Continuiamo la pubblicazione domenicale di racconti. Il nostro spazio cerca di essere un momento di attività politica, di denuncia, ma anche di formazione e perchè no, di cultura. Per questo pubblicheremo ogni domenica, racconti, non solo a sfondo politico o sociale, ma anche di vita e umanità varia. Conoscere l’umanità e il mondo, attraverso la narrativa e l’arte in generale, è uno dei modi più piacevoli, interessanti e profondi di formazione. (Sauro)

Guerra senza fine

Caro diario, oggi è finita la guerra contro gli alieni.

Papà dice che è un grande giorno, il giorno più importante della nostra vita. Dopo tanti anni abbiamo finalmente distrutto l’ultimo vascello da combattimento dei Frong.

Ieri tutti i prigionieri sono stati giustiziati e questo pomeriggio, nella piazza della Vittoria Planetaria, verrà esposto il trofeo.

Papà mi ha promesso che andremo a vedere come sono fatti quei brutti mostri che volevano distruggerci.

Ci sarà tantissima gente, ci saranno tutti.

* * *

Qualche giorno dopo il primo contatto fisico, fu chiaro a tutti che i Frong erano venuti per restare.

Quei seicentocinquantatremila individui erano gli ultimi sopravvissuti della loro stirpe, in fuga da centoventi secoli a bordo di un’astronave gigantesca, mondo artificiale ormai in esaurimento. Ci dissero che il loro pianeta era stato distrutto, ma non capimmo quale fu la causa. La grande nave cilindrica sulla quale avevano viaggiato fino a noi era la loro ultima speranza, Arca della Salvezza sulla quale si erano imbarcati, in origine, quindicimila individui prescelti. Quelli al nostro cospetto ne erano i discendenti, generazione dopo generazione. 

E il nostro pianeta era la loro Terra Promessa.

Senza giri di parole ci chiesero un luogo dove insediarsi.

Fummo generosi.

Offrimmo numerose alternative: alcune isole disabitate della Micronesia; un vasto territorio in Siberia, ricco di vegetazione; una penisola antartica affacciata su mari pescosi; una soleggiata regione ai margini del Sahara, da tempo contesa tra Algeria e Marocco.

Visitarono quei territori.

Non gli piacquero.

Dissero di voler restare proprio lì dove erano atterrati: nel cuore della Ruhr, al centro del continente europeo. E subito dopo, iniziarono a costruire la loro città.

Tre settimane più tardi, fu guerra.

All’inizio non ci facevano paura. Tutto sommato erano pochi, e le loro armi non molto più sofisticate delle nostre.

Ma ancora non sapevamo nulla delle loro straordinarie caratteristiche fisiologiche.

I Frong pensavano e agivano come un unico individuo condotto da una sola volontà. La mente di ciascuno di essi era costantemente collegata a quelle di tutti gli altri, in una sorta di rete neuromentale, di natura sconosciuta, incomprensibile alla nostra scienza. L’intera popolazione degli alieni era in realtà un unico essere mostruoso composto da seicentocinquantatremila entità autonome, veri e propri terminali biologici intimamente interconnessi: uno spaventoso alveare intelligente di vespe aliene e assassine.

Come se non bastasse, lo sciame Frong era strutturato in una gerarchizzazione verticale rigida, ma con una totale intercambiabilità orizzontale dei ruoli: il sogno di ogni stratega militare.

La prima sanguinosissima e crudele battaglia durò nove interminabili giorni, alla fine dei quali i Frong avevano occupatol’intera Europa centrale, dalla Loira all’Elba, dalle Alpi al Mare del Nord.

“Battaglia”, non ancora “guerra”, perché non ci fu alcuna pausa in quelle prime terribili operazioni belliche, dal momento dell’attacco fino al consolidamento dei territori strappati all’umanità.

Solo così scoprimmo con terrore la loro terza spaventosacaratteristica: gli alieni non avevano alcun bisogno di riposo, riuscivano a restare sempre efficienti e operativi ventiquattroaccasenza alcuna necessità di sonno o di pause.

