più difficile che nel 1914/18, nonostante anche allora, a sinistra, c’era (e non erano pochi) chi si arruolava per combattere contro l’autocrazia zarista, o contro il militarismo prussiano, o contro la plutocrazia imperialista anglo-francese. Oppure, qui da noi, più modestamente, si illudeva di “liberare” le “terre irredente”, Trento e Trieste, dalle grinfie dell’aquila asburgica. Ma ci fu per fortuna la conferenza di Zimmerwald, e grazie a Lenin, Trotsky, Rosa Luxemburg e altre migliaia di rivoluzionari ci fu chi seppe mantenere la bussola di un internazionalismo conseguente, contro venti e maree che sembravano aver sommerso anche le nutrite schiere del proletariato socialista europeo. E, quando i nodi vennero al pettine, quando i milioni di morti nelle trincee e la fame nelle retrovie vennero a bussare allo stomaco e al cervello di milioni di proletari e di contadini, le strofe della poesia di Brecht divennero chiare agli occhi della povera gente. Che si ribellò in massa, dalla Russia all’Ungheria, da Berlino a Vienna, da Torino a Shanghai. E furono anni di rivoluzioni. Generose e radicali, e spesso, purtroppo fallite. E arrivò quindi un’altra ondata di gente con l’elmetto, di gente che sapeva arricchirsi sulla pelle della famosa “povera gente”. E in questo l’Italia, con l’invenzione del fascismo, agì da battistrada. Fino a trascinare di nuovo l’umanità in un altro bagno di sangue, ancora peggiore di quello di 20 anni prima. E di nuovo, dopo quest’altro battesimo di fuoco orribile, si fecero strada nelle teste dei poveracci le profetiche parole di Brecht. E ci fu un’altra stagione di rivoluzioni, da Belgrado a Pechino, da Hanoi ad Algeri, da Atene a Manila. Ancora una volta, purtroppo, spesso fallite o finite su un binario morto. E il pendolo della Storia, pur non ripetendo ovviamente gli stessi identici percorsi, ha ripreso a oscillare in una pericolosa direzione. E, dopo il cosiddetto “equilibrio del terrore atomico” (che di equilibrio aveva ben poco, come dimostrano le numerose guerre cosiddette “minori”, a cominciare da quella del Vietnam), negli ultimi trent’anni, esattamente all’opposto di ciò che prevedevano i profetucoli ben pagati dai soliti noti, il mostro della guerra si affaccia con sempre maggior frequenza. Fino ad arrivare, dal febbraio dell’anno scorso, a far intravedere l’abisso di una guerra nucleare tra l’imperialismo NATO (con l’Ucraina come appendice) e quello russo. Una guerra che, diversamente da quelle del passato, rischierebbe di spazzar via definitivamente l’umanità. O, nel migliore dei casi, di rendere attuale il monito di Albert Einstein: non so come finirà la III guerra mondiale, ma so come comincerà la IV: con pietre e bastoni!
E l’allarme “tra la povera gente” è molto, troppo al di sotto di ciò che sarebbe necessario. Il fatto che siamo qui in poche migliaia a gridare che la base atomica di Ghedi DEVE ESSERE CHIUSA è doppiamente scoraggiante. Certo, mi piacerebbe che decine di migliaia di persone fossero qui a protestare perché questa base atomica ITALIANA è la principale base di attacco del NOSTRO imperialismo, dell’imperialismo italiano, contro gli altri popoli dell’area euro-mediterranea. Ma, nelle disastrose condizioni in cui è ridotta la coscienza di classe in questo paese, sarebbe anche troppo facile darmi dell’illuso. Spero, da almeno una quarantina d’anni (cioè dalla prima manifestazione contro la base di Ghedi a cui ho partecipato) che almeno una coscienza primordiale, oserei dire biologica, di pura sopravvivenza della specie, spinga i ghedesi, i bresciani, i lombardi, gli italiani del nord (queste sono le aree che, in caso di attacco “nemico”, si vedrebbero pressoché cancellare dalla faccia della terra, con una stima che va dai 2 ai 10 milioni di morti) a muovere il culo, anche solo per salvarselo! Ma l’intossicazione bellicista (rinnovata in questi ultimi giorni per le vicende palestinesi) è, per ora, ancora troppo forte, e pretende gente con l’elmetto, da una parte o dall’altra. Insieme, certo, anche alla rassegnazione e al senso d’impotenza di molti che, pur non mettendo l’elmetto, ritengono impossibile opporsi a questa barbarie. Solo che stavolta, probabilmente, non ci sarà l’occasione per dire, come in quella bella canzone toscana antimilitarista della prima guerra mondiale, dove una moglie arrabbiata con i generali che avevano “chiamato il marito a fa’ barriera contro l’invasore” cantava “E avevano ragione i socialisti, ne more tanti e ‘un semo ancora lesti…..”
E quindi riprendiamoci la vita, l’unica che abbiamo, e gridiamo con forza, prima che sia troppo tardi NO ALLE LORO GUERRE! CHIUDIAMO LA BASE ATOMICA DI GHEDI! SCIOGLIAMO LA NATO! VIVA L’INTERNAZIONALISMO PROLETARIO E LA FRATELLANZA TRA TUTTI GLI OPPRESSI E GLI SFRUTTATI!

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Una manifestazione indebolita da un grave errore di settarismo:
https://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=7569
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Abbiamo saputo troppo tardi della risposta, che non condividiamo. C’è bisogno dell’unità di tutte le forze internazionaliste. Crediamo che il PCL (al di là della posizione “altercampista” che ha assunto sulla guerra russo-ucraina) faccia parte a pieno titolo dello schieramento internazionalista.
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