Anche nell’ultimo periodo, quando le notizie sulla possibile “pace” in Ucraina hanno aperto quasi ogni giorno i tv e i giornali, non si è trovato né spazio né tempo per parlare dell’immane macello di umani che la guerra tra NATO e Russia sta facendo da ormai quasi 4 anni: è il non detto di questa guerra reazionaria.

Certo, ogni guerra impone una più o meno stretta censura: per non favorire il nemico e per conservare il controllo del fronte interno, cioè la fedeltà della popolazione alle scelte dei governi in guerra. Ogni guerra comporta una radicalizzazione di chi la subisce, e quindi il rischio di ribellioni, un pericolo, per la borghesia, ancora più grave di una sconfitta. Infatti, chi ha realizzato i profitti di guerra, anche se sconfitto, se li tiene per i giorni a venire e li mette a frutto. Un esempio per tutte: la Siemens, che sfruttò indiscriminatamente il lavoro delle donne del lager di Ravensbrück, è ancora lì florida e potente come nel corso della Seconda guerra mondiale.

Tutto vero. L’informazione in guerra è soprattutto propaganda, prima, durante e dopo il conflitto, al servizio di chi l’ha voluta e la gestisce. Ma in questo caso la censura si è spinta davvero agli estremi. Per cui il nostro tentativo di cui diamo qui conto, di arrivare a capo, anche in modo approssimativo, dei morti, dei feriti e dei fuggitivi, renitenti alla leva, non rientrati al fronte, disertori veri e propri, in questa guerra è andato incontro a grosse difficoltà. Inevitabilmente abbiamo dovuto esaminare, per la Russia, le fonti in prevalenza occidentali, e viceversa, per le perdite ucraine, le fonti russe o filo-russe, ognuna di esse da prendere con le pinze.

Già il conflitto per il Donbass (2014-febbraio ‘22), cioè l’attacco del governo di Kiev alle popolazioni russofone e, in larga parte, russofile del Donbass, innescato dal massacro di piazza Maidan quando fu chiaro che gli oligarchi ucraini avevano optato, in maggioranza, per l’allineamento all’Occidente (1), era stata una guerra definita dagli esperti “a bassa intensità”, ma terribile per le popolazioni interessate. (2)

Naturalmente il peggio è venuto con la guerra aperta, iniziata con l’invasione russa in Ucraina, nel febbraio del 2022momento in cui è diventato lampante a tutti quelli che non volessero negare l’evidenza, che dietro, e sopra, Kiev c’erano gli Usa di Biden, entrato in carica come presidente nel gennaio 2021, gli altri paesi NATO, l’UE – con l’Italia sempre presente e attiva nel fomentare guerre – disposti a dare armi e finanziamenti a volontà per far combattere l’Ucraina “fino all’ultimo ucraino”.

Mentre – come si sta scoprendo progressivamente – questa guerra è stata una gigantesca mangiatoia per i profittatori di guerra, a partire dall’industria delle armi di tutti i paesi coinvolti direttamente o indirettamente (3), il mostruoso prezzo di essa è stato pagato da chi la sta combattendo.

I primi diciotto mesi sono stati i più feroci e sanguinosi. La presenza da una parte e dall’altra di mercenari ha aumentato la barbarie sui campi di battaglia, mentre nei due paesi direttamente coinvolti è aumentato al parossismo il controllo poliziesco e la repressione sull’intera popolazione, e in particolare sui contrari alla guerra. La repressione in Russia è stata illustrata dalla stampa occidentale soprattutto nelle prime fasi della guerra, ma anche la stampa occidentale si disinteressa totalmente (e c’è un perché) dei casi di resistenza attiva alla guerra, e di vero disfattismo. Quanto all’Ucraina, dallo scoppio della guerra funziona un unico canale televisivo che esprime l’opinione del governo; i 12 partiti di opposizione sono stati soppressi d’autorità; gli arbitrii della polizia sono giustificati dalla necessità di “stanare le spie russe”, e ne fanno le spese sindacalisti, attivisti per i diritti delle donne, attivisti anticorruzione, qualche giornalista, gruppi pacifisti o anche piccoli nuclei di giovani rivoluzionari. Denunciare gli abusi è ovviamente antipatriottico.