E così tutti, tutti loro, combattevano, senza fine, compatti, senza tentennamenti, unico schifoso ammasso di malvagie cellule cancerose che si espandeva, dilagava, e poi infettava e metabolizzava ogni tessuto umano adiacente.

Imparammo tutto questo a un prezzo intollerabile.

Seguirono anni e anni di guerra totale e cruenta. Sforzi colossali, sofferenze. La popolazione umana decimata. Soldati e bambini divorati dal fuoco atomico. Uomini e donne macellati nei campi di prigionia, come bestiame. Madri e figlioletti squartati da quelle loro armi ceramiche simili a machete automatici. Anziani arsi vivi negli ospizi. Prigionieri usati come scudi umani, incatenati ai vascelli Frong, sacrificati sotto il fuoco dei nostri bravi mitraglieri, che, con le lacrime agli occhi, sparavano al nemico attraverso quei poveri corpi dilaniati e urlanti. E poi, i suicidi di massa, le sofferenze, le malattie. La povertà. Torture e martirî al di là di ogni possibile immaginazione morbosa. L’inferno, l’orrore. Corpi squarciati, indicibili sofferenze. 

Fu il tempo della “Guerra Senza Fine”: una totale, estrema, feroce, animalesca lotta per la sopravvivenza.

Non era possibile un accordo. Non era possibile una tregua.

Unica opzione: distruzione definitiva del nemico.

L’alternativa: estinzione della razza umana.

Si sacrificarono, per anni e anni, milioni di vite, prima chearrivasse il giorno tanto atteso.

Il giorno della Vittoria.

* * *

La folla, assiepata in ogni dove, straripava ormai dalla piazza, troppo piccola per contenere tutti, e altre persone ancora premevano dalle vie laterali per assistere dal vivo all’evento eccezionale, l’attimo che doveva suggellare, in una sacra rappresentazione collettiva, la Vittoria dell’Umanità nella più terribile di tutte le guerre.

Su cinque megascreen scorrevano le immagini dell’instancabile Presidente durante il discorso tenuto il giorno prima all’Assemblea Unificata. Il volume dei diffusori, ai massimi consentiti, sovrastava a malapena il rumoreggiare dei molti reduci dai festeggiamenti spontanei della notte precedente.

«Amici, Umani, abbiamo prevalso non solo grazie alla forza delle armi…» Pausa. Il grande leader abbassa lo sguardo, sembra cercare le parole; poi prosegue, ispirato: «…non solo perché nostra era la determinazione del Giusto, ma in primo luogo perché ci siamo uniti nello sforzo supremo…»

Applausi lo interrompono. Primissimo piano, sorriso, occhi velati dall’emozione. Lenta zoomata all’indietro. Il Presidente alza i palmi delle mani a chiedere silenzio. «…in una lotta estrema, nel sacro nome dei nostri figli» la voce cresce di tono, «e delle generazioni a venire!»

Gli applausi, inevitabili.

Il Presidente allarga le braccia e annuisce, come ad abbracciare l’Assemblea e il pubblico. «Abbiamo combattuto e sofferto per il futuro della Civiltà. Per lo sviluppo del Genere Umano. Per tutti gli individui di questa meravigliosa, invincibile, comunità planetaria». Di nuovo, applausi sulle ultime enfatiche parole. Carrellata verso la tribuna. Zoom. Un veterano sulla sedia a rotelle, commosso, deglutisce.

«Il mio pensiero», l’inquadratura torna sul Presidente, «va ora al sacrificio generoso dei nostri martiri. Ogni famiglia ha conosciuto il dolore della perdita; figli, padri, fratelli, tutti quanti…»

Il discorso venne sfumato. L’immagine virò in dissolvenza al nero. Sui megascreen apparve il palco eretto nella Piazza della Vittoria Planetaria. La cerimonia stava per iniziare. Si levarono ululati gioiosi e fischi.

Dopo pochi minuti di attesa, un drappello di veterani entrò sul palco e presentò al pubblico i resti biologici dell’ultimo Viceré Frong.

Tutti si alzarono, con un grido collettivo, un boato liberatorio.

