Di Nello Scavo
Nella notte si sono ripetute al confine tra Bielorussia e Polonia svariati tentativi di assalto alla barriera. Chi attraversa i fiumi vuole raggiungere la Lituania

Nella notte si sono ripetute al confine tra Bielorussia e Polonia svariati tentativi di assalto alla barriera. I militari di Minsk hanno utilizzato potenti fari e lampi abbaglianti contro l’esercito di Varsavia, contro cui sono stati puntati anche dei laser. Nello stesso momento i profughi hanno cercato di bucare la barriera, ma a quanto riferiscono fonti di Varsavia i tentativi sono stati respinti.
La tensione dunque resta altissima, dopo che ieri l’esercito russo ha inviato sul confine alcune decine di paracadutisti per quella che ufficialmente viene presentata come una ordinaria esercitazione congiunta tra russi e bielorussi. Intanto, più a Nord, altri gruppi di profughi stanno tentando di raggiungere il territorio dell’Unione Europea sul lato lituano. In alcuni video girati dagli stessi migranti, e diffusi sui social network, si vedono diverse persone affrontare le acque fangose e gelide di alcuni canali alla frontiera tra i due Paesi.
Nei giorni scorsi una missione dell’Oms ha raggiunto la Lituania per sostenere l’assistenza sanitaria rivolta ai migranti. Secondo gli operatori dell’Organizzazione mondiale della salute, oltre in terzo delle persone arrivate sul territorio di Vilnius necessitano di cure urgenti e di sostegno alla salute e psicosociale. In particolare le donne e o bambini costretti a lunghi giorni nella foresta e in condizioni insopportabili. Ieri sono giunte le immagini di un ragazzo di 14 anni morto di freddo e stenti nei boschi.
La polizia polacca ha reso noto invece di avere scoperto il cadavere di un migrante siriano nella zona boscosa prossima alla frontiera con la Bielorussia. Il cadavere è stato ritrovato ieri nei pressi del paese di Wolka Terechowska nel nord-est della Polonia. “Le investigazioni sul terreno dove è stato trovato il corpo finora non hanno potuto determinare le cause della morte”, ha spiegato la polizia su Twitter. Secondo i media polacchi, il cadavere è di un giovane di venti anni al quale è stato trovato addosso un passaporto siriano. Con lui salgono a undici i morti su entrambi i lati della frontiera da quando è esplosa la crisi migratoria tra Bielorussia, Polonia e Pasi Baltici. La situazione è resa ancora più tesa a causa delle temperature gelide, specie durante la notte, e del numero di migranti ammassati sotto le intemperie e accampati in maniera precaria.
da avvenire.
LE ORGANIZZAZIONI CURDE (KNK, HDP, PKK) INTERVENGONO SULLA CRISI UMANITARIA ALLA FRONTIERA POLACCA
Da giorni circa tremila rifugiati che – invano – cercavano di entrare in Europa attraverso la Polonia, rimangono bloccati alla frontiera, nella foresta.
Molti di quei disperati (in gran parte donne e bambini) sono curdi che provengono dalla regione autonoma dell’Iraq e dal nord della Siria. Ossia da territori sottoposti, se pur in maniera diversa, agli attacchi di Ankara.
Abbandonati da entrambi gli Stati confinanti, sarebbero già una ventina quelli morti di ipotermia, fame o disidratazione. Una dozzina quelli desaparecidos.
Sulla questione è intervenuto il Congresso nazionale del Kurdistan. Rivolgendosi all’Unione europea, il KNK ha definito “disumano e inammissibile” il modo in cui Polonia e Bielorussia trattano i migranti. Con un appello non solo all’Ue ma anche a “tutti i cittadini europei dotati di coscienza” a non restare in silenzio e a trovare una soluzione.
Denunciando inoltre come Erdogan, Lukachenko e Putin stiano “utilizzando i rifugiati come un’arma politica”.
Evidentemente l’astuto presidente turco (che in questi anni aveva già sperimentato l’utilizzo dei migranti come strumento di pressione nei confronti della Ue) ha fatto scuola.
Oggi il suo obiettivo, secondo il KNK, sarebbe quello di “cacciare i curdi dalle loro terre per modificarne la stessa demografia”. Sostituendo i curdi con popolazioni e organizzazioni sotto il suo controllo (turchi, turcomanni, addirittura palestinesi…).
Altro intervento da segnalare, quello del Partito democratico dei Popoli. A nome di HDP, Pervin Buldan e Mithat Sancar si sono rivolti a Josep Borrel (rappresentante dell’Ue per gli affari esteri) affinché, in nome del rispetto dei diritti umani, venga accantonata la soluzione del blocco militare e i rifugiati (tra cui oltre 500 bambini) vengano soccorsi e accolti.
Lo stesso appello è stato rivolto al Segretario generale e al Commissario ai diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa oltre che a varie organizzazioni onusiane.
I portavoce di HDP si son detti “profondamente rattristati dal dover vedere un governo europeo spianare le armi contro i rifugiati invece di distribuire cibo e coperte”.
Non si conosce ancora il tenore della risposta di Josep Borrel all’appello di HDP. In compenso in questi giorni il capo della diplomazia europea ha presentato ai 27 ambasciatori degli Stati membri quella che viene definita la “bussola strategica”. Un progetto che sta per essere esaminato a Bruxelles e che comporta la creazione entro un paio di anni di una forza europea di reazione rapida.
Da parte del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) un accorato invito, un’esortazione alla popolazione curda affinché non fugga dal Bashur (il Kurdistan del Sud, in territorio iracheno) autoesiliandosi. E una richiesta al governo regionale curdo, quella di metter in campo adeguate iniziative per garantire condizioni di vita dignitose alla popolazione. Come in Rojava (dove Ankara sta operando con metodi che ricordano la pulizia etnica), così in Bashur un drastico cambiamento demografico (ossia la sostituzione della popolazione originaria curda) non farebbe altro che gli interessi della Turchia.
Calcolando che almeno 30mila persone hanno lasciato il Bashur in un solo anno, la Commissione Esteri del PKK ha esplicitamente accusato il governo turco e quello della regione autonoma (in pratica il PDK) di esserne responsabili.
Sia del massiccio esodo e spopolamento che della tragedia in corso sulla frontiera tra Polonia e Bielorussia.
Una tragedia legata alla crisi economica, alla disoccupazione, alla disperazione diffusa. Conseguenza dei “30 anni di politiche attuate dalle autorità del Kurdistan del Sud e dai paesi occupanti”. Dalla Turchia in particolare.
Con il rischio che questa parte del Kurdistan divenga “una zona di espansione per il nazionalismo fascista turco e per l’ideologia dell’islamismo radicale”.
Per questo il PKK chiama la popolazione curda e i giovani in particolare a “non abbandonare il Paese utilizzando la propria forza nella lotta per la giustizia, la democrazia e la libertà”.
Gianni Sartori
"Mi piace""Mi piace"