Su questi primi 18 mesi molto sanguinosi, sia i russi che gli ucraini hanno dato numeri ipocritamente bassi sulle proprie “perdite” (dell’ordine di poche migliaia) e numeri gonfiati sulle perdite dell’avversario. La parola inglese “casualties” è ambigua, perché comprende i morti, i feriti e i dispersi (morti o catturati), ma contemporaneamente pregnante perché indica feriti o mutilati non più in grado di partecipare ai combattimenti, quindi “perdite” sullo scacchiere delle risorse belliche, perché tali sono gli uomini in guerra, “risorse” o “perdite” come i droni o i carri armati. I primi dati, presunti ma nel loro insieme piuttosto realistici, cominciarono a girare a fine estate 2023.

La stima del “New York Times” (23 agosto 2023) fu di perdite complessive, nei primi 18 mesi di guerra, di mezzo milione di uomini: circa 300 mila “casualties” per i russi (in specifico 120 mila morti e 180 mila fra mutilati e feriti non più in grado di tornare a combattere) e circa 190 mila per gli ucraini, di cui 70 mila morti. (4) La fonte è, ovviamente, di parte, essendo un giornale allineato all’amministrazione Biden, fanatica fomentatrice della guerra, e tendeva a sottolineare “l’eroica resistenza” degli ucraini minimizzandone le perdite; ma è credibile che i russi, attaccando, fossero in posizione di svantaggio, e che essendo all’inizio lontani i propri ospedali da campo, i feriti venissero lasciati a morire. In più le truppe mercenarie (la compagnia Wagner, per prima) erano in parte raccogliticce. Non a caso dalla metà del ’23 c’è stato un importante cambiamento di tattica dell’esercito russo: è cresciuto esponenzialmente l’uso di missili e droni, l’avanzata a terra si è fatta più lenta e prudente, con il ricorso anche, sempre più spesso, all’arroccamento. 

Anche se fosse in qualche misura gonfiato, come è possibile, il numero dei morti risulta comunque imponente – ricordiamo che in dieci anni di intervento in Afghanistan, 1979-’89, le forze armate russe ebbero 15 mila morti; quelle statunitensi in Vietnam nel periodo 1964-’75, sempre in circa 10 anni, ebbero 60 mila morti.

Nel corso di questi 18 mesi, se si scorre la stampa italiana, si trovano quintalate di analisi geopolitiche o dedicate alle armi, alle tattiche militari, una massa di informazioni che cercavano di far appassionare agli aspetti “tecnici” della guerra, rappresentata alla stregua di un videogioco, in cui le vittime, civili o militari che siano, vengono disumanizzate fino al punto da scomparire del tutto. I morti, i feriti, gli stupri, i bambini uccisi vengono usati solo per denunce scandalistiche, ma le dimensioni e le caratteristiche del massacro vengono accuratamente coperte: una vera e propria operazione di anestesia politica.

Il rifiuto della guerra in Russia

Benché da entrambe le parti si fosse previsto un conflitto breve e con poche perdite, esibendo la certezza dell’adesione patriottica delle rispettive popolazioni, queste popolazioni, nella realtà, non erano così unanimi e fiduciose.

Fra febbraio e agosto 2022 sono fuggite dalla Russia 650 mila persone con l’evidente scopo di evitare l’arruolamento; circa 400 mila verso Kazakistan, Georgia, Armenia, Azerbaigian e Israele, gli altri verso Turchia, Germania, Spagna e Serbia. I più ricchi, circa 15 mila, sono andati in Gran Bretagna. Putin ha riconosciuto indirettamente il fenomeno, parlando di “necessaria pulizia della società”. In realtà si è trattato di una “fuga di cervelli”: laureati in materie scientifica (circa il 10% di tutti gli informatici russofoni), di età inferiore ai 45 anni, che parlano inglese e non avranno problemi ad inserirsi nelle economie dei paesi ospitanti. Penalmente non perseguibili, perché ufficialmente il reclutamento era volontario. (5)