Un anziano signore, basso di statura, cercava con disappunto di sollevarsi sulle punte dei piedi. Era stato tra i primi ad arrivare in piazza fin dalla mattina, e ora non riusciva a vedere nulla. «Dov’è? Non si vede niente! State seduti! State seduti, per favore… Dov’è?»,urlava sconsolato.

«Lassù, la testa infilzata su quell’asta, non vede?» rispose il giovane di fianco, un adolescente magrino, peluria appena accennata sul labbro superiore, ben vestito – di certo uno studente. Il vecchio in mezzo alla folla scomposta, continuava a lagnarsi. «Lo vorrei vedere anch’io», si volse al giovane con occhi lucidi. «Pensi che ho comprato per tre volte i War Bond…» Il ragazzo lo scrutò. All’avambraccio sinistro portava una fascia, nera con la striscia centrale rosso rubino: l’anziano aveva perso un figlio nella guerra. Il giovane capì la situazione. Lo aiutò ad alzarsi e a mettersi in piedi su una seggiola di plastica rossa. Quando il vecchietto finalmente si aggiustò, lo tenne anche saldamente per le gambe per evitare che cadesse.

«Mammamia quant’è brutto! È più impressionante che in televisione. Guardate che bocca! Sembra truccato. Sarà una femmina?»

«No, è proprio fatto così».

«E poi loro non sono maschi e femmine, non lo sapete?» Era un uomo di mezza età a parlare. «Sono… come si dice… ermafrociti. Insomma, fanno da maschi e da femmine. Capite, uno di quei cosi lì è un po’ maschio e un po’ femmina! E si accoppiano tra di loro a casaccio, come capita. Un colpo qua e un colpo là». L’uomo storse la bocca in un ghigno di disgusto. «Meno male che li abbiamo ammazzati tutti. Ermafrociti dimmerda!»

Lo studente sorrise. «Beh, quello di accoppiarsi con chiunque, in fondo, potrebbe essere un vantaggio…»

«Che cazzo dici? Eh?», l’uomo era un po’ alticcio, «Dì un po’ tu, sei finocchio? Eh? Mark! Ehi, Mark!»

L’amico Mark si volse. Era poco distante, al centro di un gruppetto di quattro o cinque esemplari simili. Trentenni, rasati a zero, carnagione rovinata dalle radiazioni ionizzanti, occhiali scuri, basco e tuta militare da lavoro. Pezzi d’uomo.

«Guarda qua! Questo frocio dice che a lui la promiscuità sensualedegli alieni gli piace. Bisogna spiegargli bene come…»

«Ehi!» Una donna bassa e robusta nella divisa delle Ausiliare Logistiche richiamò l’attenzione agitando una mano: «Ne stanno tirando su un altro, più grosso ancora!»

Tutti, persino Mark e i suoi compari, si volsero al palco.

«Fa vedere…» Un tipo biondo, alto, in abiti civili cercava di allungarsi, «È vero, guardate, guardate quella bava verde che gli esce dal collo tagliato! Sembra un film horror! Ah ah!»

«Ehi tu!» esclamò l’Ausiliaria rivolgendosi al biondo, «Non vedo più niente. Levati! Ti sei piazzato davanti!»

«E allora?» Il biondo si era girato appena, scrutando la donna di sguincio. «Non ci sono posti numerati qua, solo posti in piedi.»

«Ma tu sei alto e grosso! Io sono bassa, non vedo niente se tu mi stai davanti!»

«Calmina eh? Calmina!»

«Sei uno stronzo!»

«Cos’hai detto!?»

«Vergognatevi», sibilò indignato un veterano afroeuropeo che portava il turbante verde dei Volontari d’Assalto Epsilon, «Questo è un giorno sacro per la nostra gente. State trasformando la cerimonia in una lite da pollaio».

«E tu cioccolatino che cazzo hai?» lo minacciò il biondo agitando una lattina di birra. «Datti una regolata e cerca di goderti la festa, oggi siamo ancora tutti fratelli, occhei?»

«Giusto,» replicò il veterano Epsilon squadrando lentamente l’altro, «e lo eravamo anche ieri, eppure, quando c’era da combattere non ho visti molti euronordici a spurgare le fogne di casa vostra da quei maledetti scarafaggi spaziali».

