A migliaia si sono accampati negli uffici dell’ONU a Tripoli
All’inizio di ottobre, le autorità libiche occidentali hanno scatenato una brutale repressione sulle migliaia di immigrati, rifugiati e richiedenti asilo che vivono a Gargaresh, alla periferia di Tripoli. Più di 5.000 persone sono state arrestate, le loro case distrutte, le famiglie catturate e divise; molte persone sono state ferite, violentate e persino uccise. Quattromila sono state imprigionate nel sovraffollato centro di detenzione Al-Mabani.
Gli immigrati e i rifugiati, tuttavia, non hanno semplicemente accettato questo trattamento – si stanno organizzando collettivamente contro la violenza. A malapena riportata dalla stampa occidentale, la loro resistenza sta esplicitando la logica imperiale che sta alla base della brutalità dei confini europei. L’auto-organizzazione degli immigrati, se sostenuta da lavoratori solidali in Europa, potrebbe essere il cuneo necessario per rompere l’imperialismo di confine dell’UE.
La scintilla della resistenza

Quando le guardie hanno attaccato un immigrato sudanese in sciopero della fame il 9 ottobre di quest’anno, i detenuti del centro di detenzione si sono ribellati, sono scoppiati incidenti e molti sono scappati. Secondo l’ONU, almeno 10 persone sono state uccise e molte altre ferite durante due tentativi di fuga all’inizio di ottobre.
Le centinaia che sono fuggiti si sono uniti all’occupazione permanente che migliaia di immigrati avevano iniziato davanti all’ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) a Tripoli. Si sono auto-organizzati e hanno iniziato una dimostrazione pacifica chiedendo di poter lasciare la Libia e chiedendo alle autorità libiche di liberare i detenuti. Alcuni hanno formato il gruppo Rifugiati in Libia. https://twitter.com/refugeesinlibya?s=21. Dopo tre mesi, circa 1.600 immigrati e rifugiati sono ancora imprigionati.
Anche se l’UNHCR è un’agenzia incaricata di aiutare e proteggere i rifugiati e di assisterli nel rimpatrio o nel reinsediamento, la filiale dell’organizzazione in Libia ha chiuso i battenti e ha sospeso tutte le attività del suo centro diurno (e hanno intenzione di chiuderlo definitivamente). Ciò ha lasciato migliaia di persone in estremo bisogno di riparo, cibo e cure mediche, esposte agli incidenti stradali e alla violenza dei gruppi armati delle autorità libiche. Nonostante gli attriti iniziali con i cittadini locali allarmati dalla crisi sanitaria amplificata dall’occupazione degli uffici dell’UNHCR, alcuni, hanno mostrato la loro solidarietà e donato cibo.

L’UNHCR Libia ha sostenuto che avrebbe evacuato i manifestanti e fatto pressione per il rilascio degli altri detenuti solo se i manifestanti si fossero dispersi. L’UE e il governo britannico, nonostante il loro profondo coinvolgimento e la loro colpevolezza nel disastro libico, sono stati in silenzio e non hanno fornito alcuna assistenza.
Grazie alla pressione dal basso, tuttavia, l’UNHCR ha ripreso i suoi (molto limitati) voli di evacuazione, che erano stati bloccati dalle autorità libiche per più di un anno, e ha assicurato il rilascio di 115 detenuti a novembre. Ma abbandonano la maggior parte degli immigrati e dei rifugiati ai capricci delle autorità libiche, che stanno usando tutti i mezzi per terrorizzare i manifestanti e continuano gli arresti.
La logica dell’imperialismi frontaliero europeo
Le terribili condizioni degli immigrati e dei rifugiati africani in Libia sono ben note: aste di schiavi, arresti arbitrari, detenzione a tempo indeterminato, estorsione, violenza sessuale, tortura, lavoro forzato e omicidio.
La situazione è peggiorata sulla scia della pandemia Covid-19, che ha sconvolto i sistemi economici dei paesi nordafricani. Durante la seconda guerra civile libica (2014-20), i combattenti avevano intenzionalmente preso di mira ospedali, strutture idriche e centri di detenzione. È noto che le autorità della Libia occidentale – in molti casi gruppi armati implicati nel contrabbando di carburante, armi e esseri umani – sono parte integrante di questo sistema di violenza e abusi. Questi hanno il forte sostegno dell’UE, che conta su di loro per aiutare a militarizzare i suoi confini nel Mediterraneo.
Il cosiddetto inferno libico è spesso presentato come un male necessario per impedire agli immigrati africani di venire in Europa e spingere verso il basso i salari e le condizioni di vita, minacciando lo “stile di vita europeo”.