Possiamo parlare, per questo fenomeno, di un rifiuto individuale e “preventivo” della guerra, riservato a strati intellettuali dei ceti medi che avevano la possibilità di riciclarsi facilmente come forza lavoro all’estero. Diversa sarà, per composizione sociale, la renitenza alla leva dei mesi successivi. L’analisi dei morti russi fatta da “Mediazona” (6) ci rivela che la maggior parte di essi proveniva da Sverdlovsk e Chelyabinsk, Bashkiria (Sud Urali), Buriazia (Asia orientale) e Daghestan (Caucaso), cioè da piccole repubbliche periferiche, che avevano fornito un numero di soldati proporzionalmente molto alto, sia per scelta del governo russo (non reclutare nella propria più solida base sociale, la popolazione urbana e russofona), sia perché queste erano e sono le aree più povere della Federazione russa, nelle quali fare il soldato è comunque un’opzione di vita con una certa attrattiva. La paga (2500€ al mese) era più che consistente per gli standard russi, che vedono il salario operaio medio attestato intorno ai 610€ nelle imprese fino a 100 dipendenti, a 740€  nelle imprese fino a 500 addetti, a 940€ nelle grandi imprese (7).  

Questi soldati erano all’inizio stoicamente pronti a combattere, anche per un sentimento nazionalista presente in Russia e abilmente alimentato dalla narrazione di una nuova guerra anti-nazista, ma la crudezza, le condizioni e il tasso di mortalità delle battaglie affrontate, assieme alle mancate licenze dopo i primi sei mesi, hanno fatto mutare il loro atteggiamento. La leva del settembre 2022 aveva già reintrodotto una parziale obbligatorietà per certe fasce d’età e certe aree. La successiva leva di aprile 2023 ha incontrato parecchia resistenza, provocando altri 300mila espatri e raccogliendo comunque solo un terzo delle nuove reclute necessarie. Le leve successive hanno visto in Daghestan, Cecenia e Buriazia episodi di protesta sfociati in scontri con la polizia. Contemporaneamente il governo russo ha facilitato l’ingresso e la permanenza definitiva in Russia (con l’acquisizione della cittadinanza) di tagiki, uzbeki e kirghisi per favorirne il reclutamento. In Cecenia, del resto, il leader Kadyrov e le amministrazioni locali si sono arricchiti con donativi russi, concessi in cambio dei reclutamenti. Infine va registrato che molti rifugiati politici in Russia, dagli stessi ucraini del Donbass, ai somali, eritrei o nepalesi, sono stati raggirati con la promessa di un lavoro e fatti firmare come pseudo volontari per il fronte.

Nel 2023 e 2024 sono cominciati gli episodi di anziani che gettavano molotov contro i centri di reclutamento allo scopo di distruggere i computer, e quindi gli archivi e i database con l’elenco dei coscritti, per interrompere gli arruolamenti. Le località interessate vanno dalla Siberia orientale alle repubbliche al confine col Kazakistan, agli Urali meridionali, le stesse già citate. I responsabili di questi atti godono della complicità delle proprie comunità, che li “coprono” come coprono i disertori che rientrano a casa e coloro che rifiutano di rientrare al fronte dopo una licenza. (8)

Un fenomeno connesso, circoscritto come numeri, ma politicamente rilevante sono stati i 135 casi di fragging dichiarati entro il settembre 2023 nelle file delle truppe russe (9). Il fragging consiste nell’uccisione di un graduato da parte di un soldato o addirittura da parte di un intero reparto, che poi diserta. Da quel momento mancano informazioni, il che può far pensare ad un allargamento del fenomeno.

Sempre nell’ottica di evitare che sorgesse o si allargasse l’opposizione alla guerra, nella prima fase il Cremlino ha puntato molto sui mercenari – segno che la borghesia russa ha ben studiato il disfattismo nella prima guerra mondiale in Russia, da cui è nata in parte la rivoluzione bolscevica, una rivoluzione che Putin rinnega parlando del Donbass come di “regioni cedute da Lenin, che riavremo nel nome di Caterina la grande”. Tutti hanno presente il gruppo Wagner che, in occasione dell’assedio di Bachmut, è arrivato a contare 50 mila aderenti, reclutati per l’80% nelle carceri. Nei 10 mesi d’assedio ne morirono 30 mila. Una mattanza che ha sconvolto anche i coriacei mercenari di professione e i criminali comuni che avevano scelto la guerra al posto dell’ergastolo; la conseguenza è stata la ribellione del gruppo e poi il  riassorbimento nell’esercito regolare di ciò che ne era rimasto.