«Cosa vorresti dire, negro di merda?» urlò il ragazzotto biondo scagliando la lattina verso terra.

* * *

«Camera sette, stringi il primo piano frontale sul cadavere del Frong… ecco così, stop! Dissolvi sulla cinque fra quattro secondi, tre secondi, due… uno, via! Peeerfetto… Cos’è quell’ombra?! Via via! Alan, fai spostare il cinquemila, anzi no, mettici sopra lo spot… Bene così. Torniamo sulla folla con la otto, in carrellata destra-sinistra, ok così, bellissimo, piano, piano… Insomma, cosa c’è Arianna!?» È l’assistente del regista che, sguardo fisso a un monitor laterale, gli scuote con insistenza il braccio.

«Dovresti dare un’occhiata a quel che sta succedendo nella parte bassa della platea, di fianco alla fontana, sulla undici».

Il regista sospira e getta uno sguardo alla undici. E lì la sua attenzione si inchioda.

Sullo schermo, una rissa colossale.

Al centro del bailamme si distingue un energumeno in grigioverde colpire a pugni nello stomaco un nero, semisvenuto, trattenuto a forza da altri due militari, uno dei quali gli serra attorno al collo ciò che resta di una fascia da turbante. Un uomo tarchiato, poco distante, prende a sberle una donna con i vestiti laceri finché due ausiliarie gli si avventano contro e lo gettano a terra. Poi non lo si vede più, impallato da altri corpi in movimento. Tutto intorno, un pandemonio. Pare che quella sezione della platea si sia trasformata in un’arena da combattimento. Un sedile di plastica rossa vola per aria.

«Anche sulla dodici, adesso…» dice l’assistente regista, «e pure la cinque, sotto il palco, addirittura!… Ma… che sta succedendo?»

«Manda la undici, ORA!» Il regista, entusiasta. «Bellissimo,bellissimo, zooma all’indietro piano… Aò, ma quanti se stanno a menà? Ancora… ancora… stop! Resta così, fermo. Fermo… Prepara la sette. La sette! Metti a fuoco cazzo! Ok, a posto? Dentro! Fantastico, ah, questa è da Pulitzer. Guarda che roba!» Indica il monitor della sette all’assistente incredula. Il linciaggio di uno studente, a terra, semisvenuto: un vecchio con una fascia nera e rossa al braccio, schiumante di rabbia, lo prende a calci in bocca; sulle sue labbra si possono leggere chiaramente le parole urlate e ripetute “frocio di merda”.

* * *

Caro diario, ieri è finita la guerra contro gli alieni.

Finalmente tutto ritornerà come prima.

Italo Bonera

Nato a Brescia nel 1962 inizia a scrivere nel 2004 quando con “American dream” vince il premio Fredric Brown per racconti brevi, indetto da Delos Book. Insieme a Paolo Frusca è autore del romanzo ucronico “Ph0xGen!”, finalista premio Urania, pubblicato nel 2010 da Mondadori nella collana Millemondi. Il thriller “Io non sono come voi”, ambientato nel prossimo futuro e anch’esso finalista al premio Urania, esce per i tipi di Gargoyle nel 2013. Sempre con Paolo Frusca pubblica l’antologia di racconti distopici “Cielo e ferro” (La Ponga, 2014). Nel 2017 per Meridiano zero esce il romanzo “Rosso noir. Un pulp italiano” ambientato negli anni Settanta. Il noir “Il male che fa bene” esce con l’editore Calibano nel gennaio 2023.

Suoi racconti appaiono in diverse antologie e riviste, tra le quali il fascicolo di dicembre 2021 di Urania (Mondadori). Il racconto “L’uomo sontuoso” vince il premio Stefano Di Marino 2022 ed è nel fascicolo Segretissimo Special di agosto 2022. “La confessione” è finalista per racconti inediti al Premio NebbiaGialla 2022. Il racconto “Una ghirlanda di rose nere” è finalista alla seconda edizione del premio Stefano Di Marino 2023.

Il racconto “Guerra senza fine” è stato pubblicato nell’antologia “Sarà sempre guerra”, a cura di Gian Filippo Pizzo, La Ponga editore, 2017

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