Ciò che è meno noto sono le richieste degli stessi immigrati e rifugiati. Qualche giorno fa, ho parlato con un portavoce del gruppo Rifugiati in Libia. Anche se chiedono l’evacuazioni immediate verso qualsiasi paese sicuro, l’abolizione della guardia costiera libica, mi ha detto, che è importante capire che solo una minoranza vuole andare in Europa. La maggior parte vuole rimanere e lavorare in Libia. In questo contesto, le politiche attuate dall’UE stanno contribuendo a creare una forza lavoro supersfruttata in Libia e non solo.
Infatti, la militarizzazione delle frontiere in Libia da parte dell’UE e del governo britannico non ha lo scopo di fermare l’immigrazione dall’Africa in quanto tale, ma sta deliberatamente intrappolando i immigrati e rifugiati in un terribile sistema di violenza e sfruttamento.
Questo sistema serve a soddisfare la fame di risorse naturali dei paesi capitalisti occidentali e delle multinazionali, che, dall’aggressione Nato del 2011, hanno drenato miliardi di dollari dal paese, lasciando la popolazione impoverita e soggetta a politici corrotti e milizie armate. Fondamentalmente, questo sistema di estrazione neocoloniale sta anche spingendo un numero crescente di persone a lasciare la Libia, creando un esercito di riserva di manodopera sfruttabile se e quando raggiungeranno l’Europa. Le politiche statali dell’UE e del Regno Unito stanno effettivamente spingendo la migrazione, lasciando gli immigrati in condizioni sempre più miserabili e sfruttabili. Per quanto sia brutale, c’è una logica di fondo in questa apparente follia.
Questo sistema può essere rotto solo da un’alleanza dei lavoratori in Europa con gli immigrati e i rifugiati autorganizzati in Libia. Dobbiamo ascoltare le loro parole:
“Noi siamo i cittadini di questo continente e di questi suoli che attraversiamo, chiediamo di viaggiare liberamente in tutti i paesi africani senza ostacoli. Nessun bambino africano dovrebbe essere chiamato migrante nell’Unione Africana e negli stati membri, abbiamo bisogno di pace, sicurezza, educazione e infrastrutture. L’Unione Africana e gli stati membri hanno l’obbligo legale di garantire che noi soddisfiamo queste aspettative. E non rischiare le nostre vite per avventurarci verso l’Europa e altri viaggi in rotta dove migliaia di vite potrebbero finire, e i sogni muoiono senza vedere la luce.”
Il filmato tratto da https://twitter.com/refugeesinlibya?s=21 Cita: Questi sono i diritti offerti a migranti e rifugiati in Libia, a dormire per strada, a mendicare, a fare lavori forzati, a essere perseguiti e detenuti senza udienze giudiziarie.
Per quanto tempo dobbiamo chiedere a #EU di smettere di finanziare queste operazioni effettuate dai loro fondi?
Lucia Pradella è docente senior di economia politica internazionale al King’s College di Londra. Ha scritto molto sul Capitale di Marx, sull’imperialismo e sui nuovi movimenti operai in Europa.
Nostra traduzione dal sito Il pungolo rosso