È infine di difficile valutazione l’informazione secondo cui il governo Putin ha ordinato la consegna “di tutte le armi private”, registrate o meno. Timori che si creino gruppi armati di resistenza? Allarme per il numero di gravi crimini commessi dai detenuti sopravvissuti al massacro e rientrati in patria?

Il rifiuto della guerra in Ucraina

In Ucraina la leva per “difendere la patria” ha colpito diversamente. Lo scandalo che costrinse alle dimissioni ministro della Difesa Oleksi Reznikov (settembre 2023) rivelò non solo le congrue e sistematiche mazzette sulle forniture all’esercito (dal cibo alle uniformi), la vendita sottobanco di parte delle armi fornite da Ue e Usa al mercato nero, ma soprattutto l’arricchimento di molti funzionari del regime grazie alle esenzioni facili dall’arruolamento per chi era un grado di pagare dai 3 mila ai 15 mila € (esenzioni aumentate di 10 volte dal 2021). Un episodio che ci conferma che anche morire in guerra è una questione di classe. Le recentissime dimissioni di Andry Yermak (il 28 novembre 2025) confermano che nel governo ucraino i profittatori di guerra hanno continuato a prosperare alla grande, e che il centro di tutto è proprio ai vertici dello stato.

Mentre i “patrioti da divano”, i figli dei ricchi e dei potenti affollavano i ristoranti e le discoteche di Kiev (quelli di Zelensky sono al sicuro da tempo a Londra), la polizia ucraina setacciava i quartieri poveri alla ricerca dei renitenti. E nell’agosto del ’23 un nuovo decreto ha reso reclutabili anche sieropositivi, persone affette da tubercolosi, epatite, altre malattie croniche e persino individui che soffrono di alcune tipologie di disturbi mentali o neurologici.

Già nel primo anno di guerra, per evitare l’arruolamento, 170 mila ucraini “normodotati” si sono rifugiati in Germania e 80 mila in Polonia. (10) Non è un segreto che nei primi anni di guerra i profughi ucraini, in maggioranza donne, ma anche uomini, sono stati una manna per le industrie dei due paesi, risolvendo un problema di carenza di manodopera specializzata, che in più poteva essere sottopagata. Nel corso del ’23 e del ’24 però il governo polacco, che ha fatto del militarismo antirusso il suo vessillo, ha “riconsegnato” al governo ucraino i renitenti su cui è riuscito a mettere le mani, mentre gli ambienti industriali tedeschi non nascondono la speranza che gli emigrati ucraini restino in pianta stabile in Germania anche dopo la fine della guerra e si augurano, anzi, che le donne ucraine occupate chiamino a sé i mariti per ora reclutati.

Gli ultimi due anni di guerra

Dalla fine del ’23 il conflitto si stabilizza in una guerra di attrito che vede una lenta, ma sistematica avanzata dell’esercito russo lungo tutta la lunghezza del fronte: secondo l’Atlantic Council, nel 2021 la Russia occupava il 7% di territorio ucraino, includendo in esso la Crimea e il Donbass; oggi ne occupa il 18,5%, mentre ne occupava già il 17% nel febbraio  ‘23. Scene che si pensavano appartenere alla storia del primo ‘900, si sono riproposte: campi di battaglia come tritacarne, costosi assalti di terra con pochissimo terreno guadagnato e paesaggi bombardati e rasi al suolo, perdite umane elevatissime a fronte di conquiste dal valore talvolta più politico che strategico. (11) Il consumo di uomini e mezzi è altissimo e con l’uso delle peggiori schifezze, come uranio impoverito e bombe a grappolo.

Una ricognizione di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, ottimisticamente tesa a porre le basi per la futura ricostruzione (per chi sa quale anno), rivela nell’aprile del ’23 che le aree ucraine in cui si combatte hanno assorbito 320 mila ordigni esplosivi (in parte inesplosi). Sul terreno sono disseminate 230 tonnellate di rottami metallici (carri armati, ecc.). Il 30% del territorio ucraino è minato pesantemente. Nel Donbass si arriva a 4/5 mine per mq. Il 40% dei terreni un tempo coltivati sono ora inutilizzati. Un disastro ecologico senza precedenti.

Nell’agosto 2025 “Analisi Difesa” accredita le valutazioni dei morti e dei feriti operate, da un lato, da “Mediazona”, considerata ostile dal governo russo, che stima i caduti russi fino a quel momento in almeno 121.507, dall’altro dal canale ucraino WarTears.org che stima i caduti ucraini in 767.385. (12) L’Ufficio del procuratore generale dell’Ucraina aveva parlato di 100.000 morti civili alla fine del 2023. Per il Pentagono questa cifra si è raggiunta solo nell’estate 2025. In ogni caso si tratta quasi di un milione di morti, in stragrande maggioranza appartenenti alle classi lavoratrici !!! Ma per i fan della NATO da una parte, per quelli di Putin&Caterina la grande dall’altro, sono quisquilie, tanto per il numero che per l’appartenenza di classe.

Una crisi senza fine nel reclutamento

Per quanto in grado di mobilitare sulla carta tre volte e mezzo soldati rispetto al governo ucraino, nella realtà anche la Russia ha significativi problemi di reclutamento. Secondo il Conflict Intelligence Team (Cit), che si occupa del fenomeno dei refuseniknegli ultimi due anni i soldati al fronte che disertano o rifiutano di tornarci sono fra il 20 e il 40% degli effettivi. Fa questa stima sulla base delle richieste di assistenza legale da cui sono subissati. Il fenomeno riguarda, pare, anche la Guardia Nazionale (Rosgvardiya) creata da Putin nel 2016, un corpo militare che riunisce tre precedenti corpi, per un totale di 340 mila uomini, che garantisce l’“ordine interno”, tutela i confini dell’intera federazione russa e risponde direttamente a Putin in quanto Presidente, bypassando Ministero della Difesa e degli Interni. Sono professionisti in grado di svolgere azioni di intelligence, di “antiterrorismo”, una sorta di “mastini del regime”. Eppure anche questo corpo prestigioso e ben retribuito fatica a rinnovare i suoi effettivi.

In Ucraina, nel 2025, il numero dei disertori ha superato quello dei tre anni precedenti di guerra. I reparti al fronte soffrono l’assenza di ricambi e in alcune aree (soprattutto nei ranghi dei reparti d’assalto), i soldati hanno ormai dimenticato cosa significhi la rotazione dei turni. Nei primi 8 mesi del 2025 sono stati 142.711 i procedimenti penali per abbandono non autorizzato della propria unità e/o diserzione vera e propria (contro i 265.843 procedimenti dei tre anni precedenti). Il governo ha tentato la carta del perdono per il primo episodio di diserzione, ma non ha funzionato; adesso chi viene catturato, è inviato al fronte nei posti più “caldi”. Zelensky ha dichiarato a “Sky news” che i soldati ucraini non saranno più inviati ad addestrarsi all’estero, dato l’alto numero di fughe dalle basi militari degli alleati e l’impossibilità di rimpatriarli.

È noto che i disertori sono aiutati attivamente da collettivi anarchici (ad esempio Assembly – di cui abbiamo pubblicato su questo sito alcuni documenti) (13). Negli ultimi mesi aumentano le pubblicazioni clandestine che motivano politicamente la diserzione, uscendo dalla dimensione individuale. In ottobre 2025 una nota dei Centri territoriali di reclutamento riconosce che attualmente 1,5 milioni di cittadini sono considerati “ricercati” perché si sono sottratti al servizio militare, e non c’è la possibilità materiale di perseguirli (vedi la relazione della deputata ucraina Halyna Yanchenko in Parlamento). A volte si tratta di persone che sono emigrate, stanno nascoste o hanno falsificato i dati anagrafici e di residenza per non essere rintracciate. Quindi minimizza il governo, non sono veri e propri disertori, come coloro che sono stati colpiti dai procedimenti penali istruiti dai tribunali militari. Ma sul piano operativo la differenza è capziosa. La vera differenza sta nel grado di consapevolezza nel rifiutare di combattere da parte di chi dal fronte ci è passato.

Sia il governo russo che quello ucraino si affannano a dichiarare che dietro questo ampio fenomeno non c’è alcuna “regia pacifista”, e tantomeno nessun partito politico bolscevico che organizza le diserzioni, di fatto spontanee e progressivamente crescenti, che comunque minano il morale delle truppe al fronte. Tanto per la NATO-Kiev che per la Russia, quindi, sarebbe solo uno scacco, un problema tattico in vista della prosecuzione della guerra, non una minaccia in grado di sovvertire dalle fondamenta lo stato. 

Sta di fatto che nelle due società c’è un’area di solidarietà e complicità anche politica coi disertori, in nome di valori pacifisti e antimilitaristi. Non si tratta, al momento, di una risposta di classe consapevole e influenzata dalle forze marxiste rivoluzionarie come durante il primo conflitto mondiale. Tuttavia centinaia di migliaia di giovani proletari sono stati spazzati via da questa guerra, e i sopravvissuti ne saranno segnati per sempre. Che tutto sia riassorbibile senza conseguenze è poco credibile, sia tra gli ucraini vicini alla sconfitta, sia tra i russi che avanzano. Lo mostra, tra le altre cose, la recente sentenza contro 5 appartenenti al circolo marxista di Ufa (Pavel Matisov, Yuriy Efimov, Aleksey Dmitriev, Rinat Burkeev, Dmitriy Chuvilin) colpiti da condanne pesantissime fino a 22 anni, senza aver commesso alcun atto di violenza. E, sull’altro fronte, la persecuzione giudiziaria contro il Fronte dei lavoratori m-l dell’Ucraina (14).

Gli effetti di questa guerra vanno ben oltre i due paesi coinvolti, poiché ha innescato un fenomeno di riarmo e di propaganda per la guerra che le nuove generazioni europee, anestetizzate da 80 anni di “pace”, non hanno ancora messo a fuoco, né  metabolizzato. Dall’ultimo conflitto che ha coinvolto il territorio europeo – la distruzione della Jugoslavia ad opera dei conflitti tra repubbliche attizzati dagli imperialismi occidentali, e poi direttamente ad opera dalla NATO – sono passati molto più di vent’anni. Il mondo è stato punteggiato da guerre, per lo più innescate dalle potenze imperialiste storiche in declino, ma anche dalle giovani potenze regionali – per non dire del genocidio in corso a Gaza per mano dello stato sionista. Nel solo 2025 si contano 59 guerre tradizionali…

Durissima scuola, la guerra. Capace – però – di mettere a nudo, più ancora delle crisi, la natura rapace e crescentemente distruttiva del sistema sociale capitalistico. E di porre le masse sfruttate davanti all’aut-aut storico: o le orribili guerre fratricide nel solo interesse delle classi sfruttatrici, o l’unità dei proletari e delle proletarie al di sopra dei campi di battaglia e delle frontiere per la rivoluzione sociale.

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Note

(1) Per Putin, i suoi oligarchi e il complesso militare-industriale russo la perdita del Donbass non era accettabile, essendo la base militare di Sebastopoli e il controllo del Mar Nero strategici in vista dello sbocco militare e commerciale nel Mediterraneo, verso il Medio Oriente (ad es. la base di Tartus) e l’Africa (Algeria, Libia, Corno d’Africa ecc.). Uguale e contrario l’interesse degli altri imperialismi a eliminare o ridurre questa presenza.

(2) Il bilancio del conflitto in Donbass (6,5 milioni di abitanti nel 2014) era, agli inizi del ’22, di 14 mila morti tra civili e militari, 30 mila feriti, 1,8 milioni gli sfollati interni, 3,4 milioni le persone a cui mancava il minimo vitale di alimentazione. L’attacco alle popolazioni del Donbass fu finanziato dagli Usa, sotto la regia di Biden, non ancora presidente con 3 miliardi di $. Dalla parte degli indipendentisti del Donbass combattevano anche i ceceni di Kadyrov e mercenari della Wagner, finanziati dal governo russo. Non tutti sanno che vi parteciparono anche volontari della destra italiana, spaccata in due: Casa Pound affiancava l’ucraino battaglione Azov, i volontari di Forza Nuova combattevano con i separatisti russi.

(3) – Una gigantesca mangiatoia per le multinazionali, ma anche per gli Stati, spesso proprietari di quote consistenti dell’industria delle armi; Stati che sono rappresentati da enti pubblici in cui governi giocano un ruolo chiave. Nel 2022 l’Ucraina ha ricevuto aiuti militari per un valore di circa 100 miliardi di dollari (la spesa sanitaria annuale in Italia era di 126 miliardi). Il 35% fornito dagli Usa, Polonia 17%, Germania 11%, GB 10% e Cechia 4,4%. L’Italia contribuì con un miliardo di € (dichiarazione ufficiosa di Tajani).  La quota del Ministero dell’economia e delle finanze in Leonardo è del 30%, il governo francese possiede il 34% della Thales, ecc. Quanto sia importante per la Russia di Putin il complesso militare-industriale è arcinoto. Su entrambe le sponde gli alti papaveri dell’esercito hanno un ruolo centrale nelle trattative di fornitura e acquisto di armi. L’industria delle armi gongola per gli affari immediati, ma anche per quelli futuri, visto che ogni guerra è un banco di prova per testare performance ed efficacia dei sistemi d’arma, ma anche per esibirli ai futuri clienti e decretarne il successo commerciale (i morti sono un danno collaterale). Impossibile superare Israele in questa pratica virtuosa.

(4) Questo su un totale di forze in campo di 1,3 milioni di ucraini (fra soldati, genio militare, retrovie, ecc.- stime dei servizi segreti francesi) e 350 mila russi al momento dell’attacco; ma a fine 2023 i reclutati russi arrivavano a 700 mila. A fianco degli ucraini già nel 2022 sarebbero stati schierati 30 mila combattenti occidentali (volontari e no). Dati totali analoghi furono forniti dal CSIS (Centre for Strategic and Intenational Studies), think thank statunitense e dalle fonti dell’intelligence militare britannica (il Regno Unito aveva sicuramente uomini sul campo di battaglia). Tuttavia il CSIS sottolineava la maggiore difficoltà del governo ucraino per il ricambio al fronte e il reclutamento di nuovi soldati. Le fonti inglesi aggiudicavano le “perdite” russe non all’esercito ma soprattutto alle compagnie militari private e riducevano l’entità delle casualties a 280 mila uomini.

(5) La fonte è un organo di informazione dell’opposizione russa “Bell”, che si basa su un’inchiesta dell’Istituto degli Studi sulla guerra russo, un genere di fonte che è per gli addetti ai lavori, non letto dalla gente comune.

(6) “Mediazona” è un giornale russo online fondato nel 2014 da due attiviste femministe e cantanti russe; inizialmente intervenivano sulle persecuzioni politiche, giudiziarie e penitenziarie. E’ stato messo fuori legge dal governo nel ’21 con l’accusa di essere un “agente straniero”, come del resto altri media quali Meduza, Radio Svoboda, Current Time. Per calcolare il numero dei morti russi hanno studiato i lasciti testamentari, eseguito il conteggio delle tombe confrontando la media prima e dopo il conflitto, fatto interviste alle famiglie, raccolto informazioni open-source, ecc.

(7) Un articolo di The Economist del 30 novembre 2023 rivelava che i volontari erano retribuiti 195 mila rubli al mese, quasi 4 volte il salario medio russo (che è più alto delle retribuzioni nelle aree periferiche). All’atto della firma il volontario godeva di un bonus una tantum, e in caso di morte (dopo almeno 5 mesi di servizio militare) le famiglie ricevevano una pensione pari alla pensione di un lavoratore dopo 30 anni di lavoro. La speranza di vita nelle repubbliche periferiche per gli uomini è intorno ai 55 anni, con uno scarto di 10-12 anni in meno rispetto ai russofoni (dove è, al 2025, di 68 anni). Questo aiuta a capire perché in certe regioni della Federazione russa fare il soldato volontario è un’opzione di vita da prendere in considerazione.

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(8) Il Conflict Intelligence Team (Cit) è un gruppo indipendente di giornalisti investigativi russi che neppure il Cremlino ha catalogato tra gli “agenti stranieri”. La qualifica adoperata è “indesiderabile”. 

(9) Fonte, la testata in lingua russa Novaya Gazeta Europecon sedein Lettonia.Il nome inglese si giustifica col fatto che episodi analoghi colpirono l’esercito Usa in Vietnam. Ma la pratica fu frequente nell’esercito russo durante la prima guerra mondiale e si ripeté in Afghanistan nella guerra 1979-89, complice la stessa geografia russa che consentiva ad interi reparti, soprattutto se composti da persone della stessa nazionalità, di fuggire e raggiungere le zone d’origine, protetti da parenti e amici

(10) Lungo servizio del quotidiano polacco Rzeczpospolita.

(11) Analizziamo in breve quattro specifiche battaglie particolarmente esemplificative: Bachmut, Adviika, Kursk e Ugledar.

Bachmut è stata il modello, descritta da entrambe le parti come “un nodo chiave per la logistica e il trasporto regionale”: per i russi spianava la strada verso importanti città dell’Ucraina orientale; per Zelensky era la “fortezza del nostro morale”. Le perdite russe fra morti e feriti hanno sfiorato, pare, i 28 mila. Quanto agli ucraini, gli stessi consiglieri Usa premevano per la ritirata, per limitare le perdite, ma Zelensky non voleva perdere la faccia prima del vertice di Vilnius (luglio 23). Bachmut cade nel maggio 2023 con pesanti perdite da parte ucraina.

Avdiivka, assediata per due anni dai russi, perché bastione fortificato, è diventata “strategica” per Putin nel marzo ’24, (forse) una vittoria da esibire in vista delle elezioni presidenziali in Russia: nei due anni precedenti erano morti 4 mila russi, negli ultimi due mesi dell’assedio, pare, ben 12 mila.

Anche lo sfondamento ucraino a Kursk (agosto ’24) è stato, al massimo, “una vittoria psicologica” secondo il generale Carlo Jean. Molti graduati ucraini hanno parlato di “suicidio”. Forse ha permesso a Zelensky di ottenere dall’Europa armi a lunga gittata e soprattutto l’autorizzazione a bombardare il territorio russo. Da parte di Mosca c’è stata una sostanziale indifferenza per la sorte dei 120 mila sfollati russi e per le centinaia di giovani coscritti che sono stati fatti prigionieri, l’esercito russo ha proseguito nell’avanzata del Donetz. Gli ucraini, com’era ovvio, non hanno retto alla controffensiva. Il 10 ottobre erano già morti, pare, 22 mila soldati ucraini. Ma, a quel che si è riuscito a sapere, anche il contingente nord-coreano composto da 14.000 militari ha sofferto, specie nelle prime settimane, pesantissime perdite (nell’ordine delle migliaia di caduti) anche per la difficoltà di stabilire un efficace coordinamento con le truppe russe.

Nell’ottobre 2024, quando i russi stanno per completare l’accerchiamento di Ugledar nel Donetz, Zelensky sta facendo il suo giro propagandistico negli Usa, proponendo il suo “piano per la vittoria”. In realtà Ugledar sta per cadere, ed anche in questo caso Zelensky ordina di non arretrare, anche se questo ha significato far morire inutilmente buona parte dei 15 mila uomini impegnati nell’operazione.       

Sono solo 4 esempi, ma danno l’idea del disprezzo verso i propri soldati da parte delle classi dirigenti dei paesi in guerra. 

(12) https://pungolorosso.com/2025/08/21/quanti-sono-i-caduti-nella-guerra-tra-nato-e-russia-in-ucraina/

(13) https://pungolorosso.com/2024/07/15/la-guerra-in-ucraina-linternazionalismo-una-guida-per-lazione-o-una-scusa-per-linazione-assemblea-di-kharkiv/

(14) https://pungolorosso.com/2025/02/05/solidarieta-ai-militanti-del-fronte-dei-lavoratori-dellucraina-m-l-perquisiti-e-arrestati-italiano-english/

da: https://pungolorosso.com/2025/12/21/morti-feriti-e-disertori-nella-guerra-nato-russia-in-ucraina/


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